Il nuovo “miracolo italiano”

PRECARIETÀ, PRIVATIZZAZIONI E NUOVE POVERTÀ

La domanda retorica è caricata di amaro sarcasmo, ma il dibattito l‘ha presa sul serio. Il dibattito (Il nuovo “miracolo italiano”) è quello che si è svolto, nel ciclo delle Ta v o l e Rotonde organizzato dal l’ernesto, presso la storica Camera del Lavoro di Brescia.
Con la presidenza di Dino Bozzi, già segretario di questa Federazione del PRC, vi hanno partecipato: Riccardo Bellofiore, docente all’Università di Bergamo, Antonio Panzeri, leader dei “cosiddetti 49” della CGIL e, per la stessa Confederazione, responsabile delle politiche europee, Dino Greco, segretario generale della Camera del Lavoro ospitante e Bruno Casati, responsabile Nazionale delle politiche industriali del PRC. Si è partiti, già con l’apertura di Bozzi, da una analisi della situazione economica, sociale e politica. Con diversi accenti ma, sull’analisi, tutti d’accordo. Il dibattito diventa vivace quando si tratta di dire come uscire da questa situazione o, per mettere i piedi nel piatto, quando si tratta di dire cosa fare dopo aver cacciato Berlusconi. E già questa del cacciarlo non sarà impresa semplice. Non è scontato nulla anzi, per usare un luogo comune, “ne vedremo delle belle” già nei prossimi mesi. Il miracolo italiano, quello vero – ed è Bruno Casati a rammentarlo – è invece quello che decollò a cavallo dei primi anni 60, quando nel Paese si investì sia nella grande industria tradizionale – dall’auto alla siderurgia, dalla cantieristica navale all’elettromeccanica pesante – che nell’industria allora innovativa, come l’informatica dell’Olivetti, accompagnando quei processi, che portarono l’Italia del tempo in collocazioni preminenti in Europa, con un forte impulso impresso alla ricerca, alla programmazione economica e alle grandi riforme, come quella della nazionalizzazione delle imprese elettriche private, della scuola media dell’obbligo, delle pensioni. Erano quelli i tempi dell’ “economia mista”, che Antonio Pesenti seppe poi analizzare acutamente anche nelle sue contraddizioni. Altri tempi, si dirà, altri imprenditori, ma anche altro sindacato…. E altro partito. Tempi brevi però, quelli del miracolo: con le deindustrializzazioni e poi le privatizzazioni successive si è preparato quel declino che, via via, è diventato dissesto, ed oggi crisi. È Dino Greco che sviluppa l’analisi del “declino oltre il declino” che, con le destre al governo, diventa il fallimento di un modello, quello che (richiamando la campagna elettorale di Berlusconi ed il suo “contratto con gli italiani”) fu indicato come il “nuovo miracolo italiano”. Il modello parlava di: meno tasse, meno vincoli, meno Stato, meno sindacato. Il miracolo avrebbe dovuto rappresentarsi in più lavoro, più sviluppo, più ricchezza e benessere per tutti. La realtà è un’altra e, nel Convegno, si è fatto ricorso ai dati IRES-CGIL per rappresentarla: nel 1972 (32 anni fa) la quota di reddito da lavoro dipendente era, in Italia, il 50% del PIL, oggi è il 40%; però Francia e Germania mantengono il 50%, l’Inghilterra è attestata addirittura al 55%, pur avendo subito un taglio di ben tre punti con la Tatcher. L’Italia del salario non è al passo con l’Europa. Il declino è insomma scaricato solo sui salariati (e sui pensionati). Con un effetto derivato da questo, che è poi uno spostamento immane di valore dal monte salari a rendite e profitti. Ed è appunto Riccardo Bellofiore a sollevare la questione della contrazione, oggi del tutto evidente, dei consumi legati ai bisogni primari, ma, parallelamente, a rimarcare l’esplosione parallela dei consumi del superlusso: solo nell’ultimo anno è raddoppiata la domanda di yatcht, solo nell’ultimo anno la domanda di Ferrari è aumentata di 1/3. Si potrebbe dire forse meglio e così: si impoveriscono i proletari, si proletarizzano i ceti medi, si arricchiscono i già ricchi che oggi hanno trovato il loro governo. Il miracolo, perciò, è solo per questi ultimi, e si chiama condoni, detassazioni, cartolarizzazioni. Per tutti gli altri siamo al dramma. Ed è ancora Bruno Casati che illustra il “caso Milano”, città duale in cui crescono insieme, allontanandosi, ricchezza e povertà; città in cui il pensionato scopre il “fenomeno ultima settimana” (quando la pensione si è dissolta), e il giovane se ne sta protetto nell’ammortizzatore-famiglia e, se laureato ad esempio, è costretto o ad emigrare o a fare il centralinista nel call center a 500/600 euro al mese. Come farà mai costui a farsi una casa sua, ma chi gli darà mai un mutuo, come si costruirà la pensione? Questo è il dramma dei tanti, speculare al miracolo dei pochi. E, intanto, che fanno gli imprenditori del terzo millennio? O fuggono dal mercato liberalizzato verso le utilities privatizzate e a cliente garantito, o se ne stanno acquattati nella “competizione di prezzo”, ove cercano di comprimere ancora per un po’il costo del lavoro e, con la Legge 30, cancellare ogni diritto. E l’Italia diventa, con questi imprenditori e con questo governo, il paese dei sub-fornitori e del solo terziario, il paese dei 200 distretti del “piccolo (che era) bello”, specializzato laddove la domanda è destinata a calare – paese ancora forte, ma nei settori deboli del legno, del turismo, del tessile e abbigliamento, della componentistica senza valore aggiunto – ma assai debole nei settori destinati a crescere, dove appunto è alta la componente conoscenza, qualità, innovazione e ricerca, come l’industria d’avanguardia, la sanità, i nuovi materiali. Settori che vogliono massa critica competitiva e forti indirizzi pubblici. Che, in Italia, non ci sono.
L’analisi di Greco e Bellofiore si fa impietosa. Questa Italia si avvia a diventare una colonia: ha venduto Fiat Avio agli americani e non è entrata nel Consorzio Airbus; ha venduto Fiat Ferroviaria ai francesi; esce dall’auto e chiuderà addirittura Mirafiori; Riva e Lucchini, dopo essersi impadroniti delle acciaierie un tempo delle PPSS, pensano di delocalizzarle in Polonia e Romania; Merloni, con l’Ucraina, pensa la stessa cosa con gli elettrodomestici; il governo vuole privatizzare Fincantieri e, ahimè, il “triciclo” lo spinge in questa direzione; Tronchetti Provera lascia i “copertoni” per i telefoni e Benetton i maglioni per le autostrade (i padroni ad un certo punto diventano per davvero “tagliatori di cedole”, proprio come prevedeva Marx); Tanzi e Cagnotti, in verità, hanno preso un’altra strada. L’economia italiana diventa sempre più povera ma – e ha ragione Sylos Labini – l’imprenditore sempre più ricco. E l’Italia dei distretti, nell’illusione della loro autosufficienza, è cancellata dalla concorrenza straniera che, il più delle volte, è sostenuto dai loro Stati (altro che meno Stato più mercato!), e già si avvicina quell’ immenso superdistretto che è la Cina. Come salvare il salvabile, come risalire sul piano inclinato della crisi? Questo è il punto, perché oggi la battaglia per un’altra economia si deve comporre con quella dei diritti dei lavoratori. Non si scappa: si risale solo con i lavoratori. Bruno Casati è molto preciso: “Quand’anche si riuscisse a cancellare la Legge 30 e a riconquistare il diritto alla contrattazione – e non sarà semplice, visti i Rutelli e i Bersani in agguato – potrebbe risultare, questa, addirittura un’inutile conquista se, nel contempo, si saranno dissolti i luoghi della produzione in cui appunto fruire dei diritti riconquistati”. E ad Antonio Panzeri che, in polemica con il congresso della FIOM, ribadisce tuttora la validità, di converso, della politica dei redditi e della concertazione che, è parso di capire, non va gettata oggi perché tornerebbe buona domani con il “governo amico”, rispondono di brutto un po’ tutti. Molto efficace l’intervento, dal pubblico, di un operaio del “tondino”: “Fate molta attenzione compagni perché se oggi è assolutamente indispensabile mandare a casa Berlusconi, è altresì indispensabile non imbrogliare i lavoratori in quanto, dobbiamo sempre ricordarcelo, se oggi Berlusconi sta stracciando le relazioni sindacali, la Costituzione ed i contratti collettivi, è dovuto solo al fatto che, ieri, il governo Prodi non ha sostenuto quella Legge delle rappresentanze che lo avrebbe impedito”.
È la sintesi del Convegno: ci vuole un programma, limpido e alternativo, e va conquistato con i movimenti. Poche cose ma nette: via dall’Iraq, cancellare la Legge 30, varare la legge sulle rappresentanze, ritorno della mano pubblica in economia. Ma ce n’è anche per Rifondazione Comunista. Ed è Riccardo Bellofiore, nell’ultimo intervento, che va giù duro a proposito dell’esigenza del programma “limpido ed alternativo” che se non apparisse, e Rifondazione si adeguasse, “non si capirebbe come mai Bertinotti – dice Bellofiore – sia a suo tempo uscito da sinistra dal sostegno a Prodi per tornare cinque anni dopo, e con lo stesso Prodi, ma (se non c’è un programma) da destra!” Aspro ma chiarissimo. Ci aspetta insomma un gran lavoro e “che la forza (del movimento) sia con noi!”. A partire dalla forza del movimento operaio ben s’intende.