India: Congress Party e comunisti

LA GRANDE AVANZATA DELLE FORZE DI SINISTRA E DEI COMUNISTI INDIANI ALLE ULTIME ELEZIONI ASSUME UN SIGNIFICATO CHE OLTREPASSA L’INDIA DIVENENDO POSSIBILITÀ DI POSITIVO CAMBIAMENTO GEOPOLITICO.

Nel giro di pochi mesi, dopo i risultati di Spagna e Francia, le elezioni politiche in India confermano la scarsa credibilità dei sondaggi. Smentendo tutte le previsioni, Sonia Gandhi, la ragazza di Orbassano che 36 anni fa sposò Rajiv ( ucciso nel ’91 da un fanatico Tamil ), benché marchiata dai nazionalisti del BJP come una straniera, incompatibile con la tradizione induista, ha guidato il Congress Party alla vittoria, riuscendo a compiere un’ impresa che in molti giudicavano impossibile.
Ma il risultato più straordinario e negletto dai media è stato la consistente avanzata della sinistra indiana: i due partiti comunisti, il PCI (m) ed il PCI, ottengono il risultato più alto dal 1952 e conquistano 64 seggi al parlamento di Delhi (ne avevano 41 nel 1998).
Complessivamente i partiti collocati a sinistra del Congress Party ottengono quasi un centinaio di deputati. Negli Stati del Bengala occidentale, Kerala e Tripura (circa 80 milioni di abitanti) la sinistra si è ulteriormente confermata come forza politica maggioritaria.
Sebbene il partito di Sonia Gandhi rimanga il primo e più grande partito, mai prima d’ora il peso della sinistra e dei comunisti era stato così determinante nella formazione di un governo del paese.
Per poter valutare appieno l’entità di questo risultato e la sua incidenza nel quadro geopolitico internazionale, occorre tenere ben presente le dimensioni del subcontinente indiano che si estende dagli 8000 metri. della catena himalayana agli atolli equatoriali delle Laccadive, che a stento galleggiano sul mare, ed è abitato da oltre un miliardo di persone.
Queste elezioni hanno visto in competizione quasi 200 partiti disseminati nei 25 stati che compongono l’Unione indiana, nei quali si parlano 18 lingue principali, 1600 minori e più di 20mila dialetti e con una percentuale di analfabeti vicina al 50% della popolazione.
Per giunta l’India è un paese regolarmente sconvolto da enormi contraddizioni di casta, etniche e religiose che l’ascesa al potere della destra comunalista del BJP hanno reso ancora più laceranti.
Il Bharatya Janata Party (partito del popolo indiano), nato in origine come braccio politico di gruppi oltranzisti nazi-fascisti, ha cercato in questi sei anni di governo di ammorbidire la propria immagine di partito settario ultra nazionalista, riassunta nella parola Hindutva (identità indù) e nello slogan di ispirazione hitleriana, “una nazione, un popolo, una cultura”, riciclandosi come partito ecumenico di centro destra e tentando di sedurre la piccola e media borghesia dei grandi centri urbani a partire dalla propria piattaforma comunalista. Ma dietro il rassicurante fair- play oxfordiano del suo leader, Atal Bihari Vajpayee, è apparso in realtà uno spietato programma neoliberista infarcito di populismo fascistoide, basato sul dominio totalizzante dell’induismo, il rifiuto del carattere multietnico, religioso e culturale dell’India e la formazione di uno stato fortemente centralizzato.
Insomma, un impasto micidiale che ha fatto leva sull’integralismo religioso, il nazionalismo esasperato e l’esibizione delle armi nucleari.

L’operazione di marketing della destra ha offerto una immagine mediatica esterna che presenta l’India come un paese in pieno boom economico, diventato uno dei centri mondiali di software e di tecnologie informatiche. Il messaggio è stato prontamente raccolto e amplificato dai media occidentali. Simbolizzata dalla Electronic City di Bangalore ( una sorta di Silicon Valley asiatica), questa immagine virtuale e patinata di una élite di quadri scientifici, di sicura fama e valore, ma pur sempre una élite, viene sventolata come un fiore all’occhiello dell’India moderna, ma sono le multinazionali americane a trarne i maggiori vantaggi: le migliaia di programmatori e di web designer indiani che lavorano per la Microsoft di Seattle e negli altri giganti informatici della West Coast ricevono meno di un quarto dello stipendio dei loro colleghi americani, ma servono ad occultare il completo disastro socioeconomico e politico che ha reso ancor più intollerabili le disuguaglianze abissali della società indiana: 44 indiani su 100 ancora vivono (e muoiono) con un dollaro al giorno, 35 su 100 sono al di sotto di questa miserabile soglia.
Le conseguenze di questa politica di destra sono note: privatizzazioni portate alle estreme conseguenze, totale deregulation, diminuzione drastica degli aiuti all’agricoltura ( due terzi della popolazione ), distruzione del welfare, apertura selvaggia al capitale straniero.
Non che queste scelte politiche della destra, siano state molto difficili: il BJP non ha fatto altro che spingere all’estremo una linea neoliberista già cavalcata in precedenza dal governo di Narashima Rao per conto del Congress Party.
Dunque un deja vù accompagnato, il giorno dopo la sconfitta elettorale della destra dal puntuale richiamo dei mercati finanziari ai vincitori per dimostrare chi comanda chi.
La repentina caduta della borsa di Bombay, pesantemente ricattatoria contro la nomina di Sonia Gandhi a capo del nuovo governo, fa pensare che le pesanti critiche circolate all’interno del suo partito contro la spericolata gestione neoliberista precedente siano state sincere ed abbiano concorso al cambiamento di rotta auspicato anche dai partiti della sinistra ed abbiano perciò allarmato i poteri forti dell’industria e della finanza.
Sonia Gandhi non ha nascosto l’intenzione di ridare al suo partito lo slancio delle origini e nuova forza propulsiva sul piano sociale. Ed anche se, dicono i comunisti, a dirigere il nuovo governo non ci sarà Sonia Gandhi ma il Dott. Manmohan Singh, non cambia di molto la situazione. Il sostegno dei partiti di sinistra al governo non è basato sulla scelta delle persone ma sui programmi e sui principi ispiratori della sua politica.
L’offerta di collaborazione dei comunisti al nuovo governo è un’apertura di credito che tiene ovviamente conto dell’impegno manifestato dal Congress di superare le ragioni sociali e politiche del suo preoccupante declino.
A scanso di equivoci il segretario del PC indiano (m),compagno Harkishan Singh Surjeet ricorda ai dirigenti del Congress che “oltre al comunalismo ed alla corruzione, sono state soprattutto le politiche economiche che hanno portato alla sconfitta della destra BJP-NDA, persino in uno stato come l’Andhra Pradesh che era la sua roccaforte”.
Ma ricorda anche che “ una storia simile si è ripetuta nel Karnakata, dove le politiche economiche adottate non dalla destra ma dal Congress Party non sono state diverse da quelle del governo centrale, causando perdite elettorali al partito in questo stato. È chiaro che se centralmente il nuovo governo seguirà le stesse politiche, ormai screditate, ciò offrirà alle forze comunaliste nuova linfa vitale, e ciò non deve più accadere.”
“Nel momento in cui consegniamo alla stampa queste note – ha proseguito Surjeet – il Congress è impegnato nella definizione di un programma minimo comune, ed ha espresso l’intenzione di consultare i partiti amici (…). Noi possiamo solo assicurare al nostro popolo che ci comporteremo come sentinelle dei suoi autentici interessi, che vigileremo affinché il programma concordato rifletta le legittime aspirazioni di chi ci ha votato, per impedire che le potenze imperialiste e le loro istituzioni possano spadroneggiare. Cercheremo di assicurare una lotta senza quartiere contro la corruzione che intacca le condizioni di vita del nostro popolo, assorbendo risorse che potrebbero essere destinate allo Stato Sociale. Abbiamo anche l’intenzione di garantire che la nostra passata e sperimentata politica di non allineamento venga ristabilita in tutti i suoi aspetti. Insomma, questa non è la fine del viaggio ma il suo inizio ed una lotta lunga e ardua ci attende”. Mentre alcuni partiti di sinistra parteciperanno direttamente al governo di Manmohan Singh, il comitato centrale del PC indiano (m) ha deciso formalmente in che modo garantire il suo sostegno : farà parte dell’alleanza diretta dal Congress che formerà il governo e, al fine di garantire un esecutivo stabile e vitale, gli concederà il suo appoggio esterno.
“ Il Pci (m) insieme alla sinistra, nell’appoggiare il governo, continuerà comunque a svolgere un ruolo indipendente nella difesa di un assetto laico e nell’opposizione alla penetrazione imperialista nella nostra società . Il Comitato Centrale ha apprezzato il giudizio espresso da molti intellettuali ed eminenti personalità, secondo cui la sinistra potrebbe avere una responsabilità diretta nel governo. Il partito intende assicurare loro che non verrà meno alle sue responsabilità, facendo in modo che, con un nuovo governo, le forze democratiche e laiche possano rafforzarsi ed impedire una rivincita delle forze comunaliste.
Il Comitato Centrale del PCI (m) ha inoltre indicato i punti salienti di una piattaforma minima che permetta di isolare le forze comunaliste, di avviare politiche economiche che tutelino gli interessi di tutti i lavoratori e di attuare una politica estera indipendente:
a) Porre un limite alla penetrazione comunalista nelle istituzioni dello stato, nell’istruzione, nella ricerca e nella cultura.
b) Sviluppare una politica estera indipendente, in linea con le tradizioni di non allineamento dell’- India. Tale politica deve promuovere il multilateralismo e buone relazioni con i nostri vicini, stimolando il dialogo con il Pakistan
c) La politica economica deve orientarsi a dare priorità alla gente più umile, a creare occupazione, a dare impulso all’agricoltura ed a migliorare le condizioni dei contadini poveri. Il settore pubblico deve avere un ruolo propulsore e non devono essere privatizzati i settori più redditizi.
d) Il sistema pubblico di ridistribuzione deve essere rivitalizzato, con l’eliminazione dei programmi previsti che priverebbero larghi strati della popolazione di prodotti alimentari a basso costo. Deve essere accresciuta la spesa nella sfera sociale, per promuovere l’istruzione, l’assistenza sanitaria, il welfare, in particolare per le classi più umili. Un’attenzione particolare deve essere assegnata a misure di tutela della condizione femminile, deve essere sradicata la legislazione antioperaia vigente.
e) Nell’ambito delle relazioni tra il centro e gli Stati devono essere reperite risorse adeguate per gli Stati, assicurando interessi più bassi ed una sostanziale esenzione dal debito.

Non è superfluo ricordare che le proposte dei comunisti indiani al nuovo governo centrale poggiano, non su improvvise folgorazioni di qualche dirigente superdotato, ma su di un’esperienza pluridecennale di governo alla guida di tre Stati dell’Unione: Kerala, Bengala Occidentale, Tripura.
Sebbene puniti, spesso, dagli investitori, assediati dalle pretese del padronato, del FMI e della BM, e spesso ostacolati da leggi centrali inique, l’economia ed il mondo del lavoro di questi tre Stati hanno potuto compiere progressi neanche paragonabili ai disastri sociali avvenuti altrove. Non a caso i comunisti continuano ad essere, dopo più di venti anni, i due partiti più votati e possono portare in dote al governo centrale un patrimonio di idee collaudato da concrete realizzazioni sociali e politiche.

Il richiamo dei comunisti indiani ad una politica estera indipendente, diversa da quella praticata dalla destra induista del BJP, merita qualche nota aggiuntiva.
Innanzitutto occorre rilevare la loro coerenza con le decisioni assunte a gennaio a Bombay dal Social Forum Mondiale, in una edizione che ha visto irrompere nel movimento antiglobal i grandi movimenti asiatici ed i più grandi partiti comunisti del mondo, con tutto quel che ne consegue in termini di forza e di prospettiva. La lotta per la pace era e resta l’impegno prioritario del Social Forum Mondiale che nel documento di Bombay viene titolato, non casualmente, “ Il nostro impegno contro l’imperialismo”.
Qualche mese dopo la sinistra comunista indiana avanza e ripropone come linea di governo, la piattaforma del WSF di Bombay. Non sembra, fatte le debite eccezioni, che ciò stia succedendo in molte altre parti del mondo.
Ricordando lo sprezzante giudizio apparso su Liberazione contro i comunisti indiani durante la trasferta di gennaio al Social Forum Mondiale di Bombay (“ sono in questo mondo ma non di questo mondo”), viene spontaneo domandarsi con quanta lungimiranza i saccenti inviati di Liberazione abbiano speso la loro trasferta cercando di capire se per caso non esiste qualche similitudine tra le scelte dei comunisti indiani e quelle che Rifondazione, dopo molte esitazioni, si è decisa a compiere in Italia per battere la destra.

Pur continuando a prospettare il socialismo come passaggio storico inevitabile, la lotta per la pace, concepita nei suoi contenuti antimperialisti, rimane oggi uno degli obiettivi dei comunisti indiani in questa importante tappa della loro marcia in avanti.
Il richiamo dei comunisti indiani ad una politica estera indipendente, sottintende il rilancio di iniziative politiche e diplomatiche in grado di restituire all’India il suo status di non allineamento.
Non a caso, profittando della destra al potere a Delhi, Washington ha cercato di scardinare la tradizionale politica di equidistanza dell’India, arruolandola, senza troppi distinguo, nel proprio disegno strategico per evitare di trovarsi a dover fare i conti a breve con un altro gigante asiatico di dimensioni economiche e militari simili a quello cinese.

La destra indiana ha, senza dubbio, accentuato nei sei anni di governo il carattere filoimperialista delle sue relazioni estere, aprendo spazi di collaborazione con l’imperialismo americano che hanno inquinato la politica di non allineamento dei decenni precedenti, ma ha giudicato altresì opportuno evitare ogni gesto ostile nei confronti di Pechino con il quale ha mantenuto rapporti di buon vicinato.
Per quanto paradossale possa sembrare, sono state invece alcune contraddizioni interimperialiste ad impedire che le caute aperture della destra indiana alle pretese di Washington assumessero proporzioni allarmanti.

1) L’aperto sostegno degli Stati Uniti al Pakistan, nemico dell’India, ha mantenuto, e persino aggravato, il pericoloso stato di instabilità alle frontiere del nord-ovest.
Dopo la proclamazione della “ guerra infinita” e l’invasione USA dell’- Afghanistan, il Pakistan è diventato la testa di ponte militare più avanzata degli Stati Uniti in Asia, ma, malgrado le pressioni di Washington, i venti di guerra tra i due stati confinanti, entrambi dotati di armi nucleari, non hanno mai cessato di soffiare, alimentati da due integralismi religiosi contrapposti: quello induista e quello islamico.
Difficile pensare che la destra indiana potesse obbedire a chi sostiene il suo peggior nemico senza perdere la faccia.
Superare questo latente stato di guerra che insanguina da decenni le regioni frontaliere indo-pakistane è uno dei punti centrali richiesti dai comunisti al nuovo governo, che deve riaprire il dialogo e perseguire una vera pace con il Pakistan.

2) L’India è titolare di un arsenale nucleare e missilistico di tutto rispetto e, forse, anche di altre armi di distruzione di massa (attualmente è in costruzione un sommergibile nucleare di grosso tonnellaggio).
Il nucleare è stata una scelta del Congress fin dagli anni ’70, dettata dal bisogno di salire in fretta la scala gerarchica delle grandi potenze e come gesto di sfida al sostegno militare di Washington al Pakistan.
La “più grande democrazia del mondo” e la culla della “ non violenza” gandhiana è così diventata una tigre con i denti al plutonio, e la destra del BJP non ha esitato a servirsene come propellente ad uso interno per accrescere, con una dose di sciovinismo induista, il legittimo sentimento nazional-patriottico del popolo indiano.
Ed è questo l’elemento che, ancor più dell’inadempienza al trattato di non proliferazione, irrita la Casa Bianca, che constata quanto sia difficile mettere il guinzaglio alla tigre indiana.
Il nuovo governo di centro sinistra può dunque rilanciare la sfida del disarmo nucleare, senza peraltro limitarsi a quello bilaterale India- Pakistan, ma riproponendo una trattativa globale, in sede ONU, che coinvolga tutti gli stati, grandi e piccoli, e senza rilasciare franchigie a nessuno, tanto meno alle superpotenze.