Nella relazione del segretario si torna ad utilizzare la categoria della crisi della politica. A me pare che così facendo si ricada nell’errore compiuto in occasione della conferenza di organizzazione, e cioè quello di spostare i problemi su un piano meta-politico. E, invece, il dilagare del populismo testimonia la crescente egemonia della destra dovuta , in primo luogo, alla deriva che ha subitouna sinistra che sta perdendo la propria identità e non è più in grado di intercettare il disagio crescente.
Certamente la massima responsabilità è ascrivibile al nascente Partito Democratico e alla scelta del gruppo dirigente DS in primis. Lo scioglimento dei DS in un partito moderato di centro segna, anche simbolicamente, la crisi della sinistra italiana. L’involuzione sicuritaria e il profilo estremamente moderato del nuovo partito costituiscono, poi, il maggior riconoscimento alle posizioni della destra, le cui ragioni trovano nuova legittimità. Ma la crisi della sinistra non si ferma ai Ds, ma investe anche la sinistra radicale, e la stessa Rifondazione Comunista. E’ una crisi di proposte, ma soprattutto l’capacità di incidere, immobilizzati – come siamo – in un ruolo di governo del tutto irrilevante, in una compagine che sempre di più tradisce le aspirazioni degli elettori che l’avevano sostenuta.
Se non si parte da qui non si va da nessuna parte. Se non si coglie quanto sia drammatica questa involuzione e inadeguatezza della sinistra non si può intervenire sulla crisi della rappresentanza, sul qualunquismo dilagante e sulla crescente influenza della destra nel paese. In questo contesto i nodi che ci stanno di fronte sono, in primo luogo, quello del governo e della sua palese inadeguatezza. Ma vi è, in prospettiva, anche un nodo strategico che occorrerebbe affrontare esplicitamente. La svolta moderata impressa dal Partito Democratico alla stessa iniziativa del governo non è un episodio contingente, ma una tendenza che rientra in un disegno consapevole ed organico. E’ il proposito di realizzare in Italia un sistema bipolare di stampo americano, con la diluizione delle differenze fra i due schieramenti, che finiscono entrambi col collocarsi all’interno di una prospettiva liberista.
Se si vuole con serietà parlare di proposta alternativa bisogna allora avere chiaro che è a questo disegno politico/istituzionale – espresso compiutamente dal nascente PD – che occorre contrapporre una proposta diversa. Ma è questo l’orizzonte che muove la “cosa rossa”? Non mi pare. Il dato che emerge in modo evidente nelle vicende degli ultimi mesi è che all’interno della “cosa rossa” vi sono alcuni soggetti politici che assumono la compartecipazione al disegno bipolare come una condizione essenziale dell’agire politico. Che ritengono che vada in tutti i modi preservato un ruolo di governo. Che infine, per ottenere questo risultato, occorra mantenere comunque una relazione col Partito Democratico, pena la propria autoesclusione, appunto, dalle logiche della competizione bipolare.
Dietro le rotture prodottesi con Sinistra Democratica sulla manifestazione contro Bush, sulle valutazioni dell’accordo di luglio, sul giudizio sulle posizione della Fiom ed ora sulla scelta della manifestazione del 20 ottobre, vi è questo. Si può su queste basi proporre l’unificazione con questa forza per dar vita ad un nuovo partito, una federazione o quant’altro, senza essere assorbiti in una prospettiva di tendenziale omologazione? Non credo. Per questo ritengo l’attuale posizione sostenuta dal gruppo dirigente un grave errore. Non capisco come si possa proporre dopo una manifestazione cui un pezzo della “cosa rossa” non intende aderire, una nuova accelerazione del processo. Dovremmo onestamente fermarci e riflettere su ciò che sta accadendo, sulle questioni di merito, anziché procedere per inerzia verso un progetto contraddittorio e puramente politicista.
Ma non si tratta solo di questo. La mia critica si estende ai comportamenti che sono figli di questa impostazione e che si caratterizzano per il continuo stop and go della nostra iniziativa, per l’alternarsi di critiche al governo e propensioni alle mediazioni al ribasso, per questo continuo oscillare fra richiami al movimento a derive politiciste. Una linea contraddittoria le cui ragioni sono chiare: la non volontà di fare i conti con la questione del governo e della “cosa rossa”, nel timore di dover modificare la linea fin qui assunta. Modifica che, invece, è quanto mai urgente. L’ultimo episodio di questa pratica altamente contraddittoria è la decisione di non impegnarsi per il no nella consultazione sindacale sugli accordi di luglio. Si tratta di una posizione incomprensibile e pericolosa.
Come si fa a plaudire all’iniziativa della Fiom e poi uscire con volantini che evitano di pronunciarsi sull’accordo? Per quale motivo Rifondazione dovrebbe rinunciare alla propria autonomia? E non è autolesionista lasciare che la consultazione si produca nel totale isolamento della Fiom e in un clima di limitazione del dissenso, senza fare nulla? Chiedo: se il risultato del referendum fosse molto negativo e segnasse la marginalità della Fiom, davvero riteniamo che la manifestazione del 20 ottobre avrebbe lo stesso esito? E su che base verrebbe poi condotto il confronto con il governo? Urge un cambiamento di linea, andando avanti così si finisce per snaturare il nostro ruolo e compromettere irreversibilmente il nostro progetto politico.