Il voto in Italia: una nuova fase si è aperta, ma non priva di incertezze

SIAMO AD UNA SVOLTA: IL CENTRO DESTRA È IN UNA PROFONDA CRISI, ASSEDIATO DA UN NUMERO CRESCENTE DI GOVERNI LOCALI GUIDATI DA COALIZIONI PROGRESSISTE.

Il voto del 12 e 13 giugno e i successivi ballottaggi hanno sancito l’inizio di una svolta caratterizzata dalla crisi del centro destra e dalla ripresa del centro sinistra. Si tratta di un processo, che, specialmente dopo il risultato delle elezioni amministrative, assume un rilievo eccezionale. Ma essa non implica che nel 2006 sia ormai scontata la sconfitta di Berlusconi. Per questo bisogna interrogarsi sul che fare. In quest’analisi del voto, consentita da una puntuale elaborazione dell’Ufficio elettorale nazionale di Rifondazione Comunista, si tenterà di fare un po’ di chiarezza sulla valutazione del risultato elettorale e del suo significato.

VOTO DELLE EUROPEE: CRISI DI CONSENSI DEL CENTRO DESTRA E SOPRATTUTTO DI FORZA ITALIA, CROLLO DEL BLOCCO DI DESTRA AL SUD, SOSTANZIALE PARITÀ DEI DUE SCHIERAMENTI, SUCCESSO DELLA SINISTRA ALTERNATIVA.

Nel corso delle ultime settimane i commenti sul voto in Italia sono stati numerosi e spesso disomogenei. Fino a che punto il voto italiano può essere considerato un’anomalia rispetto al resto dei paesi europei? Secondo Berlusconi, quest’anomalia è evidente, essendo suffragata da una riduzione dei consensi inferiori ad altri paesi ed evidenzia uno stato di salute del centro destra relativamente migliore rispetto a compagini di governo analoghe. A questo giudizio se ne aggiunge un altro, che tende a porre l’accento sulla sconfitta subita dai partiti di governo in Europa. Anche questo elemento contribuisce a ridimensionare la portata dell’insuccesso delle destre in Italia, riducendolo ad una sorta di prezzo fisiologico pagato in Europa da chi ha avuto l’onere di governare.

In realtà, il risultato segna un passaggio di fase. A differenza delle precedenti consultazioni degli ultimi anni, si è trattato di un test elettorale sia politico (le europee) che amministrativo (le province e i comuni). E anche quest’ultimo, a differenza degli anni precedenti, è stato di una tale portata da assumere il carattere di una consultazione generale, si pensi alle 63 province e ai circa 4500 comuni in cui si è votato: più della metà del corpo elettorale. La consultazione ha quindi investito tutti i livelli istituzionali (non si dimentichino le importantissime elezioni regionali in Sardegna). I dati sono a tale riguardo evidenti: ha vinto il centro sinistra, nella maggior parte dei casi alleato con Rifondazione Comunista, e ha perso la Casa delle libertà. Una vittoria secca, confortata, in particolare, dal grande successo registrato nelle elezioni amministrative.

Nelle europee, il test più seguito, perché di rilievo nazionale, il confronto con il voto più ravvicinato e vale a dire le politiche del 2001, evidenzia un incremento del centro sinistra del +2% (dal 44,5% al 46,5%), a fronte di un calo del centro destra di ben il –5,1%. Nelle forze residuali va conteggiato il calo di Democrazia europea (-2,1%), la crescita della Bonino (+0,4%), della Fiamma (+0,5%) e della lista Mussolini (+2,2%). Più che di una netta vittoria del centro sinistra si può quindi parlare di una sconfitta del centro destra, che viene penalizzato anche da una perdita alla sua destra. Il successo del centro sinistra è il prodotto di un risultato piuttosto deludente di Insieme per l’Ulivo (che grosso modo perde più del 2%) e della lista Di Pietro – Occhetto (-1,8%), cui si contrappone la crescita, di Rifondazione Comunista (+1,02%)dei Verdi, dello SDI e dei Comunisti Italiani (+0,7%). L’Udeur è difficilmente comparabile giacché in precedenza era assieme alla Margherita. E’ giu-sto quindi affermare, almeno per quanto riguarda le europee, che la sinistra di alternativa ha sostenuto il risultato complessivo del centro sinistra e, in questo senso, il risultato di Rifondazione è stato certamente significativo.

A destra, invece, l’interpretazione è più univoca dato che il calo è attribuibile in larghissima misura a Forza Italia che da sola ottiene un –8,4%, mentre AN ha una flessione inferiore al mezzo punto percentuale e sono in crescita UDC (+2,7%) e Lega (+1,1%). Mentre la vittoria del centro sinistra ha quindi più padri, la sconfitta del centro destra ha, di fatto, un solo responsabile: Forza Italia. Si noti, tuttavia, che tale risultato è dovuto anche alla frammentazione della destra, dove le forze neo fasciste ottengono un +4,6%. Ci troviamo, cioè, di fronte di una crisi del centro destra che alimenta il non voto, lo spostamento elettorale verso partiti di sinistra alternativa o verso forze di destra che contrastano le politiche liberiste cavalcando un ambiguo populismo.

Il secondo elemento degno di nota è che il risultato complessivo determina una sostanziale parità fra i due schieramenti. Il sorpasso dell’Ulivo (+1,1%) ha un valore simbolico, di tendenza, ma dal punto di vista dei rapporti di forza siamo di fronte a due blocchi contrapposti sostanzialmente alla pari. Il dato, quindi, mette in luce una crisi del centro-destra ma di portata tale da non comportare un crollo del suo blocco sociale. L’impressione (suffragata da alcuni studi) è che anziché un travaso di voti dal centro destra al centro sinistra, si sia assistito prevalentemente a una crescita della sfiducia nei confronti di Forza Italia che ha favorito gli alleati e altre formazioni di destra e che, soprattutto, ha incrementato l’astensionismo. Il che dimostra che fra i due blocchi continua a sussistere una sorta di parziale impermeabilità e che la competizione si gioca in larga misura nella capacità di mobilitare il proprio elettorato.
Esaminando la distribuzione del voto a livello territoriale, sempre rapportandolo al 2001, l’elemento più rilevante a sinistra è la perdita subita dalla lista Uniti nell’Ulivo nel centro, mentre per il nord si ha una debole flessione e al sud una sostanziale tenuta. Questa dinamica è indicativa perché le forze della sinistra alternativa ottengono al centro il migliore risultato e un’affermazione al sud a cominciare da Rifondazione Comunista, cosa che non vale per il nord, dove le differenze sono risicate. A destra il quadro non si modifica nelle sue tendenze generali, solo che va notato come il risultato peggiore dell’alleanza di centro destra si abbia paradossalmente al sud per la frana di Forza Italia. Il che può essere spiegato, da un lato, col crescente disagio sociale che colpisce questa parte del paese e che alimenta un’avversità diffusa nei confronti del governo, testimoniata anche da alcune esplosioni di protesta popolare, dall’altro, da una modifica dell’orientamento dei ceti politici locali che tendono a riciclarsi in altre formazioni.

VOTO DELLE PROVINCIALI: NETTO SPOSTAMENTO A SINISTRA DEI GOVERNI LOCALI, LE DIFFICOLTÀ DEL LISTONE SONO IL FRUTTO IN PRIMO LUOGO DELL’INDEBOLIMENTO DELLA MARGHERITA.

Alle elezioni provinciali, che tuttavia non comprendevano come si è detto tutta l’Italia, le tendenze prima richiamate escono confermate, anzi, lo scarto fra centro sinistra e centro destra tende ad aumentare in virtù di una maggiore crescita del centro sinistra ma, soprattutto, di una vera e propria frana di Forza Italia che perde da sola più dell’11% dei voti e una flessione più rilevante di AN (-2,24%), cui si contrappone la debole crescita dell’UDC (+0,70%) e della Lega (+0,33%). Che la componente squisitamente nazionale e cioè l’avversione al governo sia il motore fondamentale lo dimostra il fatto che dal voto europeo a quello provinciale il vantaggio della coalizione di centro sinistra tende ad aumentare. Nel complesso delle forze della Casa delle libertà, escludendo altre forze di estrema destra, si ha una flessione di ben il –11,69%, legata in larga misura alla crisi di Forza Italia.
Il voto provinciale aiuta anche a chiarire il risultato del centro sinistra. Nelle 63 province andate al voto, l’elemento che va sottolineato è il crollo della Margherita che subisce una flessione rispetto al 2001 (certamente superiore al 2%) anche se un confronto esatto è impossibile dato che nel 2001 l’UDEUR stava con la Margherita. Su questo dato vale la pena soffermarsi, giacché in questo caso non vi erano simboli equivoci che possano spiegare la flessione, inoltre in concomitanza si ha una crescita dei DS del 2,29%. Il risultato del Listone ripensato ex post sembra così esprimere più che una carenza d’identità, che c’è senza dubbio stata, un disagio di fondo dell’elettorato moderato che perde consensi.

Anche in questo caso, tuttavia, sembra abbastanza incauto attribuire tale risultato negativo della Margherita alla perdita di voti verso le componenti moderate del centro destra. Anche perché le scarse analisi dei flussi sembrano confermare, semmai, da parte della Margherita una perdita a 360 gradi a favore di altre forze della coalizione e una forte crescita dell’astensionismo. Forse il problema sta più che altro nell’identità incerta di un centro democratico che pendola fra le ricorrenti tentazioni moderate e un maggiore ancoraggio ad alcune tematiche sociali. Si riconferma la crescita della sinistra di alternativa, con Rifondazione che presenta un saldo positivo del +0,56%, i verdi e lo SDI assieme del +4,93% e i Comunisti italiani del +1,03%.

Il risultato analizzato nelle sue componenti territoriali (Nord, Centro e Sud) riconferma, in primo luogo nel centro sinistra, il calo generalizzato della Margherita (–7%) (che però conosce il suo apice nel nord, mentre resta sostanzialmente stabile al sud), una crescita buona dei DS intorno al 3,5% nel centro nord e più modesta al sud, un successo della sinistra di alternativa (nel caso di Rifondazione Comunista si ha un considerevole incremento al centro (+1,3%), un incremento inferiore al nord (+0,7%) e una situazione di stabilità al sud. Nel centrodestra si ha un vero e proprio crollo al sud di Forza Italia, circa il -17%, che supera il pur vistoso calo (intorno al –9%) che registra nel centro nord. Per converso, non si ha al sud la crescita simmetrica dell’UDC o di AN (che, infatti, subisce una flessione), mentre semmai vi è un aumento significativo di altre liste di centro destra, che assorbono in parte i cali di queste forze politiche, mentre l’Udc resta al palo. E’ questa la vera novità del voto: il tracollo, all’interno di una tendenza generale, del centro destra al sud, come si è già notato nel caso delle europee.

Che dire di questi altri risultati se non che essi suonano come una conferma di alcune ipotesi prima avanzate? Sulla base di questi riscontri, è lecito dubitare che se si fosse andato a votare alle europee senza listoni si avrebbe ottenuto un risultato totale diverso. In secondo luogo, il crollo della Margherita, concentrato soprattutto nella parte più ricca e politicizzata del paese, induce a pensare in un deficit di rinnovamento e di protagonismo sociale piuttosto che al prezzo pagato per un profilo troppo sbilanciato a sinistra. Che poi il peggior risultato di Forza Italia e del centro destra si abbia al sud fa riflettere, dato che in questa realtà, solo pochi anni fa, la destra era fortissima. Va fatto notare che a sinistra i DS ottengono un risultato lusinghiero e in modo particolare nelle zone più politicizzate (e cioè al nord). Questo dato evidenzia come sia in atto uno spostamento generale a sinistra di cui, alla fin fine, ne beneficiano tutte le sue componenti.

Trattandosi di elezioni amministrative, è evidente che al di là delle tendenze espresse dall’elettorato, il vero banco di prova è rappresentato dalla conquista dei governi locali. Va innanzi tutto puntualizzato che le 63 province chiamate al voto vedevano già una netta prevalenza di quelle guidate dal centro sinistra: circa il 70%. Dopo il primo turno ne sono state assegnate 41. Di queste 23 sono state assegnate alle coalizioni di centro sinistra e 18 al centro destra, ma il dato finale è stato di assoluta parità: una giunta persa e una vinta per ciascun schieramento (Cuneo e Taranto). Dal primo turno non si è avuto quindi alcuna significativa modifica degli equilibri di governo locali. L’unica spiegazione possibile è che si trattava di province in cui la giunta uscente beneficiava di una tale vantaggio da non essere scalfita neppure da eventuali perdite elettorali.

Ben diverso il risultato al secondo turno, su 22 province in ballottaggio il centro sinistra ne strappa 6 al centro destra (Milano; Verbania, Piacenza, L’Aquila, Chieti e Brindisi) che a sua volta ne conquista solo una (Cuneo). Il risultato è eccellente e non solo dal punto di vista quantitativo; infatti, la sola conquista della provincia di Milano costituisce un colpo durissimo alla Casa delle libertà. Nel complesso, alla conclusione di tutte le operazioni elettorali, si ha uno spostamento di ben 8 giunte provinciali dal centro destra al centro sinistra e solo una dal centro sinistra al centro destra. Il saldo è quindi di +7 giunte a favore del centro sinistra. Nel complesso dopo questo voto, il centro sinistra e Rifondazione controllano 70 province su 103. Quest’avanzamento nei governi locali costituisce uno dei fattori in assoluto più rilevanti, una sorta di accerchiamento progressivo del potere centrale da parte dei poteri locali. Il che, come si vedrà, trova una corrispondenza a livello comunale.

VOTO DELLE COMUNALI: LA CRISI DEL CENTRO DESTRA È GENERALIZZATA, TOCCANDO TUTTI I LIVELLI ISTITUZIONALI, COMPRESI I COMUNI. NELLE FORZE DI CENTRO SINISTRA (COMPRESA RIFONDAZIONE) SI ATTENUA IL DIVARIO FRA VOTO POLITICO E VOTO AMMINISTRATIVO, L’ALLEANZA DI CENTRO SINISTRA SI RAFFORZA CONQUISTANDO NUOVE CITTÀ.

Se per le elezioni provinciali vale il confronto con le politiche certamente ciò non vale per il voto comunale. Esso, infatti, è espressione di più fattori. E’ però certamente vero che se da almeno due anni nel voto amministrativo per eccellenza (e cioè i comuni) si verifica la sconfitta del centro destra, ciò è in larga misura il risultato di un discredito generale che tocca il governo Berlusconi perfino nelle più piccole comunità locali. Il limite nel quale si incorre analizzando i dati sta nel confronto dei comuni al di sotto dei 15000 abitanti, dove la comparazione fra le liste è estremamente complesso. Il confronto è invece più facile nei comuni capoluogo dove, a causa della presenza sistematica dei partiti nazionali, è possibile rapportarsi alle precedenti amministrative.
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Ad ogni modo, vale la pena anche effettuare il confronto con le politiche del 2001, perché rappresentano, comunque, un appuntamento più ravvicinato anche se meno indicativo. Nei comuni capoluoghi le tendenze prima individuate nelle elezioni europee e in quelle provinciali ottengono una riconferma, almeno nelle linee essenziali: nel confronto con le precedenti amministrative il centro sinistra è vincente; al suo interno si conferma la flessione della Margherita (anche se inferiore nelle provinciali) e la crescita dei DS mentre buono è il risultato della sinistra di alternativa (ad eccezione di una lieve flessione dei Comunisti italiani). In particolare, Rifondazione Comunista ottiene circa un +1%, il che è tutt’altro che disprezzabile. Piccole anomalie si registrano rispetto alle tendenze generali nelle forze minori del centro sinistra. Per esempio la lista Di Pietro avanza di oltre l’1% e lo SDI subisce un piccolo arretramento (-1%), ma anche questi dati vanno presi con le pinze dato che le forze più piccole possono concorrere a formare liste civiche od altro. Queste tendenze se riportate a livello territoriale ci dicono qualcosa in più. Ad esempio, che il risultato molto positivo dei DS è letteralmente trascinato dal nord (+8,4%), mentre è addirittura negativo al centro dove invece cresce Rifondazione (+0,6%). Per converso, Rifondazione ha una debole flessione al nord (– 0,4%) mentre avanza al sud (+1,9%). La Margherita, infine, ha il risultato peggiore al nord. La sensazione che si trae da queste tendenze è che il voto ai DS sia condizionato da una ripresa di consenso nelle aree produttive del nord mentre Rifondazione Comunista è premiata più per la sua riscoperta vocazione unitaria, cui si affianca il suo impegno sociale a maggior ragione laddove le scelte del centro sinistra si rivelano particolarmente moderate.

Ne risulta un quadro nel quale a livello di comuni capoluoghi le forze del centro sinistra acquisiscono un vantaggio superiore che nelle precedenti consultazioni. Se poi il confronto si sposta alle politiche del 2001 il divario aumenta ancora di più in quanto si ha la vera e propria debacle di Forza Italia e nel centro sinistra, di fronte ad un calo superiore della Margherita (8,1% circa), si ha un risultato positivo dei DS, il cui voto comunale si attesta su percentuali uguali a quelle delle precedenti politiche e una crescita ulteriore della sinistra di alternativa (con una leggera flessione di Rifondazione comunista di circa mezzo punto percentuale). Le tendenze nel centro destra vanno indagate con attenzione, presentando delle anomalie. La prima anomalia riguarda la sostanziale stabilità di Forza Italia rispetto alle precedenti amministrative. Ma ciò si spiega perché Forza Italia ebbe il suo boom nelle politiche del 2001 (ben il 25,17%). Per il resto si ha una flessione sensibile di AN di circa due punti e mezzo, mentre l’UDC resta stabile e la Lega nord ha un piccolo arretramento di circa mezzo punto percentuale. Questo quadro non è sostanzialmente modificato dal confronto a livello territoriale. Se c’è un particolare da sottolineare è semmai la flessione di Forza Italia che diviene più accentuata scendendo verso il sud.

Dato che parliamo di 30 comuni capoluogo, cioè circa un terzo del totale, questi risultati vanno considerati con una certa prudenza, ma non per questo si può sottovalutare il fatto che le città registrano un successo della sinistra maggiore che non a livello generale. Anche qui vale il confronto fra i risultati ottenuti nei governi delle città: i comuni capoluogo erano per la maggior parte governati dal centro sinistra (per i 2/3); al primo turno ne sono stati assegnati 24 su 30 (di cui 19 erano governati dal centro sinistra. Tuttavia, anche qui la partita si chiude con un sostanziale pareggio, anche se vi è una preminenza del centro sinistra che conquista 3 città e ne perde 2. I comuni capoluogo coinvolti sono: Padova, Bari, Potenza, vinti dal centro sinistra (fra i quali ovviamente spicca il successo di Bari) e Teramo e Brindisi vinti dal centro destra. Ma il reale significato di questa prova elettorale si ha a conclusione dei ballottaggi tenuti in 4 comuni capoluogo, due dei quali (Bergamo e Foggia) vengono conquistati dal centro sinistra. In conclusione, nei comuni capoluogo si ha alla fine il passaggio di 3 comuni del centro sinistra al centro destra e di 6 dal centro destra al centro sinistra. Il saldo (+3), quindi, rafforza il centro sinistra.

Per i restanti comuni al di sopra dei 15000 abitanti (200) l’analisi è resa molto complessa dalla difficoltà del confronto con le precedenti amministrative. Ciò costringe a prendere a riferimento le politiche del 2001. Alcuni risultati sono evidenti e conformi alle conclusioni prima espresse: il centro sinistra avanza e il centro destra regredisce. Nel centro sinistra spicca ancora una volta il risultato negativo della Marghe-rita che però va ridimensionato, dato che nel 2001 essa aveva beneficiato nelle elezioni politiche dell’effetto trainante di Rutelli. Dopo la Margherita il risultato meno brillante è quello di Pietro Di che sconta uno svantaggio nel voto amministrativo. Per il resto ciò che colpisce è il superamento delle percentuali conseguite nelle politiche specie da alcune formazioni di centro sinistra e della sinistra di alternativa (ad eccezione di una lieve flessione di RC), con la stabilità dei DS e un incremento significativo dell’UDEUR, che in ciò conferma il suo radicamento in alcune realtà locali. Nel centro destra la sconfitta non potrebbe essere più bruciante in quanto la flessione rispetto alle politiche di Forza Italia è clamorosa (- 14,66%) seguita da AN (-3,49%), non compensata dalla crescita di altre liste di Centro Destra e dalla sostanziale stabilità di UDC e Lega.

L’analisi per ripartizioni territoriali conferma un centro sinistra che conquista significative posizioni al sud ai danni del centro destra. Ne esce anche confermata la diversa dinamica fra DS e RC nel centro e nel nord del paese. Data tuttavia, la parzialità rappresentata dal confronto con le politiche, più significativo diventa il confronto fra le giunte. Alla fine del primo turno si ripropone anche qui una condizione di sostanziale parità; infatti, il saldo fra giunte conquistate e perse è di appena +2 per il centro sinistra, -1 per il centro detersa e –1 per gli altri, a fronte si noti bene di 113 giunte assegnate, mentre 87 comuni vanno al ballottaggio. Nel secondo turno si ha, invece, un successo delle coalizioni democratiche e progressiste, anche sul piano dei governi locali. In conclusione considerando solo i comuni in cui era possibile effettuare una comparazione, si constata la cessione di 11 giunte da parte del centro destra a favore del centro sinistra e di 5 giunte da parte del centro sinistra a favore del centro destra. Il saldo totale a favore del centro sinistra è, quindi, di 6 giunte.

RIFONDAZIONE COMUNISTA: SUCCESSO ELETTORALE, ALCUNI BREVI APPROFONDIMENTI E ALCUNE IMPLICAZIONI

E’ un dato acquisito che da queste elezioni Rifondazione Comunista esca rafforzata: nelle europee con un +1,1% rispetto alle politiche del 2001, nelle provinciali con un +0,6%, nei comuni capoluogo con un –0,5% rispetto alle politiche ma con un +0,7% rispetto alle precedenti amministrative, e per quanto riguarda i restanti comuni sopra i 15000 abitanti, una stabilità rispetto alle politiche e un incremento dello 0,2% rispetto alle precedenti amministrative. I dati possono prestarsi a considerazioni sbagliate: nel voto più politico (europee e provinciali) la crescita è evidente, nei comuni la difficoltà dipende dalla scelta delle elezioni da prendere a confronto. Partiamo da un assunto e cioè che Rifondazione, come a suo tempo il PCI, ha sempre scontato nelle elezioni un divario fra voto comunale e voto politico, anche significativo. In queste elezioni, la distanza fra i risultati delle diverse consultazioni si è invece ridotta a tal punto che nei comuni sopra i 15000 abitanti non capoluogo le percentuali sono divenute identiche e nei comuni capoluogo vi è un divario di appena lo 0,5%.

Se valutiamo l’effetto del voto in termini di rappresentanze istituzionali, i dati parlano da soli: nelle provinciali passiamo da 71 a 117 (+46), nei comuni capoluogo da 38 a 53 (+15) e nei restanti 148 comuni al di sopra dei 15000 abitanti dove sono possibili le comparazioni (per la presenza di Rifondazione Comunista, da 152 a 181 (+29). Non disponiamo di dati sugli altri 4000 comuni sotto i 15000 abitanti ma è del tutto probabile una crescita ulteriore. Rifondazione vede quindi incrementare in maniera considerevole le proprie rappresentanze, senza contare che a queste dovremo aggiungere gli assessori, che non dovrebbero essere un numero irrilevante. Sul fronte degli amministratori locali si ha quindi un netto consolidamento ed un recupero notevole sulle perdite subite con la scissione del 98. A cosa si deve questa crescita? Essenzialmente a due elementi: da un lato la politica unitaria che abbiamo praticato da anni negli enti locali, e da qualche mese anche a livello nazionale. Il merito di questa scelta non sta solo nell’aver beneficiato di una maggior rappre s e ntanza nelle province o nei comuni dove si è vinto, ma anche di aver scongelato una parte di elettorato che si era allontanata dopo la rottura con Prodi e che conseguentemente è tornata a votare Rifondazione. In secondo luogo, la scelta di una collocazione antiliberista e contro la guerra che sempre di più incrocia con una sensibilità popolare crescente oltre che con le domande poste dai movimenti.

Ciò premesso, bisogna anche capire quali siano stati i soggetti sociali che ci consentono di crescere elettoralmente. Vi è sicuramente una crescita rilevante della componente giovanile, come hanno dimostrato alcuni analisi di fluissi, vi è sicuramente un incremento del voto cattolico (ne è una dimostrazione il numero di preferenze raccolto alle eu-ropee da candidati indipendenti di quel mondo, anche se già nettamente collocati a sinistra) e, ancora, ha certamente inciso la capacità in alcune realtà di farsi interpreti di domande locali.
Si veda il caso di Acerra, ma non solo. E, tuttavia, ho dei dubbi che le adesioni di questi settori costituiscano l’aspetto prevalente del voto. Chiediamoci: quando i maggiori consensi elettorali in tutti gli ordini di elezioni ci vengono dal centro Italia, e nella fattispecie dalle regioni rosse, o quando possiamo constatare come vi sia all’interno di una crescita generale una particolare affermazione nei quartieri popolari delle grandi città (vale per Roma nelle europee, come per Milano nelle provinciali) a cosa si deve tutto ciò? A me pare che la risposta sia abbastanza semplice: stiamo intercettando una parte del voto del popolo della sinistra che, provato dalle politiche berlusconiane, ci chiede unità e al contempo radicalità.

Questa affermazione può prestarsi ad equivoci che è meglio chiarire. Nel partito si sente spesso dare un’interpretazione celebrativa del voto per dimostrare la conferma della linea fin qui perseguita. Certo quando una forza vince vuol dire che ha indovinato una serie di elementi decisivi, ma bisogna saper distinguere. Aver affrontato questioni sociali importanti, come salari e pensioni, o esserci battuti contro la destra o ancora aver dimostrato una disponibilità unitaria, non è la stessa cosa che aprire discussioni interminabili sulla identità, ritornare ossessivamente sulla lotta allo stalinismo, assumere generalizzazioni azzardate come la scelta della “non violenza”. Non escludo che questi ultimi aspetti abbiano inciso in alcuni settori ma non credo proprio siano stato i fattori prevalenti. Almeno per come interpreto i dati, per quello che posso vedere nel paese, gli interessi delle grandi masse si indirizzano verso altre questioni più concrete. Inoltre, non azzardiamo commenti che rischiano di essere schematici. Il successo al sud è avvenuto alle europee e alle provinciali, ma non si è ripetuto alle comunali, per una semplice ragione, perché accanto a una disgregazione delle alleanze precedenti, il voto era, anche per il tipo di consultazione, meno soggetto a fenomeni clientelari. Ben si vede che quando si passa ai comuni il quadro cambia radicalmente a dimostrazione che c’è ancora molto da fare.

Un’ultima osservazione. Mi rendo conto che parliamo di piccoli numeri e non ho la pretesa di trarne regole generali, ma anche sulla base delle esperienze delle precedenti amministrative a me pare che la nostra identità e cioè il nostro simbolo, collegato attraverso apparentamenti a uno schieramento unitario, rappresenti la migliore soluzione per raccogliere consenso fra gli elettori. La controprova viene da Alessandria e Pordenone, dove non a caso scegliendo un’altra strada si sono subiti rovesci elettorali. Né, a dire il vero, le mini coalizioni hanno dato risultati particolarmente buoni essendo comunque state vissute come un elemento di divisione senza peraltro contribuire ad esaltare il nostro profilo. Consideriamo quindi il valore, anche elettorale, che conserva un’identità e non facciamoci ingannare dall’idea che le somme degli elettorati siano conseguibili attraverso facili operazioni di assembramento. Anche perché, proprio in virtù di un riconoscimento di massa che ci viene in relazione alla disponibilità unitaria manifestata, l’effetto voto utile si sta allentando consentendoci come partito di recuperare una maggiore autonomia (che ci ha talvolta consentito la presentazione da soli senza apprezzabili ripercussioni negative), di valorizzare ulteriormente le nostre proposte programmatiche e acquisire un peso maggiore nelle relazioni politiche. Sarebbe bene non ce ne dimenticassimo specie nelle prossime consultazioni.