Introduzione di Gianluigi Pegolo alla riunione nazionale dell’area dell’Ernesto. Roma 24 febbraio 20

Siamo ancora scossi dalla inaudita discriminazione che abbiamo subito da parte della maggioranza del partito. Si è trattato di un atto inammissibile. Un comportamento arrogante ed antidemocratico da parte di chi pretende di decidere i buoni e i cattivi all’interno del partito.

Non solo, abbiamo anche subito un ricatto indegno. Se, infatti, avessimo fatto saltare la manifestazione degli autoconvocati, forse avremmo potuto conservare la nostra rappresentanza parlamentare. Come ho già detto nel Comitato Politico Nazionale, noi non accettiamo ricatti ed in ogni caso non siamo disponibili a rinunciare alle nostre posizioni politiche per avere la garanzia di due parlamentari. Lo ribadisco: l’area dell’Ernesto non è in vendita.

In ogni caso, se qualcuno pensava di poterci discriminare senza subire conseguenze si è sbagliato profondamente. Negli stessi giorni in cui ci hanno escluso dalla riconferma dei nostri parlamentari, vi è stato, oltre alla manifestazione degli autoconvocati, anche la pubblicazione di un appello di 200 intellettuali contro la sparizione della falce e martello. Non solo, la nostra posizione è stata ripresa dalla stampa. Vi segnalo il bell’articolo pubblicato su Il manifesto ai margini dei lavori del Comitato Politico Nazionale, dal quale chiunque può evincere il ruolo che ha svolto l’Ernesto in questi mesi, unica componente di opposizione in un partito in cui prevale l’appiattimento e il conformismo.

Con orgoglio possiamo ribadire che nessuna delle altre componenti ha dimostrato la forza, la determinazione e anche l’integrità della nostra. Vi è tuttora un affollamento di gruppi e sottogruppi intorno alla maggioranza, in un crescendo di opportunismo e codardia. Lo abbiamo potuto misurare con chiarezza sulla base degli interventi ascoltati al Comitato Politico Nazionale. Molto pochi sono stati quelli che hanno denunciato il sopruso subito dalla nostra area. Ma noi non ci scoraggiamo, anzi. E riprendendo un vecchio motto maoista, riproponiamo qui l’esigenza di “contare sulle nostre forze”. Sappiamo, infatti, come nei momenti di crisi una forza anche piccola può influire non poco sul corso degli avvenimenti, a condizione che essa abbia una visione lucida della situazione, sia fortemente determinata e non incline ai compromessi. Peraltro, vorrei qui farvi notare che in questi mesi l’area dell’Ernesto non ha avuto rivali dal punto di vista dell’iniziativa politica. Non solo abbiamo condotto una battaglia limpida contro la deriva interna del partito, ma abbiamo dato anche un contributo importante ala battaglia sociale. Vi ricordo l’appello promosso da nostri compagni che ha raccolto oltre 300 sottoscrizioni di delegati di fabbrica per il no nella consultazione sindacale, le iniziative che insieme al movimento di Firenze abbiamo promosso, il nostro impegno contro le missioni militari, e via dicendo. Rispetto all’inerzia della vecchia area di Essere comunisti la differenza è sotto gli occhi di tutti.

Nella riunione di oggi abbiamo bisogno di sviluppare una riflessione attenta, senza indulgere in atteggiamenti emotivi. La giusta indignazione per l’ingiustizia subita non deve far venire meno la nostra capacità di analisi e non deve offuscare la nostra capacità di individuare un percorso credibile.

In primo luogo, non dobbiamo ingannarci sulla fase che ci sta di fronte. In particolare, non dobbiamo pensare che l’accelerazione che sta subendo la costituzione del partito unico significhi il successo imminente di quella operazione. E’ semmai vero il contrario, perché il processo che è stato messo in atto resta aleatorio ed incerto. Riflettiamo per un attimo sulla vicenda del simbolo unico. All’origine di quest’ultima forzatura, con l’eliminazione dei simboli della quattro forze politiche, sta il timore dell’implosione definitiva del processo di unificazione. Ripensiamo ai passaggi recenti. Vi è stato, innanzitutto, il tentativo di modificare la legge elettorale in senso favorevole alla costituzione della “cosa rossa”. Cioè, si è tentato di ottenere una alta soglia di sbarramento per imporre oggi e per il futuro la presentazione di un simbolo unico. Abbiamo così assistito all’appoggio al “vassallum”, con il corollario dell’alleanza fra Veltroni e Berlusconi. Successivamente il gruppo dirigente di Rifondazione Comunista ha appoggiato la bozza Bianco, che andava sempre nella stessa direzione, benché fosse un po’ meno spinta sul versante del bipartitismo che però rimaneva nella impostazione di fondo.

Quell’operazione di collateralismo a Veltroni non solo non ha dato alcun risultato sul piano della legge elettorale, ma – lo possiamo dire con certezza – è stata uno dei fattori di instabilità che ha condotto alla crisi del governo Prodi. Perché non si può nascondere che la dissociazione finale dell’UDEUR nasce anche dalle minacce che questa forza politica, e altre ancora, hanno subito con quella proposta di legge elettorale.

Fallito questo tentativo, il gruppo dirigente si è imbarcato in un’avventura tanto velleitaria, quanto pericolosa, e cioè la proposta del “governo di scopo”, una alleanza di governo che avrebbe dovuto associare l’intero arco parlamentare per alcuni mesi per modificare la legge elettorale. Ancora oggi il segretario di Rifondazione Comunista ripete che se vi fosse stato il governo di scopo e la legge elettorale fosse stata modificata non vi sarebbero i rischi legati al voto utile. Il segretario dimentica di considerare che, dopo mesi di alleanza di governo con Fini e Berlusconi, il problema non sarebbe stato quello del voto utile ma della semplice sopravvivenza elettorale di Rifondazione Comunista. Putroppo, il politicismo di questa maggioranza è arrivato ad un tale livello da mettere completamente da parte ogni serio ragionamento sulla propria base sociale, le sue aspirazioni e la sua percezione della realtà.

Naturalmente anche questa trovata ha fatto il suo tempo. Peraltro non ve ne erano le benché minime condizioni, ma anche questo non ha capito la maggioranza del partito, tutta presa dal raggiungimento di quella soglia di sbarramento del 5% che considerava vitale per il proprio progetto.

Ora, siamo giunti all’ennesima forzatura sul simbolo unico. La motivazione formale addotta – quella della scarsa leggibilità di un simbolo che conteneva al suo interno i quattro simboli dei partiti che fanno parte di quest’alleanza – è una scusa. Sappiamo bene come sono andate le cose. Sinistra Democratica ha minacciato di rompere e alla maggioranza di Rifondazione non è parso vero appendersi a questo pretesto per imporre il simbolo unico. Al fondo vi è l’”ideuzza” di rendere in tal modo il processo in corso irreversibile, impedendo a qualsiasi forza di potersi in futuro smarcare. L’elemento, tuttavia, di assoluto rilievo politico che va messo in evidenza in questo passaggio – e che è destinato ad avere ripercussioni rilevanti sul dibattito interno al partito – è che questa scelta indica che ormai si è imboccata la strada del partito unico. Gli elementi di ambiguità che hanno caratterizzato per mesi il dibattito interno sono ormai sciolti e nessuno può più giovarsene come alibi. Intendo dire che l’argomento secondo il quale il processo in corso sarebbe accettabile perché non prevede il superamento del partito, ma la realizzazione di una confederazione fra soggetti che restano autonomi, è ormai privo di alcun significato. Si sta procedendo di filato verso il partito unico, con i suoi corollari: dalla discussione sul leader all’avvio del tesseramento unitario. Chi dalla opposizione era traslocato in maggioranza sulla base dell’accettazione del soggetto unitario, ma non del partito unico, deve prendere atto che ormai questa distinzione sta venendo meno. Noi, peraltro, non abbiamo mai creduto in queste distinzioni ed abbiamo sempre visto, fin dall’inizio, con estrema lucidità l’essenza del processo messo in campo, che è quello – per l’appunto – del superamento definitivo del PRC e della costituzione di un nuovo partito genericamente di sinistra.

Dobbiamo , però, chiederci se con quest’ultima forzatura sul simbolo i problemi vengano superati e il percorso verso la costituzione di un nuovo soggetto politico sia più agevole. Io non lo credo e cercherò di argomentare questa mia convinzione.

Innanzitutto, ciò che emerge come enorme problema è la crescita del Partito democratico e la simmetrica erosione di consensi patita dalla “cosa rossa”. Su questa dinamica occorre dire qualcosa. E’ del tutto evidente che il meccanismo del voto utile sostiene la crescita del PD, ma cavarsela imputando all’attuale legge elettorale tutte le responsabilità è troppo comodo. Innanzitutto, a differenza di quanto sostiene il segretario del partito, per evitare l’effetto del voto utile occorreva evitare l’operazione avventurista della legge elettorale, anziché favorirla. E’ infatti nel laboratorio Veltroni-Bertinotti che si iniziò a prospettare un modello tendenzialmente bipartitico e va anche detto – per amore di verità – che se al posto dell’attuale legge elettorale fosse stato approvato il dispositivo contenuto nella bozza Bianco avremmo comunque l’effetto del voto utile. In quel modello, infatti, il voto congiunto per i collegi uninominali e per le liste finisce col premiare i partiti maggiori dei due schieramenti. La approvazione di una nuova legge elettorale non avrebbe quindi evitato i problemi del voto utile, mentre invece il lavorìo che si è prodotto intorno al nuovo modello ha certamente dato un potente stimolo a quella trasformazione in senso bipartitico del sistema istituzionale cui oggi assistiamo. I nostri guai cominciano da lì e il gruppo dirigente del nostro partito ha pesanti responsabilità. Il punto, tuttavia, è che oggi in questa sfida col Partito Democratico “La sinistra L’arcobaleno” si presenta debole e poco credibile.

Quali sono, infatti, gli argomenti introdotti da Bertinotti in polemica col PD?

Ve ne cito alcuni: il nuovo soggetto compete col PD nel quadro della comune battaglia contro la destra – la competizione Veltroni – Berlusconi tradisce l’intento dopo le elezioni delle larghe intese – il PD si presenta come formazione omogenea ma imbarca Di Pietro e Panella.

Argomenti molto deboli, rispetto ai quali ha facilmente buon gioco Veltroni, nel momento in cui attribuisce la responsabilità della caduta di Prodi alla disomogeneità della coalizione . Sappiamo che questo argomento presenta molte ombre , ma il punto è che la presenza di Rifondazione Comunista al governo in questi mesi è apparso ai più come ostacolo all’azione di Prodi che come espressione di un progetto compiutamente alternativo. Insomma, più come un disturbo che una prospettiva diversa e più convincente. Sulla “cosa rossa” pesa il lascito di quella vicenda, ma anche la debolezza intrinseca del progetto.

Essa ambirebbe a porsi come alternativa, ma sono note le molte propensioni al suo interno ad assumere il ruolo di forza complementare al PD, in una prospettiva di governo. Avrebbe l’esigenza di assumere un tratto definito su alcune questioni fondamentali, ma incontra difficoltà, come nel caso del recente voto sulle missioni all’estero. Dovrebbe fare scelte che qualificassero una posizione di assoluta autonomia, ma la stipula di una sorta di “accordo quadro” sulle elezioni amministrative – perché di questo di fatto si tratta – suona molto contraddittorio con la posizione assunta sul voto politico.

In questi giorni si stanno alternando sondaggi sui risultati delle prossime elezioni politiche. L’elemento comune è una stima sostanzialmente deludente per ciò che riguarda La sinistra L’arcobaleno. La media di questi sondaggi colloca il nuovo soggetto intorno al 7,5%. Se si fa un confronto col risultato alla camera del 2006 delle quattro forze coinvolte, il calo si assesterebbe intorno al 3%. Un risultato, quindi molto deludente. Ma maggioranza, nei suoi interventi – pare di capire – si accontenterebbe anche di un 8%. Sarebbe questo un buon risultato? Decisamente no, perché indicherebbe che non solo il nuovo soggetto non ha un effetto trascinante, ma che addirittura perde pezzi dell’elettorato dei suoi soci fondatori. Se si verificasse un simile esito bisognerebbe certamente riflettere sull’operazione che è stata messa in campo, ma è chiaro che la maggioranza non avrebbe – anche in questo caso – alcuna intenzione di rimettere in discussione l’operazione partito unico. Pertanto, a meno di una vera e propria implosione, è lecito supporre che si farà di tutto per giustificare anche l’ingiustificabile. Chiediamoci il perché di questa rigidità, di questa irreversibilità dell’opzione. E’ un argomento eluso nella discussione. A noi pare che la questione fondamentale sia che il gruppo dirigente assume la nascita del nuovo soggetto non tanto come opportunità per mettere in campo un potenziale elettorale maggiore, quanto come opzione fondamentale nella prospettiva di mutare l’identità di Rifondazione Comunista. Si rifletta un attimo sull’ostracismo posto anche dal nostro gruppo dirigente all’adozione nel nuovo simbolo della falce e martello. E’ credibile che si sottostia al diktat di una forza – Sinistra Democratica- che rappresenta si è no un decimo del potenziale elettorale del nuovo soggetto? Francamente no a meno che – come noi crediamo – la rimozione di quel simbolo sia funzionale a rompere con una cultura politica e con un preciso impianto politico-programmatico.

Stiamo parlando di esiti elettorali possibili, forse anche probabili, ma certamente non sicuri. Pertanto, lasciando perdere queste previsioni, poniamo attenzione invece agli elementi qualitativi. A quei tratti che connotano oggi il nuovo soggetto e con i quali l’elettorato si dovrà confrontare. A tale riguardo la situazione non è per nulla incoraggiante. Il nuovo soggetto appare molto contraddittorio, ambiguo e di incerta identità.

Il primo luogo, il collante che tiene unite le quattro forze politiche è debole. Si osservi quanto sta avvenendo in Sinistra Democratica. Come è noto, la sua parte più significativa socialmente – i suoi dirigenti nella CGIL – sono attraversati da grande disagio. Nerozzi è già traslocato nel PD con altri. E sulla loro scia è in atto una disgregazione più ampia che coinvolge anche dirigenti di primo livello, come nel caso di Crucianelli. È evidente che in quella formazione l’appartenenza a “La sinistra L’arcobaleno” si gioca ormai su due presupposti. Uno – molto interno al ceto politico- dipenderà dalla consistenza della delegazione parlamentare che otterranno, l’altro – di impatto più generale – riguarda le prospettive del soggetto unitario alla luce del risultato del 13-14 aprile. Un successo del PD e un risultato deludente della sinistra riaprirebbe il tormentone dell’adesione al PD.

Il secondo aspetto da mettere in evidenza è l’insufficienza della mediazione politica interna al soggetto unitario. Con ciò intendo una base politico-programmatica inadeguata a dare al nuovo soggetto un profilo competitivo. Penso – come già dicevo – ad alcune ambiguità di contenuti, ma soprattutto al carattere irrisolto della collocazione politica del nuovo soggetto. Valga per tutti la difficoltà a presentarsi nella competizione esplicitamente come “nuova opposizione”, l’unica auto- rappresentazione che avrebbe il merito di offrire una caratterizzazione politica chiara.

Infine, ed è il terzo aspetto degno di nota, il nuovo soggetto, al di là delle promesse , appare sempre di più come pura operazione di ceto politico. Lo è nelle scelte delle candidature in corso, ma anche nelle modalità attraverso cui sta tentando di darsi una minima base programmatica. L’incursione della società civile, tante volte auspicata, che ha perfino indotto il segretario di Rifondazione Comunista a tornare più volte sul tesseramento al soggetto unico, appare come una operazione di ceti politici in trasmigrazione e, in ogni caso, del tutto inifluente rispetto alle logiche interne al ceto politico.

Queste semplici constatazioni ci inducono a ritenere che il nuovo soggetto, al di là del risultato elettorale, presenti un’intima debolezza che ne segnerà l’esistenza futura e che la sua implosione sia nell’ordine delle cose. Si produrrà in virtù della crescente dispersione di elettori e militanti ? Oppure, attraverso scissioni di destra o di sinistra? E’ difficile prevederlo. Quello che però è chiaro è che non vi sono le condizioni per una sua stabilizzazione. Diamo per scontato che in questo quadro di debolezza l’ipotesi confederativa è morta, ancora prima che per le scelte unilaterali dell’attuale gruppo dirigente di Rifondazione Comunista, per l’impossibilità di reggere nel tempo una struttura articolata. O si finirà in un partito unico, magari ridotto quantitativamente, o si determinerà l’implosione.

E’ sulla base di questa lettura del processo in corso che noi crediamo che una battaglia interna a Rifondazione Comunista sia indispensabile. E a maggior ragione all’indomani del risultato elettorale. Non vi è in noi la benché minima volontà di abbandono e alla maggioranza che forse auspicherebbe la nostra uscita credo dobbiamo una rassicurazione: staremo in campo e la nostra battaglia sarà più dura che mai.

La fragilità della prospettiva futura del nuovo soggetto, tuttavia, non può fare oscurare la situazione drammatica in cui versa il partito. Ciò che gli iscritti di Rifondazione percepiscono nella loro esperienza quotidiana, prima ancora che le contraddizioni del processo messo in atto, è il disgregarsi progressivo del partito. Di tutto ciò naturalmente il gruppo dirigente non si interessa ed anzi fa di tutto per evitare un confronto di merito. Basti pensare all’assurda reticenza sull’esito del tesseramento che la dice lunga sull’effetto devastante di una linea politica sbagliata. I circoli stanno riducendo al minimo la loro attività, molto spesso sono diventati delle realtà virtuali, somme di iscritti senza iniziativa politica. Si moltiplicano i casi di dimissioni di gruppi dirigenti in polemica con la linea nazionale del partito, fenomeno degno di nota per il carattere trasversale che assume, interessando molto spesso anche realtà di maggioranza. Parallelamente, si assiste all’incremento di tessere nelle realtà più compromesse dalle derive governiste. Il combinarsi di aree di disgregazione ad aree di crescita artificiosa del tesseramento costituisce la dimostrazione pratica della degenerazione che sta colpendo il partito. L’innesto poi di altre forze politiche, il tendenziale superamento dell’attuale organizzazione con l’unificazione dei gruppi dirigenti, la messa in campo delle “case della sinistra” e via dicendo – in un crescendo di nuovismo e improvvisazione – può ben far immaginare il livello di devastazione che si produrrà.

Anche per queste ragioni, accanto all’analisi della fase e a suoi sviluppi prevedibili, è bene dire alcune cose chiare sulla prospettiva che si apre .

Mi limito ad indicare tre punti fondamentali relativi alla nostra proposta politica.

Siamo impegnati a proseguire la nostra battaglia politica nel partito per modificarne la linea. A dispetto di quanto ha teorizzato la maggioranza di Rifondazione Comunista escludendoci dalla rappresentanza parlamentare, nel partito vi sono due opzioni alternative. L’una è quella liquidazionista che, attraverso il soggetto unico, punta a superare Rifondazione Comunista; l’altra, la nostra, che vuole contrastare questa linea, ricollocare il rapporto con le altre forze della sinistra sul piano della convergenza sui contenuti e gli obiettivi politici, ma escludendo la costituzione di nuovi soggetti politici. Nel mezzo non vi sono opzioni credibili. Per questo nell’approssimarsi al congresso le nostre parole d’ordine saranno molto chiare: no al partito unico – autonomia del PRC – unità della sinistra sui contenuti e non sulle alchimie organizzative. Ribadiamo la centralità del congresso e non tollereremo alcuna slittamento ulteriore.

In questo percorso di battaglia politica intendiamo lavorare per l’unità delle aree critiche di Rifondazione Comunista. Ci rivolgiamo a quelle componenti di minoranza che hanno condotto con noi in questi mesi una battaglia importante, ma ci rivolgiamo anche ai tanti compagni che alla base si sono ribellati alla sottrazione di democrazia che stanno subendo le strutture del partito e che non accettano una prospettiva di superamento del partito. Siamo aperti a tutte le possibili convergenze anche con aree che non la pensano interamente come noi, ma che con noi possono condividere l’obiettivo di una svolta nella direzione del rilancio del partito e della sua autonomia. Per questo siamo disponibili a confrontaci con chiunque senza remore, compresi quei settori di maggioranza che stanno maturando la convinzione che continuando così si arrivi all’estinzione di Rifondazione Comunista e alla definitiva soppressione del suo patrimonio politico. Sempre in questa prospettiva siamo per la rigenerazione e il rilancio dei movimenti di autoconvocati che da Firenze a Roma hanno alimentato la dialettica interna in questi mesi. Quell’esperienza va rilanciata perché raccoglie un disagio reale presente nella base del partito che non può essere più mortificato.

In questo percorso l’area dell’Ernesto vuole mantenere i suoi caratteri di forza limpida, coerente, rifuggendo da ambiguità e tatticismi. E proprio per questo riconfermiamo che il nostro obiettivo strategico è il mantenimento di un partito comunista autonomo, contro ogni tendenza al suo assorbimento in soggetti indistinti. Questo nostro proposito parte dalla valorizzazione e il rilancio di Rifondazione Comunista. Non siamo mai stati attratti dalle sirene della separazione, dell’abbandono, o della fuga estremistica. Ma vogliamo dirlo con altrettanta chiarezza, non accettiamo neppure l’eutanasia di questo partito, il suo lento e inevitabile superamento. Per questo siamo per la rimessa in discussione del progetto del soggetto unico. Non ci convince e lo riteniamo esiziale per il futuro di una forza comunista. Siamo disposti in questo a confrontarci con chiunque dentro e fuori Rifondazione Comunista, anche se la nostra opzione fondamentale resta – lo ripeto – la salvezza del nostro partito.

Intorno a queste tre opzioni generali vi proponiamo di sviluppare la nostra iniziativa. Siamo coscienti della complessità del percorso, ma dobbiamo tenere la barra ferma. Lungo questa via abbiamo delle prove da superare e delle iniziative da assumere. Si potrebbe fare un lungo discorso. Molteplici sono i compiti che si stanno davanti. Mi permetto solo di richiamare la vostra attenzione su due questioni fondamentali. La prima riguarda la questione della democrazia interna. Quanto è avvenuto a noi non è che l’ultimo di una serie di episodi che hanno evidenziato il progressivo venir meno della democrazia interna del nostro partito. Per questo non lo consideriamo un episodio isolato, ma l’ennesima prova della deriva antidemocratica in corso. In realtà il processo risale a diversi anni fa. Questo partito non ha mai brillato per il rispetto della vita democratica interna e noi stessi abbiamo commesso a suo tempo degli errori nel non aver colto questa involuzione. Siamo stati la componente più sensibile , è vero, ma non abbiamo fatto tutto quello che dovevamo. È tempo di rimediare. Non si tratta solo di condurre una battaglia energica contro la discriminazione che abbiamo subito ma di riprendere il tema della democrazia in tutte le sue accezioni, a partire dalla mancanza di rispetto per gli iscritti, all’accentramento delle decisioni negli esecutivi, alla gestione “di parte” del tesseramento, alle discriminazioni che di volta in volta si producono a danno di chi dissente, al ricorso abnorme al commissariamento laddove la maggioranza si sente minacciata, all’assenza di serie verifiche sulla linea. Una nuova stagione va aperta. Questa battaglia non più rinviabile.

In secondo luogo, va riaperta una offensiva sulla legittimità di una opzione comunista. Chi oggi ci discrimina lo fa perché non vogliamo rinunciare all’opzione di una presenza comunista autonoma e ciò tradisce il senso dell’operazione in corso. Se un gruppo dirigente con tanta leggerezza decide di rinunciare al proprio simbolo e accetta quello di altre forze della coalizione ciò vuol dire che non solo considera irrilevanti i valori sottesi a quel simbolo, ma che li considera in qualche modo obsoleti o impedenti il dispiegamento di un nuovo progetto politico. I guasti che si possono produrre sulla base di una simile linea sono inimmaginabili. Pensate all’effetto pratico della soppressione del simbolo non solo alle politiche ma anche alle amministrative. Questa scelta sta già creando le condizioni per un’offensiva delle componenti moderate del centro-sinistra nei territori locali contro la presentazione della falce e martello considerata come emblema di conservatorismo. Una nuova stagione di anticomunismo è alle porte, incoraggiata da scelte assurde compiute dal nostro partito. Il tema che invece dobbiamo rilanciare è quello dell’attualità di un punto di vista comunista nella nostra società. E’ una battaglia difficile ma non ci spaventiamo.

Vorrei, infine, richiamare l’attenzione su un passaggio decisivo dell’iniziativa del partito. Mi riferisco alla prossima competizione elettorale, sia quella politica che quella amministrativa. Il fatto che siamo contro il simbolo unico non significa che faremo campagna per l’astensione o che attiveremo il boicottaggio della campagna elettorale. Queste pratiche non ci appartengono. Siamo parte di un partito e applicheremo le sue decisioni. Le minacce che ci vengono dalla maggioranza che tenta strumentalmente di dipingerci come sabotatori non ci intimoriscono e le rimandiamo al mittente. Noi restiamo coerenti con quell’impostazione che ci ha caratterizzati anche quando avevamo due parlamentari. Il dissenso che abbiamo nei confronti della linea non può mai tradursi nella penalizzazione del nostro partito. La maggioranza naturalmente non ha tenuto conto della nostra correttezza. Anche in questo si può notare la differenza, anche sul piano etico, fra i nostri e i loro comportamenti. Ciò precisato, va però anche detto – a futura memoria -. che quello che ha fatto questa maggioranza esonerando dalle decisioni l’intero corpo del partito e attuando una discriminazione odiosa nei nostri confronti è la scelta peggiore per chi vuole presentarsi come portatori di un progetto aperto. Parlare di soggetti unitari e plurali e poi praticare la discriminazione delle minoranza nel proprio partito è il trionfo della contraddittorietà e della ambiguità. Ma di ciò porta e porterà l’intera responsabilità chi ha agito in questo modo.

Cari compagni concludo, richiamando i nostri impegni immediati.

Abbiamo bisogno di sviluppare un dibattito ampio al nostro interno. Per queste dovremo convocare gli attivi regionali dell’area per estendere queste nostre riflessioni e per strutturarci meglio. E’ importante che affrontiamo insieme questi passaggi con grande determinazione e maturità.

Peraltro, è in questi momenti che si misura se si ha la stoffa per rimanere in campo. Noi vi proponiamo una azione di lotta più forte di prima , più determinata e nel contempo più lucida e razionale. Dalla nostra abbiamo un’analisi lungimirante che ha trovato conferma, un disagio profondo nella base di questo partito, e una domanda sociale di cambiamento che non può trovare risposta in soggetti politici “anemici”, ma che richiede – oggi più di ieri – la presenza di un partito comunista autonomo.