Il Partito Comunista e la coscienza rivoluzionaria

La questione del rapporto tra il movimento e il partito non è sorta l’estate scorsa, ma risale alla nascita stessa del movimento operaio organizzato e allo sviluppo della teoria rivoluzionaria per la presa del potere. E tutti coloro che intendono mettere in contrapposizione partito e movimento, organizzazione e spontaneità, teoria e prassi dimostrano una insufficiente capacità dialettica e sono destinati a non cogliere la realtà nella sua interezza. Infatti, il punto da cui partire è proprio questo: guadagnare una visione d’insieme della realtà, comprendendo che ogni aspetto è parte di un tutto e, al tempo stesso, va messo in rapporto con tutti gli altri, secondo una relazione dinamica. Totalità e movimento sono, dunque, requisiti essenziali per affrontare correttamente la questione da cui abbiamo preso le mosse; e visto che vogliamo esaminarla non per scopi accademici, ci sembra utile partire dal problema della coscienza rivoluzionaria e della sua capacità di abbracciare con la sguardo la totalità del mondo storico-sociale. ” È attraverso la critica della civiltà capitalistica- scrive Gramsci – che si è formata o si sta formando la coscienza unitaria del proletariato, e critica vuol dire cultura, e non già evoluzione spontanea e naturalistica”. Il tema è quello posto dal Che fare? di Lenin, tema più volte discusso e sviscerato, ma sempre attuale nel dibattito dei comunisti.
Di assoluta rilevanza, e ciò è stato sottolineato da Alberto Burgio nel convegno Lenin e il Novecento svoltosi nel 1994 a Urbino, ci sembra a tal proposito la posizione di Lukacs in Storia e coscienza di classe, dove si legge:” Poiché il proletariato è posto dalla storia di fronte al compito di una trasformazione cosciente della società, nella sua coscienza di classe si forma necessariamente la contraddizione dialettica tra l’interesse immediato e lo scopo finale, tra il momento singolo e l’intero. Infatti, nella sua essenza, la situazione concreta con le sue concrete esigenze, il momento singolo del processo, è immanente alla società del presente, alla società capitalistica, si trova sotto le sue leggi, è sottoposto alla sua struttura economica. Solo se viene inserito nella visione totale del processo, se viene messo in relazione con lo scopo finale, esso rimanda concretamente e coscientemente al di là della società capitalistica, esso diventa rivoluzionario”. È evidente che Lukacs ritiene indispensabile il superamento della coscienza naturale, subalterna a interessi immediati e particolari, e il guadagno di una finalità universale. Ma tutto ciò non si conquista spontaneamente: l’interesse specifico della borghesia sarà rivolto ad impedire che il proletariato acquisisca tale consapevolezza e conquisti il potere politico. Del resto, per il Nostro coscienza e organizzazione costituiscono un binomio indissolubile nel quale prende forma il fondamento stesso del movimento rivoluzionario.
Come sappiamo Lenin affrontò con straordinaria forza polemica il problema, ancorato a tematiche della Russia di inizio Novecento, ma trattato in modo “universale” e dunque utile in altri tempi e in altre realtà.
Qualcuno potrebbe ironizzare sull’interesse che ancora mettiamo nel discutere questi problemi; altri si chiederanno se vale la pena attardarsi sul tema della “coscienza che viene dall’esterno” in presenza di una realtà molto diversa rispetto al secolo scorso. In verità nessuno, anche il più lontano da questa problematica, può dubitare della rilevanza della questione e proprio per questo si pone il compito ai (moderni!)comunisti di aggiornare e arricchire, cosa peraltro non facile, il bagaglio di teoria antagonistica in modo creativo. Si dice: bisogna innovare a proposito del rapporto partito-movimento senza rinchiuderci nelle sedi della politica(!?), ma aprendoci alla società e al movimento, impedendo la rottura tra gli stessi movimenti e la rappresentanza politica. Bene. Non è chiaro, però, se si vuole arrivare ad una ridefinizione del suo ruolo d’avanguardia o piuttosto ad uno scioglimento del partito nel movimento, ritenendo l’organizzazione ormai superata nel mondo della globalizzazione.
Se si osserva con attenzione la realtà, ci si accorge che la forza del movimento contemporaneo consiste soprattutto nel risveglio di massa di parti consistenti della società, mentre la sua debolezza sta nella mancanza di una profonda consapevolezza politico-teorica. E rivedendo l’esperienza dei movimenti rivoluzionari dall’Ottocento ad oggi, possiamo attestare che i movimenti solo con le loro forze sono in grado di elaborare una coscienza “tradunionista”; la coscienza rivoluzionaria è stata, invece, sempre “apportata soltanto dall’esterno”(Lenin). Questo perché il socialismo scientifico è sorto da quelle teorie filosofiche, storiche, economiche elaborate da pensatori, Marx ed Engels, che avevano alle spalle la filosofia tedesca e precisamente la filosofia di Hegel. Scrive Engels:” Se[…] non ci fosse stato questo senso teorico, il socialismo scientifico non si sarebbe mai cambiato in sangue e carne in così grande misura com’è effettivamente accaduto.[…] sarà dovere[…] tenere sempre presente che il socialismo, da quando è diventato una scienza, va trattato come una scienza, cioè va studiato.”
Lenin condannava ogni sottomissione del movimento operaio alla spontaneità, ogni menomazione della funzione dell’elemento cosciente, del ruolo dell’avanguardia organizzata, come una concessione all’avversario di classe, un rafforzamento “dell’ideologia borghese”. A tal proposito, Lenin, citando Kautsky, scrive nel Che fare?” […] ma socialismo e lotta di classe nascono uno accanto all’altra e non uno dall’altra; essi sorgono da premesse diverse.
La coscienza socialista contemporanea non può sorgere che sulla base di profonde cognizioni scientifiche.[…] La coscienza socialista è quindi un elemento importato nella lotta di classe del proletariato dall’esterno [von aussen hineingetragenes], e non qualche cosa che ne sorge spontaneamente [urwüchsig].”
Avere a cuore le sorti dei movimenti non significa, dunque, annullarsi come partito, come forza cosciente e organizzata, ma al contrario consentire al movimento una crescita politica che possa indirizzare la spontaneità antagonistica delle classi subalterne nella direzione di una critica generale al sistema capitalistico; in tal modo si può costruire la coscienza teoretica di massa e si può condurre il proletariato alla conquista del potere quando il partito è capace di interpretare la profonda volontà di trasformazione presente nella classe.