Imperialismo e rotte del petrolio

La guerra in Cecenia conferma il conflitto in corso da anni per il controllo delle nuove rotte petrolifere. Ma la posta in gioco è ancora più alta e riguarda i rapporti di forza complessivi in tutta l’area. Stati Uniti e Turchia giocano pesanti contro la Russia. Alla luce dell’esperienza nel Kossovo una lettura “umanitaria” del conflitto appare del tutto fuori luogo.

Alla vigilia dell’aggressione NATO contro la Jugoslavia, il governo della Cecenia sospendeva i flussi di greggio verso la Russia a scopo estorsivo nei confronti di Mosca. Nello stesso tempo “contrabbandieri” si fonavano petrolio sull’oleodotto. Mosca era costretta a sospendere l’erogazione di petrolio per periodi più o meno lunghi tra aprile e maggio. Si verificano alcune esplosioni sull’oleodotto in Cecenia mentre in Daghestan i guerriglieri islamici di Basaev sabotano le strutture del progettato oleodotto tra Kazachistan e Novorossik(Russia).Mosca accusa il governo di Grozny di “non controllare il “territorio”. Nel frattempo, diventava realtà l’oleodotto alternativo Baku-Supsa (Azerbajian-Georgia) che “bypassa” quello attraverso la Russia. In tale contesto appare evidente che la Russia perdeva uno delle sue arterie e risorse strategiche mentre acquistava importanza il ruolo dell’Ucraina. Il porto di Odessa è destinato a diventare infatti lo sbocco del petrolio che proviene dal porto georgiano di Supsa.Il Caucaso: nuovo teatro di intervento della NATO?

Mentre proseguiva la guerra nei Balcani, a maggio Azerbajian e Georgia (che dal’96 è membro della Partnership for Peace) insistono per entrare nella NATO e per ospitare basi militari USA o turche sul proprio territorio. Stati Uniti e Turchia aiutano con finanziamenti e manovre militari congiunte con le truppe di Baku e Tblisi tese a formare forze armate omogenee. La Georgia e l’Azerbaijan inviano ognuno un plotone di soldati in Kossovo inquadrati nel contingente turco. Il nesso tra nuovo ruolo della NATO sperimentato nel Kossovo e lo scenario caucasico appare sempre più stretto.

La Russia passa all’offensiva nel Caucaso

A luglio il Segretario alla Difesa americano Cohen si recava in Georgia.Gli USA consegnano 6 elicotteri alla Georgia e preparano l’addestramento delle guardie di frontiera. La Georgia annuncia di voler rivedere la concessione delle basi militari russe di Gudauta e Viziani previste dal Trattato di Tashkent (il Trattato sulla sicurezza collettiva della CSI). Le autorità georgiane, guidate da Shevardnadze, dichiarano inoltre di voler rafforzare il patto GUUAM (Georgia, Ucraina, Uzbekista,Azerbajian,Moldavia).

Il 19 agosto viene annunciato l’inizio dei lavori del gasdotto “Bluestream” tra Novorossik (Russia)e Samson (Turchia).

Sono coinvolte ENI, GAZPROM e BOTAS (turca). Ma sempre ad agosto, il Segretario USA per l’Energia, Richardson è in Turchia e dichiara di “comprendere le preoccupazioni turche per la sicurezza del Bosforo e che la guerra in Daghestan prova la necessità che non ci sia un solo oleodotto”. La Russia manifesta alla Turchia le sue preoccupazioni che gli USA vogliano mettere “i bastoni tra le ruote anche al progetto Bluestream”. Le preoccupazioni di Mosca sembrano giustificate. La Turchia infatti sta giocando su due tavoli.

Oltre a Bluestream è all’esame un altro progetto di gasdotto dal Turkmenistan fino a Baku e poi a Ceyhan con un percorso coincidente e parallelo a quello dell’oleodotto contestato. Il monopolio turco del petrolio – la Botas- ha già firmato un accordo con il Turkmenistan per forniture di 16 miliardi di metri cubi di gas tra il 2002 e il 2010.

Il gasdotto avrà una capacità di 30miliardi di metri cubi. Il surplus sarà venduto a Italia, Bulgaria e Austria. Tra settembre e ottobre parte l’offensiva russa contro gli islamici in Daghestan che si estenderà ben presto alla Cecenia. Lo scenario del nuovo conflitto nel Caucaso, era stato abbondamente previsto dagli osservatori russi. “Il primo colpo partirà dal Daghestan. Evidentemente qui si progettano azioni contemporanee di insurrezioni di ceceni e akkincy nella regione della Chasavjurt e di lesghini nel sud della Repubblica.

Sono già vicini al compimento gli accordi segreti del Fronte Nazionale di Liberazione lesghino con il governo dell’Azerbajian : il transito di armi, viveri, rifornimenti e degli specialisti attraverso il paese è una condizione necessaria per lo sviluppo del movimento insurrezionale in Daghestan. La rivolta sarà appoggiata dall’ingerenza di gruppi ceceni scriveva Igor Malashenko sulla Literaturnaja Gazeta del 1 aprile 1998 (ripreso su Guerre&Pace del novembre 1998) “Nello stesso tempo saranno intraprese azioni per neutralizzare le forze federali. Un semplice calcolo delle forze e delle possibilità mostra che queste azioni sono possibili solo sotto forma di terrore di massa nel Caucaso del Nord e di terrore psicologico nel centro della Russia, soprattutto a Mosca”.

USA e Turchia giocano pesanti contro la Russia

Il 4 novembre la Russia chiede ufficialmente all’Azerbaijan di non firmare l’accordo sull’oleodotto Baku-Ceyhan. La Georgia rifiuta di concedere l’autorizzazione alla Russia all’uso delle basi militari in Georgia per le operazioni belliche in Cecenia. Il 16 novembre mentre a Istanbul è in corso la conferenza dell’OSCE, Turchia e Azerbajian -sotto la supervisione di Clinton – firmano l’accordo per l’oleodotto Baku-Ceyhan che entrerà in funzione nel 2004. Su questa vicenda dell’oledotto voluto da USA e Turchia per tagliare fuori la Russia dalle rotte del petrolio, c’è un indicatore importante l’oleodotto avrà infatti una capacità superiore alle riserve petrolifere esistenti in Azerbajian. Ciò significa che servirà anche per portare sul Mediterraneo anche il petrolio del Kazachistan a tutto danno del progetto di oleodotto diretto a Novorossik.

Occorre inoltre sottolineare che a Kashagan (Kazachistan) è stato scoperto un giacimento di petrolio ancora più grande di quello di Tengiz (ritenuto il più grande del mondo). Fino ad allora, la maggior parte delle multinazionali petrolifere presenti nell’area si erano espresse negativamente – per ragioni meramente di costi – all’oleodotto tra Baku e il porto turco di Ceyhan. Ma la BP-Amoco (1) rompe il fronte delle multinazionali petrolifere contrarie all’oleodotto e concorda sul tracciato fortemente voluto dagli USA e dalla Turchia disposte a concedere anche benefici fiscali alle società che avessero accettato il loro progetto.

Le principali multinazionali del petrolio

Società Quote nel mercato mondiale

Exxon-Mobil 26,2%

Royal DutchShell 18,6%

BP-Amoco-Arco 15%

TotalFina-ELF 13%

Texaco 6,5%

ENI 5,3%

Chevron 5,2%

Repsol-YPF (Spagna) 3,5%

A Mosca scatta la ritorsione russa: la BP-Amoco viene estromessa dalla proprietà della società Chernogornet che finisce nelle mani della russa Tymen Oil.

Il 17 novembre viene definito anche l’accordo per il gasdotto dal Turkmenistan alla Turchia. Ciò provoca serie preoccupazioni per ENI e Gazprom coinvolte nel gasdotto Blue Stream dalla Russia alla Turchia. Le due società – italiana e russa -firmano infatti il 23 novembre l’accordo per la costruzione del gasdotto. Vi partecipano anche Mitsui-Itochu-Sumitomo (Giappone) e Mannesman (Germania).

Il tutto è finanziato da un consorzio di banche tedesche e italiane. “Vi fidate delle promesse turche ? Naturalmente no!” risponde un alto funzionario dell’ENI.

Brzezinski: “passare all’attacco”

Ma la posta in gioco va oltre il controllo delle nuove rotte petrolifere. Sulla Cecenia si ricostruisce quel vasto fronte che dietro lo schermo “umanitario” muove in realtà interessi strategici pesanti e materiali.

“Le reazioni internazionali sono finora inesistenti, nonostante le ampie e disastrose conseguenze che avrà una vittoria russa. Un chiaro successo militare innanzitutto stimolerà ulteriormente le aspirazioni neo-imperialistiche di Mosca, accrescendo il prestigio dei peggiori elementi della dirigenza russa. La politica in questo paese farebbe un passo indietro” dichiara Zbizgnew Brzezinski su Le Monde “A tutto ciò si deve aggiungere che la politica americana nel Caucaso del Sud e in Asia centrale verrà ostacolata. Per i russi una Georgia sottomessa significa l’accesso diretto in Armenia – già feudo di Mosca – e questo taglierebbe fuori l’Aerbaijan e l’Asia centrale dall’occidente, ma significherebbe anche il controllo politico dell’oleodotto Baku-Supsa…

Bisognerebbe informare Eltsin senza giri di parole che la sua politica minaccia la stabilità della regione e che è incompatibile con i comuni interessi di America ed Europa” (2). La guerra in Cecenia è dunque solo l’ultima guerra per il petrolio che va però ad assumere un elevato valore strategico e geopolitico sia per gli attori in campo sia perché rientra nei progetti di controllo imperialista dell’area da parte degli Stati Uniti, un controllo che inevitabilmente deve tagliare fuori la Russia da ogni rotta petrolifera strategica. Ma la Russia è un paese che vive al 70% dell’esportazione di petrolio e gas, rimanere tagliati fuori significherebbe una crisi assai peggiore del crack finanziario dell’estate 1998. Il petrolio sfiora ormai i 29 dollari a barile ossia il 180% in più di febbraio ed è un prezzo che vale certamente una guerra.

Note:

1) Il maggiore consulente della BP-Amoco è proprio Zbizniew Brzezinski, il teorico della guerra contro la Russia per il controllo dell’Eurasia

2) Le Monde del 17 novembre riportato su La Stampa del 18 Novembre 1999