Il 14 luglio 2006 gli “ otto senatori ribelli” ( un nome che non mi piace, ma così ci chiamava la stampa) organizzarono una manifestazione a Roma per dire no al rifinanziamento della missione di guerra in Afghanistan.
Quella manifestazione, sorretta solo da otto poveri cristi, senza mezzi e senza strutture, divenne una grande iniziativa di massa, durante la quale intervennero Alex Zanotelli, Gino Strada, Dario Fo, gli esponenti dei movimenti di Genova, del movimento contro la guerra, della FIOM, dei sindacati di base, artisti, intellettuali, quadri operai delle grandi fabbriche.
L’iniziativa aveva tre obiettivi: 1) riporre al centro del dibattito pubblico la questione Afghanistan, sopitasi all’interno del governismo generale; 2) riallacciare i rapporti tra Prc, sinistra e movimenti; 3) spostare la sinistra parlamentate, compreso il Prc, su posizioni di lotta e contrarie al rifinanziamento della guerra. I primi due obiettivi – molto transitoriamente e molto parzialmente – furono colti; il terzo no ed anzi, il compagno Giordano, in una Direzione di fine estate, tuonò contro l’iniziativa e scagliò contro i quattro senatori del Prc la prima minaccia d’espulsione, una minaccia volta a difendere l’ordine governista interno, il conformismo di partito, la subordinazione ai capi e tutto il governo Prodi.
Fui, credo di poter dire, tra i massimi organizzatori di quella manifestazione del 14 luglio. Ricordo che ne parlai con il compagno Ramon Mantovani, che giustamente – oggi e non da oggi – critica il governismo. Ramon mi disse che era contrario all’iniziativa, che doveva essere il partito ad impegnarsi, senza rompere con il governo Prodi. Ramon avrà avuto le sue buone ragioni. Tuttavia, credo che quando un dirigente comunista si accorge, si rende conto che il suo partito va mutando pelle e passa dalla lotta contro la guerra imperialista alla difesa di un governo subordinato agli Usa e alla NATO, questo dirigente deve avere uno scatto di libertà, di autonomia e battersi per salvare il proprio partito, ricollocando al centro la più grande delle questioni: la lotta contro la guerra.
Nel voto successivo sull’Afghanistan fui convocato dal compagno Giordano in Direzione e anche in quell’occasione Franco mi ricordò, teneramente, che se mi fossi azzardato a votare in modo difforme dai dettami del partito, sarei stato espulso.
Compagno Giordano, scusami, ma in quella occasione tu non mi leggesti nessuna poesia, non ti commovesti affatto: contro di me sollevasti – senza paura di abbandonare la teoria della non violenza – solo la clava dell’ordine governista interno!
Il gruppo dirigente del nostro partito asseriva che se avessimo rotto con il governo sulla questione della guerra la gente non ci avrebbe capito e che avremmo dovuto, poi , alzare il tiro sulle questioni sociali.
Di fronte al voto sul Protocollo del 23 luglio l’area de l’ernesto chiese al partito di votare contro e ritirare la delegazione dal governo. Il partito, di nuovo, si genuflesse all’ordine governista, consumando la residua credibilità verso il nostro popolo e verso il movimento operaio complessivo.
Ho un grande rispetto verso il compagno Ferrero e anche una stima sincera. Ma credo che in quella occasione il Ministro Ferrero, il compagno Ferrero, avrebbe potuto prendere in considerazione la possibilità di dimettersi: sarebbe stata una scelta di libertà, un gesto coerente che avrebbe fatto molto bene al nostro partito e al suo rapporto con il movimento e con il mondo nel lavoro.
Anche nell’occasione del voto sul Protocollo chiesi al gruppo dirigente di poter votare in modo differente dal “si” imposto. La risposta fu la solita : espulsione, espulsione, espulsione.
Ora, io non voglio infierire, né scivolare nella melma degli attacchi personali. Tuttavia, una cosa voglio dirla: care compagne e compagni della maggioranza: il boomerang dell’espulsione vi si è rivolto contro ed oggi è il nostro popolo, è la punizione elettorale che espelle voi, di fatto, dalla direzione del Partito della Rifondazione Comunista!
Sono rimasto davvero sconcertato dalla relazione surreale del segretario.
Caro Franco, siamo quasi chiusi in una cassa da morto e tu ci proponi di curarci di nuovo con l’acqua e zucchero di Bertinotti.
C’è chi ancora non ha capito che la vittoria delle destre è figlia di un pensiero reazionario forte al quale dobbiamo finirla, pena la scomparsa definitiva della sinistra, di contrapporre pensierini deboli, come quelli farfalleschi e stravaganti che Bertinotti ha “teorizzato” nell’ultimo decennio. Centralità del lavoro e dello scontro capitale-lavoro; centralità della lotta antimperialista sia per la pace che per l’autonomia del Paese, del nostro popolo e della “classe”; proposta strategica – capace di segnare di sé anche la tattica e la battaglia quotidiana – di una prospettiva di superamento del capitalismo: queste – in sintesi rozza – le questioni centrali che debbono essere messe in campo per offrire al senso comune di massa un pensiero forte che possa contrapporsi al pensiero reazionario dilagante. E tutto ciò veicolato da un partito comunista pesante e di massa avente come obiettivo prioritario la costituzione di un nuovo blocco sociale per l’alternativa.
Nella relazione tu dici, compagno Giordano, che siamo tutti responsabili della disfatta.
Non puoi dirlo!
Molti altri, anche coloro che oggi cercano nuove verginità, anche coloro che hanno svolto il ruolo di minoranze dialettiche, hanno grandi responsabilità.
Noi de l’ernesto no! Noi non siamo responsabili della disfatta.
Le compagne e i compagni che hanno svolto il duro e difficile ruolo di “opposizioni cattive” non hanno responsabilità. Noi ci siamo battuti sempre, coerentemente, e non solo in prossimità del naufragio, contro una linea sbagliata e antipopolare, che ha portato alla catastrofe.
Nella relazione del segretario, sorprendentemente, non vi è nessuna, vera, autocritica.
E anzi, fondamentalmente, si ripropone la linea di Waterloo.
Una volta per tutte noi dobbiamo dare un nome ed un cognome alla disfatta:
governismo è il nome; liquidazione del partito comunista il cognome!
E’ in questo nefasto combinato disposto la causa della sconfitta, il rischio della nostra fine!
Genuflessione alla NATO, agli USA, all’Unione europea e alla Confindustria, insieme alla violenta, antidemocratica, trasformazione del partito comunista in un soggetto – l’Arcobaleno – nell’essenza socialdemocratico e offerto come un perfetto sconosciuto – di cui non fidarsi – alle masse.
Come se ne esce? Come usciamo dalla nostra crisi?
La proposta di Giordano è apparsa confusa e contraddittoria: da una parte ( dopo aver definito il partito, la forma partito, un residuo del ‘900, cosa che non depone certo a favore di una volontà di rilancio del PRC) Giordano ha affermato che Rifondazione non può trasformarsi in una Federazione di sinistra, poiché tutte le federazioni ( dall’Izquierda Unida all’Arcobaleno) sono drammaticamente fallite. E su ciò ha perfettamente ragione. Per poi – appunto, in modo contraddittorio – proporre di fatto una costituente di sinistra simile all’Izquierda Unida, esperienza nella quale, come si sa, si è liquefatta da tempo l’autonomia e l’identità comunista spagnola.
Un’altra proposta che va prendendo corpo ( lungo lo strano asse Ferrero-Mantovani-Grassi) è quella di una Federazione di sinistra che si costituisca a partire dalla sinistra europea, con spolverate di movimentismo e laburismo.
In questo dibattito ciò che scompare è il partito comunista, e tanto forte è la rimozione comunista che anche una proposta come quella dell’unità dei comunisti, lanciata dal compagno Di liberto
( proposta con la quale si può legittimamente essere o non essere d’accordo ) viene demonizzata e respinta come la peste, con una violenza degna di essere volta verso i padroni, piuttosto che contro i comunisti! Ci sarà un tempo – non lontanissimo – in cui qualcuno si accorgerà di aver dato un bel contributo – in questa fase reazionaria – a quell’arco di forze imperialiste e capitaliste che nell’area dell’Unione europea punta a demonizzare, emarginare, spegnere il movimento comunista, sino a cacciarlo nell’illegalità e addirittura nelle galere.
Noi crediamo invece che il primo obiettivo sia proprio il rilancio di un partito comunista forte, radicato, organizzato, di lotta, democratico al suo interno, contrario al leaderismo, alle monarchie; un partito comunista non nostalgico, che faccia del conflitto sociale e della ricerca politica e teorica aperta il suo pane quotidiano. Un partito antimperialista e anticapitalista, che tanto più sarà forte tanto più garantirà l’unità delle sinistre!
Noi non possiamo non capire che senza il partito della Rifondazione comunista – senza la sua forza e la sua autonomia – non vi sarebbe stata quella vasta unità a sinistra entrata in campo nel referendum sull’articolo 18; Genova non sarebbe stata Genova; e il 20 ottobre del milione di uomini e donne sotto le bandiere rosse non voi sarebbe stato.
E’ per questo partito comunista dal pensiero forte, organizzato, radicato, democratico, aperto, culturalmente e politicamente autonomo e unitario che ci batteremo, al Congresso e dopo il Congresso !