“Il gioco del capitale: geopolitica delle risorse e strategie militari”

Nella fase complessa e per molti aspetti drammatica che stiamo vivendo, è fondamentale che l’attività politica e l’elaborazione teorica trovino punti di incontro non saltuari, ma stabili e continuativi. Il superamento della scissione tra un sapere meramente “accademico” e un’attività politica sempre più slegata dalla teoria è tra i compiti essenziali che hanno di fronte il movimento comunista in particolare e quello anticapitalista in generale. Si avverte cioè un grande bisogno di un dibattito che non sia separato dalla militanza, e che ridia sostanza a quel nesso teoria-prassi che dovrebbe caratterizzare chi vuole cambiare il mondo.
In questa direzione è inquadrabile l’esperimento della Federazione napoletana del PRC, che ha aperto uno spazio di discussione, dando vita ad un marchio editoriale che possa essere – come ha scritto il promotore dell’iniziativa editoriale della Federazione, Luca Elena – “un cantiere dedicato ai lavori che vengono ‘dal basso’, dai Circoli del Partito, da Associazioni, gruppi di lavoro, e da singoli compagni”. Si tratta di un progetto ambizioso, ma senza dubbio necessario, che può stimolare i compagni ad una forma di partecipazione più attiva e al tempo stesso più impegnata. Il nome del nuovo marchio – Lavorincorso – è di per sé esplicativo e segnala la volontà di una ricerca aperta ma rigorosa.
Il contributo che apre questo percorso è un lavoro realizzato dai compagni del circolo “Che Guevara” (e in particolare del suo dipartimento Questioni internazionali), introdotto da Gordon Poole, e intitolato Il gioco del capitale. Geopolitica delle risorse ed evoluzione della strategia militare, che è uscito alla fine del 2002.
Il volume è frutto di una ricerca collettiva durata molti mesi, da cui è emerso un documentato dossier. Gli Autori si servono dei “modelli interpretativi appartenenti alla storia del pensiero comunista”, da Marx a Lenin a Mao, applicandoli creativamente al contesto della globalizzazione capitalistica (peraltro – come dimostrano – ampiamente prefigurata da Marx), ai suoi conflitti e alle sue contraddizioni. Il punto di partenza è proprio la consapevolezza che, trovandoci ancora nella fase imperialistica dello sviluppo capitalistico, un quadro mondiale privo di interessi statuali in conflitto tra loro (come viene disegnato, ad esempio, nell’Impero di Negri e Hardt) è assolutamente impossibile. Queste contraddizioni riguardano innanzitutto il controllo delle risorse: un problema che sarà sempre più cruciale col passare degli anni, ma che – assieme alla questione dell’egemonia – è già oggi al centro dei contrasti inter-imperialistici (tra USA e Gran Bretagna, da un lato, e Francia e Germania, dall’altro) sulla questione della guerra all’Iraq.
La prima contraddizione sta nel fatto che – scrivono i nostri Autori – il fabbisogno mondiale di risorse energetiche “è cresciuto a ritmi più che esponenziali e […] ha superato un fattore critico di riferimento”. Questo vale innanzitutto per il petrolio, le cui riserve dovrebbero esaurirsi in poco più di un secolo (e rispetto a cui gli USA hanno raggiunto il picco della produzione già trent’anni fa; dopodiché è iniziato il calo). A ciò si lega la questione del “sovraconsumo energetico dei Paesi più sviluppati”, i quali – se vorranno sostenere gli attuali livelli di crescita e soprattutto l’attuale “modello di sviluppo”, basato sulla produzione inarrestabile di merci – saranno nei prossimi anni presumibilmente impegnati in “una vera e propria corsa all’accaparramento di bacini potenzialmente sfruttabili”, coi conflitti e le guerre che ciò provocherà. Queste previsioni peraltro trovano ampia conferma nelle intenzioni esplicitamente egemoniche che l’Amministrazione statunitense ha più volte affermato, in documenti ufficiali ormai noti. Peraltro la questione riguarda anche i gas naturali e i vari progetti di pipelines, oleodotti e gasdotti, in via di progettazione o realizzazione, e spesso in contrasto tra loro, ampiamente documentati nel dossier.
In sostanza, “il problema energetico tende allora a diventare un problema geopolitico”. E tende a condizionare pesantemente – altro che i motivi “umanitari” o la “lotta al terrorismo”! – le scelte di politica estera dei vari Stati, a partire dagli USA. “Non a caso”, osservano giustamente gli Autori, Bush ha indicato tra gli “Stati canaglia” Iraq, Iran, Libia e Siria, e cioè i Paesi che stanno applicando “una più rigorosa politica produttiva […] sfavorevole ad aumenti indiscriminati della produzione per sostenere i ritmi di crescita dell’Occidente”. Da qui alle dichiarazioni di guerra, il passo è breve.
D’altra parte, nel “grande gioco” degli oleodotti e dei gasdotti che oggi investe anche le ex repubbliche sovietiche centroasiatiche, il capitale europeo – e in particolare italiano – è tutt’altro che assente, e il dossier lo documenta, parlando chiaramente di nuove forme di “colonizzazione capitalistica”.
Ma non c’è solo il problema delle fonti energetiche. Anche una risorsa essenziale alla vita come l’acqua non è rinnovabile, e dunque la sua disponibilità è destinata a diminuire costantemente. Cosicché, se già oggi circa un miliardo di persone non può utilizzare acqua potabile, nel 2025 questa cifra dovrebbe salire a circa tre miliardi. Infine, anche la disponibilità di risorse alimentari è messa seriamente in crisi dal sistema capitalistico, che tendendo a massimizzare i profitti e dunque ad accrescere la produzione sul breve periodo, con la sua agricoltura fortemente intensiva agisce “a discapito della conservazione dell’ecosistema”, provocando così un enorme calo del “potenziale produttivo” a lungo termine, specie nei paesi più poveri.
All’interno di questo contesto si colloca la “questione mediorientale”, e il libro del circolo “Che Guevara” si sofferma anche sulla in particolare sulle origini e il significato della questione palestinese, oggi ampiamente derubricata a esempio del “terrorismo internazionale” a danno del “pacifico” Stato di Israele.
La seconda parte del dossier si occupa invece dell’evoluzione delle strategie militari individuate dai vari attori in campo (USA, UE, Russia, Cina) come le più adeguate a raggiungere i propri obiettivi nella situazione descritta. Se la NATO, con la sua “nuova dottrina strategica”, ha posto fin dal 1991 – e ha ribadito nel ’99 – la prospettiva di estendere la propria influenza, mutando il proprio ruolo da “difensivo” e limitato ad un ruolo fortemente attivo e potenzialmente senza confini di intervento, anticipando la teorizzazione di quella “guerra preventiva” e globale oggi esplicitata da Bush II; è caratteristico invece il fatto che la nuova dottrina strategica russa, varata nel 2000, mantenga una prospettiva difensiva, individuando nell’Occidente il fattore di maggiori minacce militari al Paese. Più in generale, i paesi occidentali – servendosi anche della veste degli “interventi umanitari” e delle operazioni di peace-keeping – hanno realizzato negli anni successivi al crollo del campo socialista moltissimi interventi nelle cosiddette “aree di crisi”, non mancando di utilizzare – e talvolta di incoraggiare – conflitti etnici, separatismi ecc. Il caso della Jugoslavia è in questo senso emblematico. Anche da questo punto di vista, sarà decisiva, nelle prossime settimane, la misura in cui la guerra preventiva all’Iraq avrà disarticolato un blocco occidentale ormai ampiamente diviso; e sarà interessante vedere se la bandiera ideologica della “guerra al terrorismo” – abbracciata entusiasticamente dopo l’11 settembre e utilizzata per giustificare la guerra all’Afghanistan – continuerà ad essere uno strumento propagandistico spendibile per tutti o rimarrà appannaggio dell’imperialismo USA e di Israele.
Proprio alla guerra in preparazione sono dedicate le conclusioni del volume: “Il bombardamento mediatico – dicono gli Autori – non può cancellare la vera sostanza e la reale entità del conflitto in atto: la guerra si dimostra quello che essa realmente è, guerra imperialistica per il controllo delle risorse e delle regioni strategicamente vitali del pianeta”. Il grande successo della mobilitazione internazionale del 15 febbraio, e lo stesso diffondersi nel senso comune del fatto che questa è una “guerra per il petrolio”, paiono confermare queste considerazioni, così come ci trova concordi l’idea che l’insieme delle contraddizioni che oggi caratterizzano l’imperialismo “rimette al centro la questione del superamento del sistema capitalistico”: una questione che dopo il 1989-91 pareva avrebbe avuto bisogno di un periodo ben più lungo per tornare a porsi, e che invece le contraddizioni stesse del sistema rimettono all’ordine del giorno. A tale fine, però, concludono giustamente i compagni del circolo “Che Guevara”, è più che mai indispensabile non solo una conoscenza documentata dei fatti, ma anche la ricostruzione di un patrimonio teorico che consenta ai comunisti di promuovere la maturazione delle tante istanze pacifiste o no-global verso una più chiara coscienza anticapitalistica. In questo quadro, il ruolo del Partito e del progetto stesso della “rifondazione comunista” è ineludibile.