La maggioranza del partito ci ha ormai abituato a cambi repentini di linea e a modifiche anche clamorose, in corso d’opera, della linea politica. Lo abbiamo potuto constatare nel caso del giudizio sulla finanziaria dello scorso anno, prima rappresentata come una grande svolta e poi criticata – a cose fatte – come un provvedimento scarsamente influente sul piano sociale. Lo stesso si è verificato nel caso del protocollo del welfare, ponendovi prima grandi speranze – ricordate il clima trionfalista al Comitato Politico Nazionale sulla questione lavori usuranti ?- e poi dovendo riconoscere il sostanziale insuccesso. Lo stesso sta succedendo ora. Dopo aver tuonato alla Camera contro lo sfregio della riconferma dell’impostazione iniziale del protocollo da parte del governo e aver dichiarato che una fase politica era finita, annunciando una verifica col governo a gennaio decisiva, ora sulla base della relazione del segretario la verifica si sta trasformando nell’ennesima azione di pressione, priva di una vera volontà di confronto sull’impostazione programmatica complessiva.
Ma vi è di più, giacché questa fantomatica verifica è stata la giustificazione sulla base della quale si è deciso di rinviare il congresso del partito, benché il segretario avesse già presentato la bozza di mozione, le commissioni si fossero riunite, e il calendario fosse stato quasi definito. Non solo, nel momento in cui si è deciso il rinvio si è anche precisato che al suo posto vi sarebbe dovuta essere una consultazione vincolante degli iscritti del partito per decidere cosa fare, in merito alla nostra collocazione di governo. Oggi, sempre sulla base della relazione del segretario, veniamo a sapere che la piattaforma, mai discussa non solo nel partito ma neanche nei gruppi dirigenti, è già stata decisa dai vertici della “cosa rossa”, che il confronto col governo è già iniziata sulla parte salariale, che il dibattito coinvolgerà un generico popolo della sinistra e nulla di chiaro vi è in merito alla vera e propria consultazione degli iscritti del partito. Siamo, di fatto, alla farsa. E la ragione sta nel fatto che non solo non vi è alcuna seria intenzione di una verifica complessiva dell’azione del governo, ma che si vuole condizionare col fatto compiuto il dibattito nel partito, temendo un vero confronto democratico. Devo anche dire che, benché sia positivo che anche settori dell’attuale maggioranza allargata esprimano qui critiche, alla fin fine gli unici che si sono distinti nella scorsa direzione sul rinvio al congresso siamo stati io e Bellotti. Il rinvio del congresso è stato tranquillamente accettato, a dimostrazione di una evidente contraddizione fra pronunciamenti e scelte concrete, come sempre è avvenuto all’interno di questa maggioranza e dei suoi sostenitori più o meno esterni.
Ma veniamo al merito. In primo luogo, sulla questione della redistribuzione del reddito, unico punto della piattaforma sul quale si è qui soffermato il segretario. Su questo terreno occorre essere molto chiari anche per evitare astuzie e tracheggiamenti. Innanzitutto, occorre precisare che fino ad ora le politiche di redistribuzione del reddito sono state molto ambigue. Valga per tutte l’esempio del sostegno degli incapienti che si è tradotto in agevolazioni ad una platea talmente ampia di soggetti da vanificare una qualsiasi seria politica di redistribuzione. Non solo, fino ad ora ogni qualvolta vi è stata una qualche forma di redistribuzione a favore dei redditi medio-bassi, simmetricamente vi è stato un intervento a favore delle imprese. Nella discussione in corso sulle nuove misure a sostegno dei salari quello che si percepisce è il tentativo esplicito da parte di alcuni settori della maggioranza di governo di operare uno scambio fra sostegno ai redditi medio-bassi e nuove agevolazioni alle imprese, siano esse defiscalizzazioni o sostegni alla produttività. A tale riguardo vorrei anche sottolineare l’inaccettabilità di una proposta che, seppure relativamente alla contrattazione nazionale, prevederebbe misure di riduzione fiscale alle imprese per gli aumenti salariali. Se questa scelta venisse assunta ci troveremmo di fronte al fatto che uno dei pochissimi strumenti per ridistribuire gli enormi profitti verrebbe vanificato. Vi sono quindi grandi ambiguità sullo scenario che si sta aprendo e sarai meno ottimista – in questo senso – di quanto sia stato il segretario. +
Ma non si tratta solo di questo. Una verifica per essere tale richiede un confronto a più ampio raggio. Mi chiedo a tale proposito: s’intende porre la questione delle missioni militari oppure diamo per scontato che ormai dovremo abituarci a votare a favore della missione in Afghanistan? Sulla base di alcuni interventi che ho sentito mi pare che ormai siamo agli escamotage più fantasiosi per accettare la situazione di fatto. Segnalo, peraltro, che alla Camera è già in discussione in commissione il decreto “mille proroghe” che contiene la riconferma delle missioni militari. Intendiamo dire qualcosa? Sulla moratoria sul Dal Molin, peraltro, sulla quale ovviamente sono d’accordo, mi pare evidente che il rischio sia quello di una proposta che assolve la finzione di alibi al cedimento sull’Afghanistan e che, in ogni caso, ha assai poche possibilità di essere accolta. Si dovrebbero poi affrontare altri nodi. Per esempio: la precarietà, le questioni ormai dirompenti in merito alla laicità dello stato, e via dicendo. Sottolineo, tuttavia, che anche in tema di lavoro vi sono questioni che non dovrebbero essere derubricate. Faccio un esempio. La vicenda Thyssen Crupp mette in evidenza l’intreccio nella questione della sicurezza del lavoro del tema delle condizioni del lavoro con quello degli orari. Mi chiedo: possiamo noi derubricare la questione della vergognosa detassazione degli straordinari dal confronto col governo?
Nel suo intervento il segretario ha affrontato alcune questioni, mentre ne ha dimenticate altre. Fra quelle che ha dimenticato vi è la vicenda della legge elettorale. A tale proposito, non posso qui che confermare il mio giudizio molto negativo sull’operazione sostenuta dal partito. Considero la convergenza con Veltroni e Berlusconi sulla bozza Bianco una delle scelte più assurde in campo istituzionale mai fatta. Non discuto qui della prosposta della legge tedesca come modello di riferimento, benché ritenga che uno sbarramento del 5% sia obiettivamente troppo alto. Mi riferisco invece all’assunzione – con la bozza Bianco – di un’impostazione bipartitica che resta pericolosissima. Né credo valga l’argomento che comunque bisognava contrastare il referendum. Molte erano le strade percorribili. Questa ci può condurre ad un’emarginazione della sinistra a livello istituzionale, oltre che – paradossalmente – alla rottura dei rapporti politici a sinistra.
Ancora, sulla questione rifiuti, dovrebbe essere chiaro che la vicenda di Napoli ha un rilievo nazionale e che si riverbera sull’immagine dell’intero partito. Sono state dette molte cose a riguardo, anche condivisibili. Il punto è che permangono ambiguità su due punti decisivi. Il primo riguarda il giudizio politico. Mi chiedo: di fronte ad una crisi che si protrae da 14 anni e di fronte alle evidenti responsabilità del centro-sinistra, di cui noi facciamo parte anche nelle istituzioni locali, quale segnale di discontinuità politica lancia il partito? A me non pare credibile che ci si limiti a sostenere che così non si può più andare avanti. Questo è evidente. Il problema è che occorre un atto. Non si vuole chiedere le dimissioni di Bassolino perché provocherebbero una crisi istituzionale ora inopportuna, bene. Ma perché Rifondazione non ritira la sua rappresentanza dal governo locale?
E ancora: tutta la discussione sulla situazione del problema rifiuti tende ad evitare un nodo improcrastinabile, e cioè la scelta dei siti delle discariche. Occorre essere chiari: gran parte dei siti ora o in passato usati per lo stoccaggio dei rifiuti non garantiscono la sicurezza di cittadini e non vi sono, ad oggi, serie garanzie che le analisi che dovrebbero essere fatte sulle discariche esistenti siano imparziali. Si pone alloro il problema di identificare nuovi siti sicuri e di trovare soluzioni alternative per il periodo di alcuni mesi necessario a mettere le nuove discariche in condizione di poter funzionare senza sottoporre a rischi popolazione e ambiente. Come lo si fa? Questo è il nodo che va affrontato subito.
Infine, mi soffermo su un ultimo punto. Il segretario ci ha annunciato l’intenzione di avviare una campagna di tesseramento al partito per il 2008, intrecciandola con il dibattito sulla “cosa rossa”. Che questo intreccio sia possibile mi lascia molto perplesso. Fra l’altro, vorrei sapere come mai la proposta di tesseramento al nuovo soggetto si è arenata? È vero che le altre forze non sono d’accordo?. Personalmente la cosa mi fa molto piacere, dato che credo sarebbe stato davvero difficile rilanciare il tesseramento del partito e in contemporanea quello della “cosa rossa”. Il punto sul quale vorrei, in ogni caso, richiamare la vostra attenzione è che il tesseramento 2008 del partito verrebbe promosso in assenza – a tutt’oggi – della benché minima verifica dell’andamento del tesseramento 2007. Non è paradossale? Le informazioni che circolano è che il tesseramento del 2007 si conclude in modo molto negativo, con alcune realtà, specialmente al nord, che registrano cali clamorosi. E’ così? E in ogni caso, il partito ha il diritto o no di sapere come vanno realmente le cose? Ed ancora: si può continuare ad enfatizzare la “cosa rossa” senza chiedersi quali effetti questa linea sostenuta dalla maggioranza abbia sull’organizzazione del partito? Abbiamo bisogno di un ragionamento serio, fuori dalla propaganda . Le cose non vanno bene, il partito è in crisi e un gruppo dirigente ha il dovere di interrogarsi sul perché ciò avvenga.