Intervento di Gianluigi Pegolo al CPN del 5-6 ottobre 2007

La relazione che ci ha presentato il compagno Giordano contiene elementi di analisi della situazione sociale in parte condivisibili, ma elude due questioni fondamentali: il giudizio sull’operato del governo e le difficoltà che sta incontrando la proposta di costituzione del nuovo soggetto della sinistra.

Sul governo il giudizio sulla proposta di finanziaria è inutilmente trionfalistico. A ben guardare, rispetto al dibattito degli scorsi mesi, vi sono delle misure aggiuntive, e non scontate, sugli affitti o su qualche altra posta, ma è evidente che, in larga misura, ci si muove lungo una rotta tracciata, e cioè il bilanciamento fra sostegno alle imprese e timidi interventi a favore delle fasce svantaggiate. Come minimo si dovrebbe riconoscere che l’abbassamento delle aliquote dell’IRES e dell’IRAP si aggiunge alla regalìa del taglio del cuneo fiscale dell’anno scorso e che tale scelta diventa preclusiva di un intervento sociale più incisivo. Né da questo punto di vista le affermazioni di Padoa Schioppa sul saldo zero dell’onere ricadente sullo stato, in virtù dell’ampliamento della base imponibile, costituisce una giustificazione per una scelta inequivocabile nelle sue finalità politiche. Per converso, gli aiuti agli incapienti sono risibili e, come già avvenne nella scorsa finanziaria, il risultato complessivo in termini di redistribuzione del reddito e sostegno alle fasce deboli resta molto esiguo. A questo si aggiungono provvedimenti demagogici e sbagliati come quello che, in ossequio alla necessità di comprimere i costi della politica, prevede un ulteriore taglio del numero dei consiglieri comunali e provinciali, con buona pace dell’esigenza di valorizzazione delle assemblee elettive. E, tuttavia, l’aspetto più critico della manovra finanziaria sta in quelle disposizioni assunte dal protocollo su welfare, mercato del lavoro e produttività, siglato a luglio con i sindacati confederali. Tali disposizioni sono parte integrante della manovra, benchè siano formalmente contenute in un allegato. Le notizie che trapelano segnalano che il governo sarebbe disponibile ad operare delle piccole modifiche, ma quello che mi pare assodato è che si tratterebbe di cambiamenti che non metterebbero in discussione la sostanza di quegli accordi. E ciò vale, sia per la previdenza, che per il lavoro precario, che per altre misure relative alla produttività aziendale.

Il governo opera, quindi, in sostanziale continuità con la linea di politica economica perseguita in questi mesi, incentrata sulla riduzione del debito, il sostegno alle imprese e il contenimento della spesa pubblica. L’intervento di redistribuzione del reddito, collocandosi a valle di questa impostazione, assume un carattere del tutto marginale. Il partito dovrebbe ragionare di questo e soprattutto dello iato crescente fra aspettative dell’elettorato della sinistra e risultati concreti. La domanda che andrebbe posta è se in presenza di una palese inadempienza dell’esecutivo, rispetto ai contenuti del programma, ma soprattutto di fronte alla irrilevanza del suo intervento per ridurre le disuguaglianze e al malcontento crescente che si produce nella sua base sociale, sia proponibile continuare così. Quello che si pone, in particolare, è l’esigenza – nel caso in cui l’impostazione della manovra finanziaria fosse inadeguata – di avviare un percorso di disimpegno dal governo, che può essere praticato in modo tale da evitare una brusca precipitazione della situazione, ma che non può essere eluso.

Il secondo elemento di dissenso con la relazione che ci è stata presentata riguarda la proposta politica in senso stretto e cioè la riproposizione acritica della costruzione di quel soggetto unitario e plurale, che molti chiamano ormai “cosa rossa”.

Motivando la scelta col richiamo ai pericoli derivanti dalla costituzione del Partito Democratico, nella relazione si ribadisce che la soluzione ai nostri problemi sta nella costruzione di questo nuovo soggetto. E qui, come al solito, si finisce nell’ auspicio non motivato. Avviene, così, che a fronte alle ricorrenti divisioni fra quelli che dovrebbero diventare i soci fondatori del nuovo soggetto, si stende un velo pietoso, mentre si ribadisce la necessità di proseguire. Ed anzi, proprio in ragione delle crescenti difficoltà, si punta ad accelerare il processo di unificazione, avanzando ora la proposta degli “stati generali della sinistra”, una formula enfatica che nasconde l’idea di dar vita all’ennesima kermesse di ceto politico.

A prescindere dalle diversità di giudizio sulla proposta del nuovo soggetto politico, come si fa ad eludere i problemi che si stanno incontrando nella sua realizzazione? La stessa manifestazione non può essere invocata come atto fondativo di un soggetto che proprio sull’adesione a quella manifestazione si è diviso. Né si può trascurare la portata delle divisioni. Il fatto che rispetto ai recenti accordi Rifondazione si esprima a sostegno delle posizioni della Fiom, mentre Sinistra Democratica appoggi il gruppo dirigente della Cgil, può essere considerata una banalità?

Il punto esenziale è che nel corso di questi mesi si è reso evidente il punto di vista di Sinistra Democratica, ma anche di componenti presenti trasversalmente nelle forze che dovrebbero dar vita al nuovo soggetto. Si tratta di un’impostazione che , in ultima analisi, si riconosce in un’opzione bipolare, funzionale a valorizzare un ruolo di governo. In questo senso, non solo si vede come pericolo mortale il disimpegno da tale ruolo, anche a prescindere dall’efficacia dell’azione dell’esecutivo, ma si considera necessario stabilire un rapporto organico col Partito Democratico, che costituisce il partner obbligato nella prospettiva dell’alternanza.

È questo il vincolo politico che grava sull’operazione del nuovo soggetto, eluderlo significa rassegnarsi a subirlo.

Chi nel nostro partito avverte con preoccupazione questi rischi, ma non fa nulla per contrastare le scelte di fondo, sottovaluta il fatto che già oggi sono percepibili i condizionamenti che Rifondazione Comunista subisce in ragione della presenza di questa tendenza all’interno della “cosa rossa”. L’esempio più eclatante è stata la rinuncia a svolgere un ruolo attivo nella consultazione dei lavoratori sugli accordi di luglio. Tale scelta, giustificata in nome del rispetto dell’autonomia del sindacato, tradisce invece il timore di perdere il rapporto, oltre che col governo e con la Cgil, con pezzi del nascente soggetto politico e, in particolare, con Sinistra Democratica. Il mancato appoggio esplicito ai lavoratori impegnati nella battaglia per il no è il prezzo che si sta pagando. Si tratta di una scelta assurda che fa perdere ruolo al partito e che indebolisce oggettivamente la lotta dei lavoratori.

Mi auguro che nel congresso si affrontino questi temi, in modo serio e senza reticenze, anche se – confesso – non ne sono sicuro. Ho l’impressione, anzi, che per portare a casa l’assenso alla costruzione del nuovo soggetto, si voglia evitare di fare i conti fino in fondo con le difficoltà che incontriamo, giocando – come si è fatto peraltro molte volte in passato – sulle suggestioni anziché su valutazioni concrete.

Per tutte queste ragioni ritengo che la linea attuale del partito debba essere cambiata. Il “governiamo” e il “politicismo” che io ravviso nelle posizioni della nuova maggioranza del partito si stanno arenando sugli scogli dell’impopolarità del governo e dell’erosione dei consensi al partito. Non vi è alcuna ragione per continuare su questa strada. Abbiamo un’alternativa concreta che possiamo praticare. Occorre attivare un percorso di autonomizzazione del partito dal governo. Il primo banco di prova è questa finanziaria e in particolare la questione degli accordi di luglio. Se non riusciremo ad ottenere modifiche significative, non c’è alcuna ragione per mantenere inalterato la nostra attuale collocazione e si pone la necessità di un disimpegno. Sulla “cosa rossa” prendiamo atto che ciò che è praticabile è l’unità d’azione su alcuni punti. Tutto il resto è velleitario è pericoloso. Non di un nuovo soggetto politico abbiamo bisogno ma di un rilancio della prospettiva della Rifondazione comunista. Non si tratta di pie illusioni. Vi sono forze politiche e sociali che guardano a no, non in nome di un generico riferimento antiliberista, ma dell’ancoraggio ad un punto di vista comunista ed anticapitalista. A differenza che in passato, oggi vi sono le condizioni per un allargamento della base politica e sociale di Rifondazione Comunista. Su questo ha senso impegnarsi.