Indubbiamente l’anno che ci attende è molto importante sia per Rifondazione Comunista, sia per gli altri schieramenti politici.
Elezioni regionali, referendum, elezioni politiche, possono determinare modifiche sostanziali della situazione politica, sociale e istituzionale del nostro paese.
I rapporti tra il centrosinistra e Rifondazione Comunista sono stati contrassegnati da crescenti tensioni, in conseguenza della guerra compiuta nei Balcani, della politica economica sostanzialmente liberista del governo D’Alema, del congresso dei DS tutto proteso verso una sinistra liberale. Solo nelle ultime settimane registriamo alcuni timidi segnali di controtendenza. Essi sono determinati da uno stato di necessità immediato (è il caso della legge sulla par condicio per la quale i voti del Prc si sono rivelati nuovamente determinanti dopo la crisi di governo e la rottura con il Trifoglio) e, per quanto riguarda gli accordi per le prossime elezioni regionali, dall’obbligo di sconfiggere il Polo e, da parte di settori del centrosinistra, di cominciare a riflettere sulle prossime elezioni politiche.
Gli accordi per le elezioni regionali
Nelle precedenti elezioni regionali del 1995 l’accordo con il centrosinistra si siglò in 7 regioni su 15. Esse si tennero dopo una rottura tra Prc e centrosinistra sul governo Dini, scelta che determinò la scissione dei Comunisti unitari.
Oggi, salvo problemi dell’ultima ora, gli accordi sono siglati in 14 regioni su 15. Chi aveva ipotizzato – dopo la rottura del governo Prodi – un autoisolamento del Prc ha materia su cui riflettere. Alla base di questi accordi vi è stata l’assunzione da parte del centrosinistra di alcuni punti programmatici, con progetti attuativi concreti, da noi ritenuti molto importanti: sanità, lavoro, scuola, ambiente, casa, per citare i più significativi. Nel programma siglato in Liguria, per fare un esempio, tra le altre cose vi è scritto: “assunzione dei lavoratori socialmente utili sia attraverso la Regione che gli enti locali, assunzione dei precari della sanità (800 persone), assunzione di 200 persone nella nuova agenzia per l’ambiente, blocco del lavoro interinale nella Regione e negli enti da essa dipendenti, ritiro della delibera sul finanziamento alla scuola privata, potenziamento della sanità pubblica, riduzione dei tickets e delle attese per le prestazioni specialistiche…”.
Mi paiono risultati concreti e importanti, indubbiamente determinati dalla nostra presenza e dalla nostra incalzante iniziativa. Se è vero che uno dei punti per cui abbiamo subìto una battuta d’arresto alle scorse elezioni europee, dopo la rottura con il governo Prodi, è stato quello derivato da una scarsa efficacia e concretezza della nostra iniziativa politica, questi accordi possono essere una risposta in positivo. Detto questo è bene, però, non sottovalutare le difficoltà che persistono. La più insidiosa mi pare il senso di disillusione che si è creato nell’elettorato più popolare della sinistra: il vedere che non muta la propria condizione, che su alcune questioni (come le pensioni) il ricatto tende a pesare sempre di più, che le condizioni di lavoro sono sempre peggiori, – in sostanza, vedere che il centrosinistra attua scelte non dissimili da quelle del centrodestra – può produrre un senso di estraneità che sfocia nell’astensionismo.
Si tratta di una situazione complessa – questa della sfiducia di larghe masse popolari – che rimanda alla nuova situazione internazionale, ai mutati rapporti di forza nel mondo, alle crisi di progettualità strategica non solo delle forze comuniste, ma anche socialdemocratiche e sindacali; un contesto così vasto che non è il caso di analizzare qui.
Ma nel merito va sottolineato che la politica concretamente attuabile in questa campagna elettorale, per ridurre questa tendenza, è quella di evidenziare con forza i punti sociali che siamo riusciti a introdurre nei programmi e di fare attorno ad essi una semplice, ma efficace, campagna elettorale. Far sapere, per esempio, a tutti i cittadini di una regione che la presenza di Rifondazione Comunista nella alleanza ha determinato la riduzione dei tempi di attesa per le visite specialistiche e l’estensione dell’esenzione dei tickets a fasce sociali deboli; ed è importante farlo conoscere utilizzando materiale di propaganda semplice e leggibile, in grado di rendere chiara la nostra utilità sociale.
Referendum
La campagna elettorale per le elezioni regionali si svolgerà di pari passo con una campagna referendaria che si profila insidiosa.
La decisione della Corte Costituzionale di annullare la gran parte dei referendum sociali è molto importante. E’ stato però ammesso uno dei più gravi, quello che consente al datore di lavoro di non reintegrare il lavoratore allontanato senza giusta causa, facilitando di fatto la facoltà di licenziare. L’obiettivo della costituzione dei Comitati per il no, a partire dai luoghi di lavoro, deve quindi essere assunto con grande determinazione. Molto più complessa è la partita sui referendum che modificano la legge elettorale e i rimborsi elettorali per i partiti politici. Inviterei a prestare attenzione a entrambi questi referendum.
Sulla legge elettorale il rischio di una vittoria dei sì, una volta raggiunto il quorum, è molto probabile. Ma mentre è chiara la motivazione che porta AN a questa scelta (tenere agganciato Berlusconi a destra in un sistema compiutamente bipolare), meno chiara è la motivazione che induce i DS a tenere questa posizione poiché essa, come si è già visto nelle suppletive del novembre scorso, determina automaticamente una dislocazione autonoma di Rifondazione Comunista in tutti i collegi, con la matematica certezza di una vittoria delle destre.
Sarebbe bene quindi che il centrosinistra facesse una valutazione più attenta delle conseguenze della vittoria del sì; ed in ogni caso si disponesse, dichiarandolo già da ora (e qualunque sia il risultato del referendum), ad accettare una discussione su una legge elettorale che non annulli le forze politiche aventi un radicamento significativo, solo perché in dissenso con il sistema bipolare. Il sistema elettorale tedesco, o quello attualmente in vigore nelle regioni, potrebbe essere una soluzione positiva se si ha veramente a cuore un sistema che garantisca al tempo stesso rappresentatività e stabilità. Il maggioritario, come si è visto in questi sette anni di applicazione concreta, è, esso sì, causa di proliferazione di partitini e di grande instabilità politica.
Su questo quesito la battaglia da fare è quella del boicottaggio aperto, puntando al non raggiungimento del quorum, utilizzando la campagna elettorale per smascherare tutte le bugie che i profeti del maggioritario hanno raccontato in questi anni e per rilanciare il sistema elettorale proporzionale.
Anche il referendum che abroga i rimborsi elettorali è molto grave poiché un suo successo impedirebbe a forze come la nostra di fare politica con una strumentazione minimamente adeguata. Verrebbero così avvantaggiate quelle forze politiche che dispongono di finanziatori potenti, nazionali o internazionali, e, come negli Usa, diventerebbe “naturale” rivolgersi alle lobby che poi condizionerebbero in modo inevitabile le scelte politiche dei soggetti finanziati. Su questo quesito sono molti i partiti, oltre al Prc, schierati per il No. Ma “tangentopoli” e, in seguito, un certo luogo comune irresponsabilmente alimentato da quasi tutte le forze politiche (di destra e di sinistra) contro la cosiddetta “partitocrazia”, diventata sinonimo di qualsiasi tipo di nefandezza, ha creato nell’opinione pubblica un diffuso orientamento per eliminare il finanziamento alle forze politiche. Il fatto che il Partito Radicale abbia usufruito a man bassa per sé e per Radio radicale di soldi pubblici e che Alleanza Nazionale (nonostante lo avesse annunciato solennemente in Parlamento) non abbia devoluto i soldi incassati ad associazioni di beneficenza, restano purtroppo fatti sconosciuti alla larga parte della popolazione. Anche per questo referendum dobbiamo puntare al non raggiungimento del quorum, ma ciò nondimeno dobbiamo sensibilizzare l’opinione pubblica facendo intendere che un sistema trasparente di finanziamento alla politica è il modo migliore per evitare corruzione e scandali.
Rapporti a sinistra
Bisognerà attendere il risultato delle elezioni regionali e dei referendum per fare una valutazione di prospettiva per quanto attiene i rapporti a sinistra e le prossime elezioni politiche. Certamente – lo abbiamo già detto, ma è opportuno sottolinearlo – nessun accordo sarà pensabile con un sistema elettorale pienamente maggioritario. In quel caso in ogni collegio ci sarà un candidato di Rifondazione Comunista. Ma, detto questo, quale riflessione si può fare oggi? La politica economica di liberismo temperato del governo, la guerra dei Balcani e il congresso dei DS rendono sempre più diffusa, non solo nel quadro attivo di Rifondazione Comunista, una propensione a considerare necessaria una collocazione completamente autonoma del partito rispetto – ovviamente – al centrodestra, ma anche rispetto al centrosinistra.
È un fenomeno diffuso che riguarda non solo quadri e militanti che in anni passati hanno sviluppato la loro attività politica nella sinistra extra-parlamentare, ma anche compagne/i di provenienza PCI o alla loro prima esperienza politica.
Questa posizione, che io credo vada fermamente contrastata, deve però essere contestata partendo dal nucleo di verità che essa contiene: in questi anni il centrosinistra, e in esso in primo luogo i DS, hanno spostato sempre più a destra il baricentro delle loro scelte politiche. Se non si riconosce questo, non vi è alcuna possibilità di convincere, e quindi di recuperare a un progetto politico unitario, molti compagni/e che oggi ritengono sbagliata qualsiasi politica di alleanze. Ma riconosciuto questo, il nodo di fondo su cui bisogna spostare la riflessione è un altro: qual è la politica più efficace, per una forza comunista autonoma dal centrosinistra come è Rifondazione, per costruire le condizioni affinché nel paese si ridetermini una convergenza delle forze di sinistra su un progetto di alternativa anziché di alternanza?
È credibile che possa fare questo un “terzo polo”? Cioè un soggetto che vedrebbe impegnato nella sostanza solo il nostro partito in una battaglia che inevitabilmente risulterebbe scarsamente incisiva e quindi non attrattiva per i lavoratori, i quali hanno bisogno di una massa critica che consenta di ottenere dei risultati concreti? Non è forse necessario un lavoro di lunga lena, che non potrà essere determinato solo da noi, ma anche dal contesto internazionale e da nuovi possibili fermenti sociali, per puntare a tenere aperte le contraddizioni che già esistono e che possono ulteriormente acuirsi tra le scelte politiche della sinistra moderata e della CGIL, nelle loro componenti maggioritarie, e la loro base sociale ed elettorale?
E allora, se questo è vero, perché accanirsi contro accordi parziali di governo locale che hanno una valenza tattica e non preoccuparci invece, tutti insieme, di ottenere da essi il massimo dei risultati per rafforzare il partito nel territorio e tra i lavoratori?
D’altra parte la storia dei comunisti del Novecento – che va certamente rivisitata criticamente, ma dalla quale si possono attingere lezioni anche per l’oggi – ci ha insegnato non solo che la mediazione e anche i passi indietro in certi momenti sono opportuni (basti pensare alla scelta di Lenin di varare la NEP dopo la Rivoluzione d’Ottobre), ma anche che la critica radicale nei confronti della sinistra moderata non va mai confusa con l’individuazione di essa come nemico principale (basti pensare ai disastri che provocò la teoria del socialfascismo negli anni 30). Non va poi dimenticato che segnali di controtendenza sono presenti e sarebbe sbagliato non coglierne l’importanza e la potenzialità.
Il Congresso dei DS ha virato verso una sinistra liberale. Ma al proprio interno, per la prima volta dalla Bolognina, si è manifestata apertamente una mozione contrapposta che ha conseguito il 20% dei consensi e con la quale sono possibili convergenze sulle questioni sociali (penso alla difesa e al rilancio dello stato sociale, alle pensioni, ad una politica diversa sul lavoro e sulle privatizzazioni), così come convergente era stata la valutazione sulla negatività della guerra nei Balcani.
Nella CGIL si va delineando una sinistra sindacale che noi dobbiamo incoraggiare e che – probabilmente – riuscirà a esplicitarsi compiutamente e unitariamente se riusciremo a tenere aperto un dialogo con la sinistra DS e con i settori del centrosinistra più sensibili alle problematiche del mondo del lavoro. Per tenere aperto questo confronto, un ruolo importante può svolgerlo l’Associazione per il rinnovamento della Sinistra, poiché attualmente è una sede dove forze organizzate come la Sinistra DS o Rifondazione Comunista o singoli compagni/e senza partito possono convergere su iniziative comuni o su una ricerca di prospettiva; ciò senza mettere in discussione né la propria appartenenza organizzativa, né la propria collocazione rispetto al governo.
Il nostro partito
Il rafforzamento del Partito della Rifondazione Comunista, della sua unità interna, deve essere l’obiettivo prioritario di tutti, al di là delle divergenze che possono manifestarsi anche su punti importanti di politica interna o internazionale. Non si tratta, ovviamente, di ripristinare formule usate in passato dalle organizzazioni comuniste quali il centralismo democratico, ma di rispettare alcuni vincoli che consentano ad una organizzazione di funzionare.
Per esempio: se si decide un accordo elettorale, non può essere permesso a chi ha dissentito di non fare la campagna elettorale o, addirittura, di fare una campagna astensionista; oppure, se si decide di raccogliere delle firme per un referendum o per sostenere una proposta di legge, non può essere consentito a chi ha espresso riserve sull’iniziativa di non impegnarsi per la sua riuscita. Possono sembrare considerazioni ovvie e invece, qua e là nel partito, affiorano atteggiamenti che mettono in discussione questa pratica. Bisogna cercare di contrastare queste tendenze perché sono dannose per il partito quale che sia la linea che esso esprime.
È molto importante prestare grande cura agli aspetti organizzativi. Dobbiamo avere la consapevolezza che la costruzione oggi di un partito comunista di massa è una operazione che va controcorrente sia dal punto di vista politico che organizzativo; questo è importante poiché i facili entusiasmi possono lasciare il posto alle precoci delusioni. Essere comunisti oggi è difficile. Costruire un partito comunista ancora di più. Ma non esistono scorciatoie che rendano semplice questo lavoro. Il nostro partito ha resistito a tre scissioni grazie al suo radicamento, alla forza che gli deriva dall’essere presente su tutto il territorio nazionale con circa 3000 circoli, migliaia di sedi, centomila iscritti e diverse migliaia di militanti. Centrale è quindi rafforzare questo radicamento.
Non si tratta di una esortazione rituale. Abbiamo riscontri precisi che laddove questo lavoro viene fatto con cura e con passione vi sono anche i risultati. Vi sono decine di circoli che hanno aumentato gli iscritti e la loro iniziativa sul territorio: ciò dimostra che, se ci si impegna, si possono fare passi in avanti. Certamente questo è possibile se il lavoro di reclutamento, di recupero dei vecchi iscritti, di organizzazione delle cene di autofinanziamento e delle feste di Liberazione diventa un “problema” di tutto il circolo o di tutta la federazione (e non solo, come avviene oggi in molti casi, di qualche compagno/a magari considerato incapace di occuparsi di “grande strategia”). Non dimentichiamo mai che Rifondazione Comunista è stata “creata” da questi compagni/e incautamente definiti “bisteccari”.
Un altro aspetto strategico riguarda il nostro quotidiano Liberazione. Si possono avere molte opinioni su come viene fatto, ma oggi questo è persino secondario: il problema principale è la sua sopravvivenza, sempre insidiata dalle ristrettezze economiche.
Poniamoci una domanda: sarebbe ipotizzabile la chiusura del nostro quotidiano o il suo ritorno a settimanale? Io credo che sarebbe un danno enorme per il Partito e per la sua prospettiva. Si tratta allora, anche qui, di rimboccarci le maniche e lavorare. In fondo sarebbero sufficienti piccoli obiettivi: ogni circolo del Partito un abbonamento, ogni gruppo consiliare del partito nei Comuni sopra i 15.000 abitanti un abbonamento, l’acquisto quotidiano per gli eletti e per i componenti dei comitati federali e dei direttivi dei circoli, una organizzazione della diffusione domenicale da parte delle federazioni utilizzando i circoli a rotazione. Basterebbe conseguire una parte di questi obiettivi per determinare una situazione di assoluta tranquillità per il nostro quotidiano.
Puntare sul conflitto di classe
Alcuni dati pubblicati dall’Istat ci dicono che nel nostro paese sono oltre 4000 gli stabilimenti di aziende private con più di 250 lavoratori, per un totale di oltre 3 milioni di occupati. Se a questi aggiungiamo i lavoratori del pubblico impiego (ospedali, Asl, Ferrovie, Poste, Comuni, Regioni, Province, Municipalizzate, Ministeri, Enel ecc.) ci rendiamo conto che esistono ancora tanti grandi luoghi che sono sede di possibile aggregazione della classe sfruttata e produttrice di ricchezza nazionale (in termini di merci e servizi). Questi dati parlano da soli: l’intervento politico delle nostre strutture periferiche deve essere maggiormente orientato verso i luoghi della produzione e più in generale del lavoro subalterno, se è vero che riteniamo il conflitto di classe l’elemento trainante per modificare i rapporti di forza tra capitale e lavoro e consideriamo questa contraddizione come la contraddizione principale in una società capitalistica.
Certamente su questa scelta politica vi è un confronto nel partito. In una recente intervista Marco Revelli, parlando dei lavoratori torinesi entrati in fabbrica negli anni 50 e 60, dice testualmente: “sono ex-operai ormai in pensione, intristiti, avvelenati, gonfi di rancore… Una umanità sgradevole, andata a male…”.
Risuonano in queste parole di Revelli gli echi del disprezzo nei confronti degli operai che, sin dai tempi di Bakunin, caratterizzavano una certa posizione anarchica, la cui “missione speciale” secondo Marx ed Engels, consisteva, oltre che “nel predicare l’astensione in materia politica”, proprio nello “screditare gli operai di fabbrica” equiparandoli agli “odiati borghesi”.
Con queste tesi revelliane non solo non si costruisce alcun intervento nei luoghi di lavoro ma, come è del tutto evidente, non si costruisce neanche un partito comunista. Sono tesi del tutto marginali, ma che comunque vanno aspramente contrastate.
Noi dobbiamo lavorare sia per la costruzione di una forte sinistra sindacale, sia per un intervento diretto del partito nei luoghi di lavoro, teso a costruirvi una solida presenza organizzata.
12 febbraio 2000