Il “soggetto unitario e plurale”, una formula fallita che, tuttavia, non si vuole abbandonare

Con il risultato disastroso ottenuto dall’Arcobaleno nelle elezioni politiche si è aperta una nuova fase per la sinistra italiana. Una fase drammatica, nella quale si dovrà verificare se esistano le condizioni per una presenza autonoma, o se prevarrà la disgregazione e l’assorbimento in altri soggetti politici. A tuttoggi, il dibattito ruota tutto intorno alla possibilità di proseguire il tentativo di dar vita ad una forza di sinistra. Nell’assemblea di Firenze, indetta dai sostenitori dell’Arcobaleno, il leit motiv era la necessità di andare avanti comunque. In Rifondazione, le due componenti dell’ex maggioranza si distinguono sul come dar vita ad una forza della sinistra, non già sull’opportunità o meno di realizzarla.

Naturalmente, quest’approccio rimanda all’analisi che si fa della sconfitta elettorale. Anche in questo caso ciò che viene considerato responsabile della sconfitta è sostanzialmente esterno all’opzione politica di fondo. Il risultato sarebbe imputabile all’effetto del voto utile e alla delusione prodotta dall’esperienza del governo Prodi. Tutt’al più si aggiunge, in Rifondazione, l’errore di aver adombrato il superamento del partito, fatto che avrebbe creato malessere nell’elettorato di riferimento.

Questo modo di affrontare una sconfitta storica è elusivo del problema fondamentale e cioè dell’inadeguatezza del progetto in sé, per l’appunto della proposta della costruzione di un nuovo soggetto politico “unitario e plurale” della sinistra. Peraltro, i più sembrano aver ormai dimenticato che Bertinotti in campagna elettorale ha chiesto espressamente un voto a favore della costruzione del nuovo soggetto, ottenendo dall’elettorato la risposta che sappiamo.Bisogna quindi tornare sul punto in questione. E’ possibile fare i conti con un risultato elettorale catastrofico, che vede la perdita di tre quarti dell’elettorato potenziale, senza affrontare di petto la proposta con cui ci si è presentati davanti agli elettori?

Ovviamente no. Perché allora il dibattito resta così reticente? Perché ci si adagia su un continuismo che, alla luce dei fatti, risulta incomprensibile?

Le ragioni, in realtà, sono diverse. Esse attengono alla dimensione culturale quanto a quella politica. Da almeno 10 anni, il gruppo dirigente maggioritario di Rifondazione Comunista, sotto la guida di Bertinotti, ha portato avanti un progetto lucido di superamento dell’opzione comunista per approdare ad un soggetto dai contorni indefiniti, d’ispirazione radicale. Nel percorso sono emerse suggestioni nuoviste, richiami altisonanti all’innovazione, categoria dietro la quale si sono celate spesso operazioni tattiche disinvolte, tentativi dilettanteschi, e veri e propri stravolgimenti della storia.

Paradossalmente, c’è ancora chi in Rifondazione attacca il progetto dell’Arcobaleno difendendo il congresso di Venezia, o sostiene la necessità di preservare l’autonomia del partito, difendendo l’opzione della Sinistra Europea. Nel migliore dei casi ci troviamo di fronte all’autoinganno, nel peggiore al tentativo di nascondere le proprie responsabilità passate.

Da questo percorso politico-culturale si è consolidato un luogo comune in Rifondazione Comunista, e cioè l’idea della propria insufficienza, sia in termini quantitativi che in termini qualitativi. Dalla proposta della costruzione di un partito comunista rifondato si è così passati a quella di una sinistra rifondata, smarrendo in questo percorso via via ogni connotato di alternatività. Si pensi allo slittamento concettuale che si è prodotto col passaggio dall’idea di “sinistra alternativa” a quella di “sinistra tout court”.

L’adesione a quest’impostazione da parte di ceti politici ed intellettuali esterni, da sempre collocati a sinistra, andrebbe indagata. Non si tratta tanto di una deriva politico-culturale che accomuna i soggetti esterni alla maggioranza di Rifondazione, ma quanto e forse di più ad un tentativo di ricollocazione di fasce in libera uscita che avevano tutto da guadagnare dall’evaporazione di Rifondazione Comunista in un soggetto genericamente di sinistra in cui tutti potevano trovare ospitalità.

I fallimenti che ha conosciuto questa impostazione sono stati innumerevoli. Si pensi ai tentativi di dar vita ad aggregazioni regolarmente falliti. L’ultimo, quello della Sinistra Europea, si è dissolto come neve al sole. C’è voluto il disimpegno dal PD della Sinistra Democratica per dare una qualche consistenza al progetto, tradottosi nell’operazione Arcobaleno, poi naturalmente – anche questa- fallita.

L’ostinazione con cui si vuole oggi non prendere atto del fallimento riproponendo il progetto iniziale è figlia di questa deriva politico-culturale, ma anche di qualcosa di più. Il fatto è che in questi anni gli innumerevoli errori di gestione della leadership bertinottiana hanno creato le condizioni materiali di quest’involuzione. È con l’indebolimento prodottosi dopo la scissione di Cossutta, con l’incapacità di recuperare consensi nella stagione dei movimenti e, infine, col fallimento della linea governista che si legittima l’idea del superamento di Rifondazione. Di fronte ad un partito che continua a perdere, che non riesce ad affermarsi, non è ragionevole – in ultima analisi – porsi l’obiettivo di un suo superamento? E se l’unica forza di sinistra rimasta in campo con un peso di un qualche significato conosce continui insuccessi, non è naturale a questo punto lavorare per la riaggregazione di ciò che resta della sinistra?

Abbiamo tutti ascoltato argomenti simili, dentro e fuori Rifondazione. In ultima analisi, sono gli stessi che spingono oggi a rimuovere le ragioni della sconfitta per illudersi che l’approdo al soggetto unitario e plurale risolverà i problemi.

A chi come noi dell’Ernesto sostiene che l’unica valida alternativa sia quella della costruzione/ricostruzione di una forza comunista sta a questo punto l’onere della dimostrazione di tale necessità/possibilità.

Si potrebbe agevolmente dimostrare come l’indebolimento di Rifondazione in questi anni sia stato non già il portato dell’inadeguatezza della sua ispirazione di fondo, quanto in primo luogo dei clamorosi errori della sua leaderhip. Solo per venire all’ultima fase, si pensi alle teorizzazioni circa la permeabilità del governo di centro sinistra al conflitto, o ancora prima all’inseguimento di imminenti fasi rivoluzionarie guidate dal movimento dei movimenti. Solo oggi, molti si rendono conto dell’assurdità di tali posizioni. Ma non voglio attardarmi su questa disanima dei fatti – per quanto ritenga che sarebbe di una certa utilità-.

Il punto fondamentale è che con l’Arcobaleno le ambiguità di questo percorso più che decennale precipitano, mettendo a nudo la sostanza di un progetto che in nome dell’esigenza di superare i limiti di Rifondazione ne decreta il superamento.

In cosa sta l’errore? Nell’abbandono di un’opzione che – con tutti i suoi limiti –interpretava una domanda di cambiamento presente in un pezzo della società, la declinava attraverso un’opzione anticapitalista, poggiava su una cultura politica ancora forte nel paese. Questa opzione era quella “comunista”, non genericamente comunista, ma del comunismo italiano, per come si era venuto storicamente determinando, nutrendosi di nuovi apporti dopo la rottura del PCI.

Aver abbandonato con leggerezza quell’opzione per approdare alla Sinistra L’arcobaleno è stato un errore macroscospico. Chi polemizza sostenendo che è banale imputare la sconfitta all’abbandono del simbolo non si rende conto che ciò che non ha convinto è il profilo complessivo del nuovo soggetto, la sua insufficiente connessione sentimentale, ancor prima che politica, con un pezzo dell’elettorato. Peraltro, volendo entrare nel merito, non era evidente che l’Arcobaleno era percepito come un mix di culture politiche diverse, senza una precisa identità? Non era evidente che il suo minimo comun denominatore era, nel migliore dei casi, un’aspirazione generica alla giustizia sociale. Cosa potevano trovare in un simile soggetto i lavoratori ? Forse che l’Arcobaleno aveva difeso i loro interessi nel caso dell’accordo sul welfare e non si era invece diviso nel corso della consultazione sindacale? E non era successa la stessa cosa nel caso della politica internazionale?

Si tratta di constatazioni banali, ma vere.

Il fallimento della lista dell’Arcobaleno è stato il fallimento del progetto dell’Arcobaleno, né più né meno. Un fallimento motivato dall’impossibilità di definire una nuova identità e un nuovo progetto attraverso l’assemblamento di soggetti fra loro scarsamente compatibili.

E di fatti, come si presentava il nuovo soggetto nelle scarse anticipazioni datene dai suoi sostenitori, Bertinotti in primis? Come una forza genericamente di sinistra, di ispirazione socialista, dagli incerti riferimenti sociali ( essendo il lavoro uno dei vari riferimenti in campo) e dalla incerta vocazione di governo (per alcuni essenziali, per altri no). Come si sia potuto pensare che una simile forza potesse reggere la concorrenza col PD è un mistero.

Chi oggi ostinatamente ripropone la formula del “soggetto unitario e plurale” non vuole guardare in faccia la realtà. Non solo, in realtà si illude che il problema stia pur sempre nella necessità di un aggregato di forze più ampio. In realtà, la portata della sconfitta dimostra che la crisi si è prodotta per la scarsa credibilità di quella proposta rispetto ai soggetti di riferimento. Per cui solo riacquisendo quella credibilità è possibile recuperare consensi, ma a sua volta questa è ottenibile solo accentuando la caratterizzazione, non diluendola. Insomma, i consensi si recuperano se si fuoriesce dall’impianto del soggetto unitario e plurale, non restandovi dentro. Dentro c’è la consunzione. Muovere da Rifondazione Comunista per ricostruire un partito comunista è in realtà l’unica opzione credibile. Tutto il resto conduce al permanere in una condizione di crescente logoramento non solo, si badi bene, per il PRC, ma anche per le altre forze. Il soggetto unitario e plurale, infatti, conduce tutti alla rovina, in virtù delle dinamiche disgregative che alimenta nei singoli soggetti che vi fanno parte. Ma non basta. Infatti, il paradosso è che il progetto della Sinistra l’Arcobaleno, nato (a detta dei suoi sostenitori) per contrastare più efficacemente il PD, rischia –alla luce dei fatti- di diventarne un supporto, favorendo in prospettiva la trasmigrazione di pezzi della sinistra sotto l’ombrello dell’alternanza a guida democratica.