Ma i lavoratori del mare non appartengono alla classe operaia ? Questa domanda secca, un motorista della sala macchine della nave Nomen tana della Tirrenia, la rivolse qualche tempo fa ad un compagno del coordinamento marittimi dei Cobas. Perbacco se lo sono, si affrettò a rispondere il compagno!
Invero il mondo della gente del mare ha sempre ricevuto attestati di stima e simpatia, ma con molta difficoltà ha ricevuto, da parte del Sindacato Confederale, quella centralità che meritava.
Il lavoro sulle navi è certamente uno dei più faticosi esistenti, e da esso il padronato estorce quote di plusvalore assoluto altissime. La giornata di lavoro, la sua estensione, la capacità dell’armatore di allungarla a dismisura costituiscono il presupposto di ogni discorso, di ogni trattativa che si apre nella eterna contesa tra le parti.
Eppure questa particolarità, che dovrebbe costituire il peso maggiore e determinante nelle valutazioni contrattuali, alla fine sfuma ovvero nelle migliori delle ipotesi si riduce a poca cosa.
L’orario di lavoro sulle navi è massacrante. In media, nei periodi d’imbarco, il marittimo esegue tre- dici ore al giorno di lavoro. L’ or ganizzazione del lavoro è un misto tra il privato ed il militare; nei confronti del lavoratore del mare lo Statuto dei lavoratori spesso è subordinato alle norme del vecchio codice di navigazione, per cui il Comandante ancora oggi costituisce il padre padrone della nave.
Con la liquidazione dell’IRI, avvenuta il 30 Giugno 2000, le società marittime devono essere privatizzate; tutte le linee di collegamento con le isole (Sicilia, Sardegna e minori) saranno affidate al mercato, per cui i costi di esercizio dovranno subire notevoli ridimensionamenti.
Orbene, in tale prospettiva la compressione dei costi si orienta “naturalmente” solo e soltanto verso il capitale variabile, ossia verso i lavoratori.
In tale contesto, padronato e sindacato confederale sottoscrivono il 9 ottobre 2000 un accordo infame, che prevede l’introduzione di particolari tabelle, secondo le quali l’armamento dell’equipaggio per ogni linea dipende dal numero dei passeggeri da trasportare. Una vera “rivoluzione copernicana”, che prevede la riduzione drastica degli addetti e quindi il correlativo aumento, in termini di produttività, dei carichi di lavoro individuali, ed in termini di rischi per il possibile aumento della probabilità degli infortuni sul lavoro.
Per meglio chiarire di cosa si tratta, basti pensare che in presenza di viaggi, con un numero di passeggeri intorno alle 450 unità, non è più prevista la presenza a bordo del medico, ovvero la stessa funzione potrà essere assolta da un passeggero medico, il quale, per tale funzione durante la traversata potrà ricevere quale compenso il viaggio gratuito.
Il progetto autoritario che padronato e sindacalismo confederale sottoscrivono ha bisogno però di essere sostenuto da una legislazione connessa, che s’individua nella legge 146/90 così come rivista ed ulteriormente incrudelita dalla legge 83/2000. Si tratta della cosiddetta normativa diretta ad assicurare, in caso di scioperi nei servizi pubblici, i servizi minimi. Una vera e propria legge di limitazione del diritto di sciopero. Una norma che attribuisce ad una cosiddetta Commis-sione di Garanzia la gestione dell’applicazione del diritto costituzionalmente garantito dello sciopero, ma che in effetti in nome della “tutela del diritto dei cittadini” a poter usufruire dei servizi, subordina ed annulla il più delle volte gli scioperi regolarmente dichiarati, minacciando l’applicazione di sanzioni pecuniarie di notevole entità (sono previste multe che vanno fino a 50 milioni per l’organizzazione sindacale e fino a 5 milioni per i singoli lavoratori).
Ed infatti, nell’Agosto del 2000 gli armatori da una parte e sindacalismo confederale dall’altra individuano e sottoscrivono un accordo, secondo il quale vengono individuate le linee che in caso di sciopero, dovevano comunque essere coperte dalla navigazione. La particolarità che emerge nell’applicazione di questo “accordo”, accettato ed applicato a scatola chiusa, senza cioè che nessun lavoratore abbia mai saputo nulla o che abbia potuto intervenire durante la contrattazione, è che le valutazioni sulle linee non sono state fatte tenendo presente dell’effettivo traffico esistente, nel senso che, per esempio, le linee Olbia – Civitavecchia non sono assicurate e percorse soltanto dalle navi della Tirrenia, ma anche da altri armatori privati. È chiaro quindi che l’accordo si rivolge essenzialmente nei confronti dei lavoratori e costituisce il supporto necessario per irreggimentare la categoria, per dividerla, per sfrangiarla e quindi controllarla.
Con un vero e proprio rifiuto di massa, l’accordo del 9 Ottobre viene contestato da tutti i lavoratori, e dal mozzo all’ufficiale si crea un’unità sostanziale. Il sindacalismo confederale è sotto accusa. La sua politica di svendita totale del mondo del lavoro, la concertazione sui diritti acquisiti e su quelli a venire mostra tutti i limiti di una strategia suicida e compromissiva.
I lavoratori si organizzano intorno al S.In.Cobas. L’autorganizzazione produce momenti di altissima conflittualità, coinvolgendo centinaia e centinaia di lavoratori. Lo sciopero del 14 e 15 Novembre 2000 si svolge in un clima di vero e proprio terrorismo. Le navi in partenza da Civitavecchia vengono “visitate” dalla Polizia di Stato che minaccia i lavoratori, affermando che lo sciopero è illegale. Parecchi lavoratori vengono chiamati ed identificati nelle sale mense. Lo sciopero è un successo ed oltre il 50% dei marittimi incrocia le braccia.
La lotta incoraggia i lavoratori e decine e decine di essi abbandonano i sindacati confederali e passano tra le fila del sindacalismo di base. Il 14 Dicembre, dopo che il raffreddamento presso il Ministero del Lavoro si chiude con un nulla di fatto anche e soprattutto per il rifiuto delle controparti di riconoscere il sindacato di base, viene proclamato un altro sciopero che vede l’adesione anche dell’Associazione degli Ufficiali della Tirrenia. Il padronato, attestatosi su di una posizione di “cocciuta” chiusura non arretra, anzi il 27 Dicembre insieme ai Sindacati Confederali rimodella le tabelle, diminuendo ulteriormente gli addetti.
Il S.In.Cobas mobilita ulteriormente i lavoratori e decine di assemblee si svolgono sui moli di Napoli, Palermo, Genova e Civita vecchia. A tutti i marittimi si fanno conoscere le posizioni del sindacalismo confederale e i possibili esiti che scaturiranno dall’applicazione delle “tabelle a soffietto”. I lavoratori spingono per la lotta ed il 15 febbraio 2001 viene proclamato un altro sciopero, che si intreccia nei giorni seguenti con il rifiuto del cibo sulle navi.
I lavoratori si rendono conto che la loro lotta deve trovare la solidarietà di altri strati del mondo del lavoro e della società tutta. Il 14 marzo, in vista dell’ulteriore sciopero proclamato per il 22 marzo, si tiene a Torre del Greco (una città dove un abitante su due ha un parente marittimo) una grande manifestazione cittadina di marittimi. La consapevolezza e la determinazione espres se dai manifestanti costringe il 15 marzo la Cgil e la Federmar Cisal a disdire l’accordo.
Ma il documento della Cgil (“il patto per il lavoro”) è un contenitore vuoto. La privatizzazione della Tirrenia, che è all’origine di quanto è avvenuto e sta avvenendo, non viene assolutamente messo in dubbio. La richiesta di “privatizzare presto e bene” viene giustamente criticata e respinta dai lavoratori del S.In.Cobas. Il decalogo che viene suggerito alla Tirrenia da parte della Cgil, oltre a suscitare preoccupazione perché consente alla controparte di “razionalizzare” ulteriormente i procedimenti di privatizzazione, desta soprattutto stupore e meraviglia perché denuncia con chiarezza esemplare che fino ad oggi l’azione del sindacato confederale è stata veramente di piccolo cabotaggio e che è rivolta essenzialmente a ridurre i costi della Tirrenia per renderla appetibile sul mercato per la privatizzazione.
I lavoratori chiedono alla Cgil di dimostrare il cambiamento della propria politica, invitandola ad aderire allo sciopero del 22 marzo 2001. Ma la Cgil non può scioperare perché compromessa insieme a Cisl, Uil, Ugl con gli armatori della Tirrenia.
Il 31 Maggio sia la Cgil che la Federmar dichiarano lo sciopero di 24 ore. In un clima di bassa tensione, intorno ad un documento inutile, che non cambia assolutamente gli assetti sottoscritti il 9 Ottobre e 27 Dicembre, la coalizione si divide, nel senso che a tre giorni dallo sciopero la Federmar ritira la propria adesione, lasciando sola la Cgil ormai ridotta a soli 60 iscritti.
Qual è il futuro dei marittimi della Tirrenia?
Gli esiti dipenderanno dalla capacità dei lavoratori e del sindacalismo di base di opporsi ad una forza che vede associati gli armatori ed il sindacalismo confederale. La partita è difficile, ma la volontà dei lavoratori alla lotta è ancora salda e risoluta, tant’è che è previsto uno sciopero di 48 ore per i giorni 14 e 15 giugno 2001.
Di certo da questa vertenza un primo sconfitto già c’è, ed è il sindacalismo confederale.
Qualcuno afferma che tutto ciò era nel conto, perché l’assetto futuro della navigazione costiera esclude la presenza pubblica e quindi i rapporti di lavoro non saranno più gli stessi. Il sindacalismo confederale è già pronto per gestire la flessibilità sulle navi private.
Tuttavia non sempre, dicono i lavoratori ed il S.In.Cobas, i conti tornano. Ancora oggi infatti le soluzioni sono tutte aperte.