Il governo Prodi e le spese militari: dov’è la discontinuità?

* Senatrice, Capogruppo Sinistra Democratica Commissione Difesa al Senato

La finanziaria 2008 invece d’invertire la rotta rispetto a quella dello scorso anno che, a dispetto del programma dell’Unione, aveva aumentato le spese per le armi dell’11%, ha confermato un ulteriore aumento del 9%. Questo è avvenuto in aperta contraddizione all’impegno preso dalla maggioranza che, in una risoluzione del 26 luglio scorso, stabiliva di non aumentare queste spese “in alcun modo” e prevedeva una riconversione degli investimenti dal militare al civile. La “battaglia” emendativa di tutta la sinistra sia in Commissione Difesa che in Commissione Bilancio contro la “finanziaria delle armi” è stata sconfitta e ha pesato, come sempre, il silenzio, la mancanza di mobilitazione e la scarsa attenzione pubblica. La lobby delle armi nel nostro paese è molto forte e ramificata: gli interessi in gioco sono consistenti anche se non sempre immediatamente decifrabili. Le spese per armamenti rappresentano una delle voci più onerose e più opache del bilancio dello Stato e una delle meno note all’opinione pubblica (nella scorsa finanziaria più di 3,257 miliardi di euro, quest’anno 4,900 miliardi). Risulta difficile capire la reale portata di questi investimenti, sia perché sono protratti per decenni, sia perché risultano suddivisi tra bilancio della Difesa, dello Sviluppo Economico, delle Finanze o proprio perché affidate ad espedienti creativi come il leasing o mutui. Per questo abbiamo presentato in Commissione Difesa un o.d.g. – accolto dal Governo – nel senso della trasparenza: la richiesta che tutte le risorse e gli investimenti sugli armamenti che oggi, con la scusa del dual use, sono inseriti nel bilancio del Ministero dello Sviluppo Economico rientrino nel bilancio della Difesa, Cosa c’entra l’uso duale con l’Eurofighter (EF 2000) con le Fregate FREMM, col sistema di combattimento della nuova Unità maggiore (la portaerei Cavour)… e tanti altri strumenti di guerra di ampia proiezione (e quindi non difensivi né adatti per il peacekeeping), finanziati col contributo del Ministero dello Sviluppo Economico? Se ne può pensare un uso civile? Non solo: i relativi documenti spesso non passano, come dovrebbero, attraverso la decisione parlamentare (penso ai documenti per l’acquisto, nella scorsa legislatura, dei missili israeliani Spike anticarro, mai arrivati in Parlamento), oppure quando arrivano non sono forniti di sufficiente chiarezza (penso all’ultimo programma arrivato in Commissione, sui blindati VBM 8×8, che ha portato all’acquisto di 249 blindati per un miliardo e mezzo senza poter scegliere, per esempio, il blindato olandese-tedesco che costa la metà ed è dotato di maggiore sicurezza). Oltre a questa considerazione di metodo, notiamo che, nel merito delle spese per gli armamenti, la parte del leone la fanno i mezzi aerei e i mezzi marittimi, mentre la maggiore attività delle nostre Forze armate consiste in missioni internazionali terrestri di peace-keeping , dove la qualità e la competenza dei nostri militari sono apprezzate internazionalmente: dovrebbero essere queste, soprattutto in epoca di restrizioni finanziarie, le nostre priorità. Questo fatto richiama le sempre citate parole pronunciate più di un anno fa dall’ex capo di stato maggiore della difesa, generale Fraticelli, che lamentava: «Ci servono più di cento aerei d’attacco? Ci servono una nave portaerei e dieci fregate multiuso? Il modello che prevede maggiori capacità offensive a quale scenario dovrebbe adattarsi? A chi dobbiamo andare a fare la guerra? Quali minacce dobbiamo fronteggiare? Qual è la giustificazione politica?». Aggiungo la domanda: a quale politica estera di sicurezza e difesa corrispondono queste spese pazze in armamenti? I vari ministri della Difesa e gli Stati Maggiori la giustificano con la necessità di coordinare la Difesa italiana con quella degli altri paesi della NATO. Ma la “mission” della Nuova NATO – uscita dal trattato di Washington del ‘99, mai passata per il nostro Parlamento – è quella di sventare, a livello globale, le minacce alla pace derivanti dal terrorismo e dalle armi di distruzione di massa. Ma ammesso che siano queste le vere minacce alla pace, l’azione svolta dalla comunità internazionale è efficace nei loro confronti? Le cause dell’instabilità sono in realtà più numerose e complesse. Schematicamente: dalla corsa per le risorse idriche ed energetiche per conquistare mercati, controllare regimi ostili, non modificare lo stile di vita occidentale, alla conseguente corsa al riarmo che prevede guerre per tutelare gli interessi. Per consentire questa, che è la vera partita, si evocano terrorismo e uso di armi di distruzione di massa che ne sono in realtà l’effetto. Si aumenta la percezione dell’insicurezza per vendere sicurezza (armi e esportazione della guerra). Non solo: l’azione svolta dalla comunità internazionale nei confronti di queste minacce attraverso l’azione militare è consapevolmente inefficace. Siamo tutti d’accordo che la diffusione del nucleare costituisce uno dei principali fattori di allarme ma allora perché l’Italia – che dal referendum dell’87 ha bandito il nucleare persino per uso civile – deve ospitare circa 90 ordigni nucleari nelle basi USA e NATO di Aviano e Ghedi? Questo avviene in aperta violazione del Trattato di non proliferazione nucleare che vieta ai paesi detentori del nucleare di cederlo ad altri paesi. Non solo: le armi nucleari stoccate in Italia (in particolare quelle presenti a Ghedi) sono destinate ad equipaggiare i Tornado italiani; ma quello che è forse più grave è che gli Stati Uniti potrebbero usare le bombe di Aviano anche per un conflitto che dovesse coinvolgere l’Iran o il Medio Oriente, e ciò in seguito all’ampliamento dell’area di responsabilità del Comando europeo Usa che ora arriva fino all’Afghanistan. Le armi nucleari nel nostro territorio devono essere oggetto di una negoziazione per rimuoverle. Altri paesi NATO lo hanno fatto o lo stanno facendo: Grecia, Canada, Belgio e dobbiamo appoggiare la campagna “UNFUTUROSENZATOMICHE” e la loro proposta di legge d’iniziativa popolare. Quanto al terrorismo, l’attività che previene le cause che lo determinano è soprattutto politica, economica, diplomatica. Il terrorismo si combatte prima di tutto prevenendone le cause: la bonifica dei bacini d’odio (lotta contro la povertà, le disuguaglianze, l’intolleranza religiosa, rimuovere il protezionismo economico che impedisce l’accesso ai mercati mondiali dei paesi poveri, determinando così inarrestabili flussi migratori…) e uno sviluppo più efficiente e controllato delle attività dell’intelligence, che deve essere più competente (quindi, reclutamento non solo militare ma anche in altri settori), ampliando le attività satellitari e lo sviluppo delle telecomunicazioni. Lo strumento militare non è lo strumento in grado di combattere il terrorismo, anzi agisce da detonatore (come insegnano le vicende dell’Iraq e dell’Afghanistan). Al di fuori delle minacce agitate, ingestibili dalle armi se non a prezzo di carneficine di civili inermi, l’uso della forza ci è consentito dalla Costituzione solo nell’ambito di operazioni internazionali (ONU) di peace-keeping. La corsa al riarmo che su scala globale investe le grandi potenze (USA, Russia, Cina, India) sottrae risorse al sociale, produce danni e altera equilibri consolidati (basta pensare alla reazione a catena scatenata dall’annunciata installazione di rampe e radar USA per lo scudo balistico antimissile ai confini della Russia), costituisce un oggettivo incentivo alle guerre e alle devastazioni ambientali. La sinistra è impegnata ad invertire questa deriva: la mobilitazione per la moratoria contro la nuova base USA di Vicenza, la raccolta di firme a sostegno della campagna per la rimozione delle armi nucleari, l’opposizione all’installazione di basi per lo scudo antimissile in Europa, quella contro l’allestimento e l’acquisto degli F35 (JFS), l’impegno per la riconversione industriale dal militare al civile fanno parte di un “programma di pace” che ci vede tutti coinvolti, ci auguriamo sempre più numerosi.