Una discussione che conclude una consultazione che ha visto prevalere il sì senza che, come ha confermato tutto quello detto qui sinora, si sia concessa legittimità politico-sindacale a quella parte dei gruppi dirigenti che avevano scelto o sostenevano il no, si conclude con un processo politico e un rinvio a giudizio per quegli stessi gruppi dirigenti. Solo i lavoratori, è stato detto, avevano il diritto al no, non i gruppi dirigenti e purtroppo un’idea estesa di gruppo dirigente si è diffusa nei territori, visto che in alcune realtà ci sono i segnali dell’avvio di una vera e propria caccia alle streghe nei confronti di delegati e militanti della Cgil che hanno fatto campagna per il no.
Potrei chiudere qui il mio intervento, sottolineando che quello che si compie non è solo un’incredibile ingiustizia politica, ma anche un errore, soprattutto un errore che danneggia e indebolisce l’organizzazione alla vigilia di passaggi politici e sociali durissimi per il mondo del lavoro.
Dopo più di trent’anni di quello che io considero un onorato lavoro dalla parte giusta, essendomi sempre sentito un cittadino e non un suddito di quest’organizzazione, ora però provo il bisogno di rispondere alle offese, alla mancanza di rispetto personale, alle meschinità che qui ho sentito.
Ho fatto campagna per il no e lo rivendico come diritto in una consultazione ove il sì e il no avrebbero dovuto avere pari dignità, essendo il voto quello che alla fine decide. Ho considerato la campagna per il no un modo per rafforzare e valorizzare una consultazione che in tante parti del paese e dei luoghi di lavoro veniva considerata inutile e scontata. Ho contribuito a suscitare partecipazione tra militanti e iscritti alla Cgil con questa consultazione, pensando che questa militanza avrebbe portato nuove energie e forze al sindacalismo confederale e soprattutto tra i giovani.
Ho creduto nella correttezza di una consultazione nella quale, pur con un regolamento che impediva la pari dignità alle due posizioni fosse data piena possibilità ai consultati di esprimersi liberamente.
Ho chiesto agli organi competenti, ben prima che si aprisse una discussione pubblica su questi temi, impegni e garanzie in questa direzione, con una mia lettera il 27 di settembre che non ha ricevuto alcuna risposta. Ho ricevuto decine e decine di denunce di irregolarità da parte di persone perbene, di iscritti e militanti che erano andati fiduciosi al voto e che riscontravano cose che a loro non piacevano e soprattutto non si sarebbero mai aspettate.
Tutti mitomani o provocatori? Anziani pensionati, giovani lavoratori, tutti al soldo di un complotto contro la Cgil? Ma non scherziamo. In ogni caso ho provveduto a girare tutte queste denunce, che sono decine e decine, alla Commissione nazionale. Spetterà ad essa decidere cosa farne. Quello che io ho dato alla stampa è semplicemente la notizia di questo: fatti e chi dice che io ho fatto accuse di brogli non avendo prove mente due volte, perché non ho mai parlato di brogli ma ho esercitato il mio legittimo diritto di iscritto di pretendere la correttezza del voto ovunque e ho fatto pervenire alla Commissione competente denunce firmate con nome e cognome.
Dire o insinuare che Giorgio Cremaschi avrebbe consapevolmente inventato dei brogli inesistenti per danneggiare la Cgil nella consultazione, è una calunnia che respingo al mittente, chiunque esso sia, contro la quale mi difenderò nel nome del diritto al rispetto che viene prima di qualsiasi cosa.
La consultazione ha dato un responso chiaro, tranquillizzo i compagni, possono leggerlo anche sui volantini della Rete, abbiamo detto che ha vinto il sì. E, tuttavia, è un voto che andrebbe letto, studiato, non brandito come una clava contro il dissenso. L’unica cosa che condivido della relazione di Epifani è il fatto che non si può usare la categoria del disagio, che è di tutto il mondo del lavoro, per interpretare il no. Per me il no è semplicemente un’altra posizione, un altro giudizio sull’accordo. Un giudizio difficile da dare visto che, al di là delle condizioni materiali della consultazione, era evidente che essa non era uguale a quella del ’95, ove tutti i consultati perdevano qualcosa, mentre con questo protocollo c’era chi guadagnava, chi perdeva di meno, chi perdeva di più. Occorreva una mediazione culturale e politica, sia per il sì, sia per il no. E io penso che pur essendo minoranza 1.000.000 di no, di cui solo 300.000 dei metalmeccanici e 700.000 nelle altre categorie, visto che tra i pensionati il no è inesistente, dovrebbero far riflettere e non essere considerati davvero solo un disagio o figli di un complotto. Certo il sì ha vinto con 4.000.000 di voti, di cui però sarebbe utile ragionare sul fatto che più di 1/5 si trovano in due sole regioni che, peraltro, assieme hanno anche più di 1/5 di tutti i votanti e hanno raddoppiato la partecipazione al voto rispetto al 1995 quando in gran parte del centro nord essa è calata. Un compagno ha dichiarato che parlare di questo è razzismo antimeridionale. Al contrario, l’organizzazione dovrebbe esaltare le virtù troppo nascoste di una capacità di organizzare una partecipazione al voto là dove il lavoro è disperso, superiore che nei grandi centri industriali. Ricevo ogni tanto dalla Toscana i dati del lavoro minuzioso di un compagno che segue l’artigianato e il piccolo commercio e i suoi successi e le sue difficoltà si contano spesso sulle unità. Così pure scontiamo sempre una grande difficoltà a far partecipare alla vita sindacale le figure professionali più alte. Ebbene, in Campania hanno partecipato al voto più di 40.000 edili e più di 60.000 dipendenti del mondo della scuola e dell’università. Ecco, io credo che la capacità di organizzare le persone di questi compagni dovrebbe essere messa a conoscenza di tutta l’organizzazione e valorizzata, perché abbiamo tutti da imparare da loro.
La segreteria confederale, nella sua relazione, non ha inteso dare dignità di interlocuzione a chi nel gruppo dirigente ha sostenuto il no. Ci sono quelli come me che hanno delegittimato l’organizzazione, quindi finiranno in Commissione di garanzia (consiglierei alla segreteria minor ipocrisia, non siamo alla Camera dei Lord e se la segreteria confederale fa capire che “di Cremaschi si occuperà la Commissione di garanzia”, vuol dire che è la segreteria che vuole che questo accada e quindi se ne deve assumere le responsabilità politiche). C’è il gruppo dirigente della Fiom, che agisce per ragioni politiche esterne all’organizzazione e per questo decide di votare no nel Comitato Centrale, c’è Lavoro Società che, a Firenze, organizza manifestazioni che sono accostate al terrorismo. Mi pare chiaro che questa segreteria e questa maggioranza non ha nessuna voglia di discutere. Se posso dirlo non l’ha mai avuta, dal congresso in poi non ricordo un solo momento nel quale ci si sia potuti fermare davvero a riflettere sulle difficoltà, sugli smacchi, sulle contraddizioni che erano di fronte alla Cgil. Mai una vera analisi della realtà. Eppure stiamo andando alla crisi del sistema politico, all’attacco al sistema contrattuale, all’affermazione brutale da parte Cisl e Uil, come neanche avveniva quando c’era al governo Berlusconi, della validità della legislazione sul lavoro, ma di tutto questo non si discute. Ricordo il dramma della notte del 23 luglio, le parole pesanti, le dichiarazioni di fine della concertazione, il senso di umiliazione che percorreva il gruppo dirigente. Ebbene tutto questo si è scaricato addosso a chi ha sostenuto il no.
No, così non va, così si porta l’organizzazione a drammatiche sconfitte, da parte di un gruppo dirigente che più il tempo passa e meno si mostra all’altezza. Questo almeno è il mio giudizio e su questo pretendo di essere giudicato.
Ieri una delle fabbriche dove il no è stato grande maggioranza, la Same di Bergamo, ha scioperato in massa per il contratto, in aggiunta al pacchetto di ore nazionali, è la prima in Italia. Ecco, io penso che chi ha impostato il direttivo in questo modo non ha valutato le conseguenze che possono avvenire una volta che usciamo da questa sala e il nostro rapporto con una parte dei lavoratori che non considerano anch’essi i loro no un disagio, ma parte di una battaglia politica legittima dentro il loro sindacato. E’ un errore grave, così come è senza senso la discussione sui limiti del dissenso. Il dissenso che non ha il diritto di essere pubblico è un dissenso che non esiste, senza diritti. Le maggioranze hanno già la forza della maggioranza, senza avere bisogno di cancellare l’esistenza pubblica di un’altra posizione. Questo almeno in una democrazia e in una democrazia moderna nella quale, per fortuna, con tutte le sue contraddizioni ci sono i giornali, la televisione, internet e tutto il resto. No, non vedo nulla di positivo nella discussione legge-ordine, nel tentativo di affermare nella Cgil un centralismo democratico che non ha mai fatto parte della storia di questa organizzazione, neppure negli anni Cinquanta. No, non vedo nulla di positivo nel fatto che usciti da questo direttivo comincerà il processo politico a Gianni Rinaldini e quello disciplinare a me, e forse anche ad altri.
Sinceramente, dopo trent’anni verrebbe voglia di rassegnarsi e di pensare a una propria vita migliore. Tuttavia sabato, in una grande manifestazione, ho visto sul palco un comunista di oltre novant’anni dire semplicemente “la lotta continua”, e quindi anche per me, nonostante tutto, la lotta continua dentro la Cgil per cambiare la Cgil.