Iniziano a diventare numerosi i contributi non solo della memorialistica, ma anche di una storiografia molto attenta all’uso delle fonti primarie – documenti d’archivio in primis – sull’esperienza del PCI in generale, e su molti suoi aspetti particolari.
IL “NUOVO INTERNAZIONALISMO” DEL PCI NEGLI ANNI ‘60
Tra questi ultimi, uno dei più interessanti è quello del ruolo internazionale giocato dal Partito comunista italiano, e di quel nuovo internazionalismo avviato già nel 1956, che avrebbe trovato negli ultimi anni di Togliatti e poi durante la segreteria Longo i suoi sviluppi più significativi. Per “nuovo internazionalismo” deve intendersi non, come spesso si banalizza, un ruolo del PCI nel movimento comunista meno legato all’Unione Sovietica; certo, c’è anche questo, ma c’è soprattutto il tentativo di rimodulare l’attività e i rapporti internazionalistici, rilanciandoli e investendovi risorse “in prima persona”, nella fase successiva allo scioglimento di Comintern e Co – min form, in un mondo che – scrive – va Togliatti – “tende a diventare sempre più policentrico”, e in cui da un lato la poderosa spallata agli assetti imperialistici data dal processo di decolonizzazione e dai movimenti di liberazione, dall’altro la crescita dei partiti comunisti e del movimen – to operaio nell’Europa capitalistica, affiancavano con maggiore forza queste componenti a quella, che rimaneva prioritaria e determinante, dell’URSS e del cam po socialista. Non solo il mondo, dunque, ma anche lo schieramento antimperialista e il movimento comunista – anche per effetto della nascita della Repubblica popolare cinese – tendevano a diventare “policentrici”; la crescita del movimento comunista e del fron te anticapitalista mondiale cambiava lo scenario, apriva nuove prospettive e imponeva una rimodulazione e un rilancio dell’iniziativa internazionalistica1. Tra la fine degli anni ’50 e i primi anni ’60, dunque, il PCI rilancia il suo impegno in tal senso, avviando una serie di incontri e confronti “a tutto campo”, di cui un interlocutore importante sono proprio i movimenti di liberazione, i paesi di nuova indipendenza, gli stessi “non allineati”2.
IL PCI E LA RIVOLUZIONE CUBANA
In questo quadro si colloca il significativo rapporto con la rivoluzione cubana, analizzato da Onofrio Pappagallo dalle origini alla metà degli anni ’60. Il confronto inizia già nel novembre 1959, allorché Giuliano Pajetta e Arturo Colombi, responsabili delle sezioni Esteri e Agraria del PCI, incontrano Antonio Nuñez Jiménez, tra i maggiori artefici della riforma agraria in corso a Cuba, in margine a una conferenza della FAO a Roma. Nel 1960, dopo che la visita di Mikojan nell’isola ha avviato la cooperazione sovietico-cubana, è Velio Spano (già, alla fine degli anni ’30, tra i comunisti italiani operanti in Nord- Africa), a essere inviato dal PCI per intervenire al congresso dei comunisti cubani, il quale pone l’obiettivo della “unità organica di tutte le forze rivoluzionarie” dell’isola. Sullo sfondo del rapporto col PCI, vi è infatti la questione del contributo dei comunisti cubani alla rivoluzione: un contributo che dopo le prime esitazioni e il ruolo attivo negli ultimi mesi di guerriglia, diventa rilevante sul piano politico, sia nel favorire l’evoluzione di Fidel Castro e del governo verso la scelta socialista, sia nel mediare le loro relazioni con l’URSS e col movimento operaio internazionale. Non a caso Spano, che incontra anche Fidel, concorda col giudizio del leader comunista cubano Marinello, secondo cui Castro già “parla e agisce come un saggio comunista”. E infatti il 1° maggio 1961, nel comizio di cui Vittorio Vidali è testimone, Fidel proclama Cuba Repubblica socialista, e avvia quel processo che porterà le forze rivoluzionarie a riunirsi in una sola organizzazione, e a dare a quest’ultima il nome di Partito comunista cubano.
L’INVASIONE ALLA BAIA DEI PORCI
È noto che lo sviluppo della rivoluzione cubana verso la scelta socialista fu frutto anche della politica aggressiva dell’imperialismo statunitense, che promovendo la tentata invasione alla Baia dei Porci doveva andare incontro a una delle peggiori figuracce della sua storia. Il PCI si schiera subito e con decisione al fianco di Cuba, e come ricorda Pappagallo Rinascita parla chiaramente di un’operazione “organizzata dalla CIA e dal Dipartimento di Stato” USA. Parallelamente si avvia quella attività di solidarietà con la rivoluzione cubana, che dà vita prima a dei comitati unitari e poi all’As – sociazione di amicizia Italia-Cuba che è tuttora una delle massime espressioni del sostegno italiano a questa grande esperienza. Il PCI peraltro coglie subito il valore di “e sem – pio” della rivoluzione cubana, e la sua importanza strategica per tutto il continente latino-americano.
CUBA SI ORIENTA VERSO IL CAMPO SOCIALISTA
Certo, nella prima fase, non mancano le perplessità e le reciproche diffidenze, che da parte cubana riguardano non solo il PCI (rispetto a cui c’è qualche scambio polemico su “via pacifica” e “non pacifica”), ma l’intero movimento comunista, a partire dai PC latinoamericani, e gli stessi paesi socialisti. E tuttavia, nel loro straordinario “processo di apprendimento”, la rivoluzione cubana e i suoi leader, dopo l’iniziale “neutralismo” e pur senza entrare organicamente nel “blocco sovieti – co” (cosa che per l’URSS stessa non sarebbe stata opportuna), si orientano rapidamente verso un’amicizia e un legame organico col campo socialista e col movimento comunista in genere; e anche in questo ambito, nonostante certe affinità iniziali con l’impostazione dei comunisti cinesi e gli errori sovietici nella gestione della crisi dei missili, i cubani prendono rapidamente le distanze dalla incessante polemica verso l’URSS condotta da Mao e dal gruppo dirigente del PCC. Peraltro la soluzione della crisi dei missili – lo riconoscerà lo stesso Castro – garantisce comunque a Cuba una sicurezza rispetto a possibili invasioni USA che prima non aveva.
UNA RIVOLUZIONE POPOLARE NEL SENSO LENINISTA
In questo “processo di apprendimento” – che riguarda naturalmente anche l’economia, l’organizzazione della società e del potere politico – oltre ai comunisti cubani e alle gran di capacità di Fidel, gioca un ruolo anche il PCI? Pappagallo risponde affermativamente, documentando gli scambi di delegazioni ed esperienze, la considerazione dei dirigenti cubani verso Togliatti e la sua elaborazione, e quella del leader italiano verso Fidel e la rivoluzione cubana. Dal 1963 – anno in cui l’incontro a Mosca tra Chru‰ãëv e Castro rinsalda le relazione cubano-sovietiche – i rapporti diventano più costanti. Il PCI costituisce un gruppo di studio su Cuba, e tenta di superare ogni residuo di eurocentrismo; da L’Avana giungono gli articoli e le analisi di Luigi Pintor (che parla di “una rivoluzione popolare nel senso leninista”) e poi di Saverio Tutino. Ma anche da parte cubana si inizia a percepire come strategico il rapporto col PCI, “ponte” col campo socialista, i partiti comunisti latinoamericani, il Mediterraneo e l’Euro – pa. Quella di Pecchioli è la prima visita a Cuba di un membro della Direzione; i colloqui con Fidel confermano che ormai il dialogo è ai massimi livelli. Anche sul piano politico le distanze appaiono ridotte.
LA “DIVERSITÀ DELLE VIE AL SOCIALISMO”
Il punto comune è il tema della “diversità delle vie al socialismo”, per cui Cuba ormai non si pone più come un modello per tutto il continente, e il PCI stesso è più aperto alla comprensione di quei contesti in cui la guerriglia appare l’unica via possibile. Nel 1964 è Ingrao a visitare l’isola, e ad avere con Ernesto Che Guevara colloqui di cui purtroppo non si è reperito il resoconto. Peraltro il giudizio del “Che” sul movimento operaio occidentale – ricorderà Ingrao – è ancora molto severo. L’anno successivo il PCI pro- muove l’invio di una delegazione unitaria a Cuba, comprendente Corrado Corghi, della sinistra dc, Pio Baldelli e il socialista Ercole Bonacina. È poi la volta di Luporini e Chiarante, il quale percepisce qualche “eccesso di personalismo e di volontarismo” nello sviluppo della rivoluzione cubana, ma anche il grande entusiasmo e le grandi energie che essa riesce ad attivare.
LA CONFERENZA TRICONTINENTALE E IL PCI
Intanto la polemica cino-sovietica infuria. Si discute della opportunità di una nuova Conferenza mondiale dei PC che isoli i cinesi; il PCI propone invece conferenze regionali, incontri bilaterali e multilaterali tra i partiti, un approfondimento questione per questione; e in effetti proprio a L’Avana, alla fine del ’64, si tiene una conferenza dei PC latinoamericani, sostenuta dall’URSS, che sembra andare in questa direzione. Ma soprattutto i comunisti italiani vorrebbero che la Conferenza mondiale fosse estesa a tutte le forze antimperialiste. In questo senso si cerca un asse con Cuba, ed è questo il tema principale che Alicata discute con Fidel nel 1965, avendo modo peraltro di “constatare l’esistenza di un forte tessuto democratico” di organismi popolari, e di apprezzare l’evoluzione del partito stesso in forza di massa in cui però “si mantengono norme severe di controllo e vigilanza”. La proposta italiana non trova però l’adesione dei cubani, e nella fase successiva tornano motivi di dissenso, da un lato sul sostegno cubano a gruppi come quello che fa capo a Feltrinelli, dall’altro per un passaggio di un discorso di Amendola in cui egli è parso assimilare Guevara ai gruppetti estremisti occidentali. Alla fine dell’anno è Renato Sandri a essere inviato in America Latina, anche in vista di quella Conferenza Tricontinentale appena indetta dai cubani. Il giudizio di Sandri sulla rivoluzione cubana è molto positivo: essa ha “segnato un mutamento di qualità […] nello sviluppo della lotta di classe […] in ogni angolo del continente latino-americano”; “la presenza di Cuba socialista è […] un coefficiente primario della oggettiva radicalizzazione della situazione”. Sul piano teorico-politico, testimonia “della necessità e della possibilità del passaggio dalla rivoluzione democratica alla rivoluzione socialista”. Per i comunisti italiani, dunque, l’esperienza cubana ha anche un valore generale, nel quadro del processo di maturazione dell’intero movimento comunista; d’altra parte, l’influenza di quest’ultimo, dei paesi socialisti e dello stesso PCI su quella esperienza ha costituito un fattore molto positivo. In particolare, dopo la Conferenza Tricontinentale, per una certa fase il PCI è tra i partiti europei, “il solo interlocutore accettato dal governo cubano”.
UN ESEMPIO POSITIVO DI NUOVO INTERNAZIONALISMO
Ciò che emerge dal lavoro di Pappagallo è dunque un rapporto biunivoco, bidirezionale, pur tra esperienze così diverse; un confronto fruttuoso, nonostante alcune differenze di impostazione che torneranno a riaffacciarsi; un esempio positivo di quel nuovo internazionalismo – che significava nuova attenzione alla dimensione europea, ma anche uscita dall’eurocentrismo e recupero di una prospettiva mondiale della lotta – che non fu solo proclamato a parole, ma praticato con un’iniziativa politica costante, documentata, attenta e non a caso efficace. È interessante, peraltro, che problemi quali quello del passaggio “dalla rivoluzione democratica alla rivoluzione socialista” siano tuttora al centro di importanti esperienze politiche in corso in America Latina, Venezuela in primis, in un continente tutto in movimento, da cui stanno giungendo molti segnali di grande interesse. Un fatto che la presenza di Cuba, in cui pure il processo e il dibattito politico vanno avanti, ha contribuito in modo determinante a rendere possibile.
Onofrio Pappagallo, Il PCI e la rivoluzione cubana. La “via latino-americana al socialismo” tra Mosca e Pechino (1959-1965), Prefazione di C. Spagnolo, Roma, Carocci, 2009
Note
1 Su questi temi, mi permetto di rinviare al mio Il PCI nella crisi del movimento comunista internazionale tra PCUS e PCC, 1960- 1964, “Studi storici”, 2005, n. 2 (www.lernesto. it/index.aspx?m=77&f=get_filearticolo& IDArticolo=19668).
2 Cfr. M. Galeazzi, Togliatti e Tito. Tra identità nazionale e internazionalismo, Roma, Carocci, 2005; Id., Il PCI e i paesi non allineati. La questione algerina (1957-1965), “Studi Storici”, 2008, n. 3; P. Borruso, Il PCI e l’Africa indipendente (1956-1989), Firenze, Le Monnier, 2009.