Il giornalismo e la politica buona

Luigi Pintor è stato nella storia di questi ultimi sessant’anni della sinistra e anche di quella del nostro paese una personalità insostituibile: il vuoto che lascia è incolmabile. Il mondo continuerà, ma la sua assenza è pesantissima. E su questa assenza ci sarebbe da scrivere moltissimo. Ma lavorando io in un giornale politico e scrivendo per una rivista politica vorrei concentrare l’attenzione sul rapporto tra giornalismo e politica, e quindi ancora tra giornali e partiti. Senza dimenticare che Luigi è stato giornalista e uomo di partito, con eguale passione.
Il rapporto tra giornali e partiti di appartenenza non è mai stato semplice: ci sono state fasi nelle quali il direttore del giornale era anche dirigente decisivo di partito e fasi nelle quali era solo un esecutore delle direttive del partito. Luigi si appassionò a questo problema, non con saggi teorici, ma nel suo lavoro. Sottolineò innanzitutto la specificità del mezzo giornalistico. Parafrasando Gertru-Stein ci diceva: “un giornale è un giornale, è un giornale, è un giornale”. Il giornale è uno specifico, con una sua necessaria autonomia: non può essere un ripetitore. Quanto al rapporto col partito di appartenenza ricorreva all’immagine della rondine tenuta nella mano: se la mano stringe troppo la rondine soffoca; se la mano stringe poco la rondine scappa.
Un rapporto difficile tra la volontà politica, la linea e la specificità del mezzo, il giornale. Una specificità che ha la sua sostanza nell’intera complessità del giornale: la grafica, le illustrazioni, i titoli, la disposizione dei pezzi. Così – credo di aver capito dal suo lavoro e dalle sue conversazioni – il giornale era un filtro della politica: quel che il giornale rifiutava non era consono al suo specifico, non era buona politica. Il filtro del giornale faceva la differenza tra la buona e la cattiva propaganda, o meglio: tra la propaganda e la persuasione. E in questo specifico rientrava anche la discussione interna al partito.
Luigi l’importanza decisiva di questo filtro l’ha sempre sostenuta e praticata. Luigi, enfatizzando, ci diceva: scrivete come se parlaste a una vostra zia poco acculturata. Ma la sua raccomandazione non spingeva all’approssimativo, ma al comprensibile e al tempo stesso alla precisione. Non c’è un articolo di Luigi che manchi di precisione e che non abbia la forza della persuasione anche nei confronti di quel lettore che mantiene fermo il suo dissenso. A molti ho sentito dire “non sono d’accordo, ma è convincente”.
Questa lezione di Luigi dovremmo tenerla a mente tutti: nei giornali e nei partiti. La politica buona è una costruzione complessa: di analisi tese ad accertare lo stato dei fatti, i cambiamenti che ci sono nel mondo, gli obiettivi che sono maturati nella coscienza delle persone che vogliono cambiare e liberarsi. “Non deve vincere domani, ma operare ogni giorno e invadere il campo. Il suo scopo è reinventare la vita in un’era che ce ne sta privando in forme mai viste”. Così concludeva l’ultimo editoriale Luigi Pintor, pubblicato sul manifesto del 24 di aprile.