Il pericolo neofascista e la lotta contro il capitale

Haider, Le Pen, i neonazisti tedeschi, Bossi, Forza Nuova: carissimo compagno direttore, lo spettro del nazifascismo, dunque, è di nuovo tra noi, non più come memoria dell’orrore, ma come pericolo reale che entra nella nostre vite quotidiane, che può orientare e organizzare i giovani, che può vestirli di una camicia nera… Perché si è tornati a questo?

Vedo una doppia base materiale per il ritorno del pericolo fascista, una doppia base su cui sono cresciuti, come dicevi, Haider in Austria, Le Pen in Francia, i movimenti neonazisti in Germania, Bossi, la destra e Forza Nuova in Italia.
Prima base: la caduta di tensione antifascista, la rimozione dell’orrore nazista, rimozione che è degenerata sino al punto di mettere sullo stesso piano le lotte dei partigiani, volte alla liberazione del nostro Paese dal tallone di ferro del Terzo Reich, alle lotte dei repubblichini di Salò. Fascismo e antifascismo resi uguali da un revisionismo storico ( che giunge a negare la realtà dell’Olocausto) la cui stessa penetrazione all’interno di aree significative della sinistra moderata è il segno di quanto si sia espansa l’egemonia delle classi dominanti, del capitale, della reazione, dopo quel vero e proprio cambiamento epocale rappresentato dal venir meno del “contrappeso” sovietico sullo scacchiere internazionale, dal crollo dell’Urss, che con tutti i suoi innumerevoli difetti e le sue degenerazioni, giustamente denunciate da Enrico Berlinguer, rappresentava comunque un argine, un “deterrente” al dominio economico, politico, militare e culturale imperialista. Ci siamo trovati di fronte ad un cambiamento straordinario dei rapporti di forza a livello internazionale a cui sono conseguite svolte sul versante ultramoderato e liberista delle forze socialdemocratiche, e svolte sul versante reazionario delle vecchie forze di centro destra. E’ in questo quadro, ad esempio, che sono maturate le pulsioni e le politiche razziste di Haider e Bossi; gli integralismi cattolici e le politiche contro le donne di Aznar e Berlusconi; le equiparazioni tra nazismo e comunismo di Ernst Nolte, le “ratifiche”di Veltroni volte a definire il comunismo ( la sua storia e il suo progetto strategico) come negazione della libertà.
Da tutto ciò il revisionismo storico, la falsificazione, la “rilettura” dei fatti reali, il tentativo di equiparazione tra fascismo e antifascismo, la rivalutazione oggettiva del fascismo stesso.
Ma come si fa a dimenticare che dopo l’8 settembre del ’43 i partigiani scelsero la strada delle montagne e della lotta armata per liberare il Paese dalla mostruosità di quel nazifascismo che aveva nel suo codice genetico la guerra, gli stermini di massa, i lager, i forni crematori, mentre i repubblichini, gli “altri ragazzi” ( come ora li chiamano, e non furono tanti) scelsero la strada opposta: quella di legarsi al carro delle truppe nazifasciste (le truppe dell’orrore, uscite dal loro paese per opprimere i popoli di mezza Europa), scegliendo di morire per quell’ideologia che aveva prodotto Auschwitz come aveva voluto l’assassinio di Matteotti, di Gramsci e della democrazia in Italia.
Certo è che tale revisionismo storico, gestito e messo a valore dalle destre, ha avuto buon gioco a passare per la mutazione genetica che ha toccato la sinistra moderata italiana: se è essa, in prima istanza, ad abbassare la guardia, se è essa, innanzitutto, a cancellare la memoria storica delle lotte di popolo e delle lotte del movimento operaio – lotte antifasciste, lotte per la costruzione della democrazia e per l’emancipazione delle masse – è chiaro che si apre una voragine entro la quale i disvalori delle destre penetrano, giungendo alle “nude” coscienze giovanili. Ma come ha fatto, ad esempio, Veltroni ad affermare che vi sarebbe una contraddizione insanabile tra comunismo e libertà, quando tutta la nostra storia, dalla lotta antifascista di popolo alle grandi lotte del movimento operaio, condotte essenzialmente dal Partito comunista italiano, ci dicono esattamente l’opposto, e cioè che senza tali lotte, senza il sacrificio, che è giunto spesso sino alla galera e alla morte, dei comunisti non vi sarebbe stata in questo Paese nessuna libertà per le masse contadine ed operaie, per le classi subordinate, ma vi sarebbe stata solo la libertà del profitto e dell’impresa ?

Ma evocavi altre ragioni per il ritorno del pericolo reazionario…

Vi sono, certo, altre questioni, oltre quelle che ho provato a focalizzare.
Una, che ritengo basilare per il ritorno fascista, razzista, xenofobo: il manifestarsi del più vasto processo di mondializzazione del capitale e delle sue merci che la storia ricordi. Il capitale supera i confini degli stati, portando ovunque il modello nord-americano di flessibilizzazione di massa del lavoro, di precarietà, di distruzione dello stato sociale, portando ovunque i disvalori della mercificazione generale della vita e dei rapporti sociali. Su questa ecatombe morale, su questa desertificazione delle coscienze nascono i germogli neri dell’ “ideale” reazionario. La stessa concezione della patria, una patria la cui identità si confonde e diviene “a stelle a strisce” attraverso gli hamburger dei “Mc Donald’ s”, viene recuperata dalla destra attraverso i peggiori nazionalismi e su questa base nasce l’odio verso l’immigrato, il diverso, la donna, il comunista. Ben altra, occorrerebbe ricordarlo a Veltroni e D’Alema, che a loro volta hanno recuperato la concezione nazionalista della patria attraverso la mitizzazione di una orrenda guerra contro la Jugoslavia, “venduta” come guerra umanitaria, era la concezione della Patria che avevano in cuore i partigiani caduta in battaglia, o eroi come i fratelli Cervi, che dettero la vita per una Patria della libertà, della giustizia, dell’emancipazione della classe operaia, per una Patria costituzionalmente contraria alla guerra.

Che fare, dunque ?

Lottare, stringere i denti, resistere, unire e allargare ovunque il tessuto antifascista e democratico, allargarlo sino alla riconquista dei diritti perduti dalla classe operaia e dall’intero movimento operaio, essere consapevoli che la ragione è dalla nostra parte, e che torneranno tempi migliori. La “fine della storia”, ratificata dai pensatori liberisti e che metteva la lotta di classe in soffitta, è solo un sogno dei padroni e dei grandi centri del potere capitalistico, Stati Uniti in testa. Guardate la lotta dei “ragazzi della Fiat”: sono nuovi operai, vicini ai vent’anni, che nulla conoscono delle antiche lotte, che nulla hanno potuto fortunatamente imparare dai “cattivi maestri” della concertazione di questi ultimi anni. Eppure lottano, trascinano dietro sé gli operai più vecchi, quelli che il sindacato aveva “addormentato”. Rappresentano una grande speranza, e anche se accadono cose che ci parlano di un mondo nero, orrendo, in cui il potere dominante è ancora e sempre quello della classe dominante (mi riferisco al fatto, denunciato solo da “Liberazione” e da “il Manifesto” e vergognosamente censurato da tutti gli altri “media”, relativo ad uno sciopero a Torino, a gennaio, condotto dai “ragazzi della Fiat”, durante il quale una macchina di “oscura” provenienza ha intenzionalmente investito gli operai, ferendone due, uno dei quali ha avuto bisogno di ottanta giorni di ospedale), sappiamo che tale speranza avrà un grande futuro, poiché “il sonno della ragione” non potrà durare ancora a lungo, poiché l’oppressione di masse sterminate da parte dei ristretti centri del potere capitalista rappresenta una contraddizione così profonda da avere un unico destino: quello di esplodere e di liberare energie rivoluzionarie.