Svoltosi a Martigues (Marsiglia) dal 23 al 26 marzo, il 30° congresso nazionale del Pcf si è certamente caratterizzato, secondo la definizione dei suoi stessi dirigenti, come il congresso della “mutazione”, congresso “fondatore di un nuovo partito comunista”. Quale partito? Non spetta certo ad una rivista come la nostra esprimere giudizi di valore su di un processo peraltro ancora in corso; giudizi che spettano in ultima analisi ai comunisti e al popolo francesi. Scopo di questo dossier è di fornire al lettore attento e interessato i testi salienti delle otto tesi su cui si è svolta la discussione; e alcuni dei principali interventi, individuali o collettivi, in cui si sono espresse le principali sensibilità del dibattito interno: sia quelle che hanno sostenuto le tesi accentuandone alcuni aspetti, sollecitando una accelerazione e accentuazione della “mutation” (è il caso dei cosiddetti “rinnovatori”); sia quelle che in vario modo si sono opposte non all’innovazione in sé ma a un certo tipo di orientamento, come nel caso dell’”appello dei 700″ della federazione di Parigi o del documento della federazione del Pas de Calais, divenuto per molti versi il punto di riferimento nazionale di larga parte del dissenso interno.
La fase preparatoria del congresso è durata ben nove mesi, ed è iniziata all’indomani della sconfitta del Pcf alle elezioni europee del 13 giugno 1999, dove la lista “Bouge l’Europe” (“Cambiare l’Europa”) ha ottenuto il 6,8 % dei voti. Per il Pcf era un minimo storico, tanto più deludente in quanto la nuova lista era stata presentata dalla direzione con grande enfasi propagandistica, come la lista della “doppia parità”: metà uomini e metà donne, metà iscritti al partito e metà no, con una collocazione nella testa di lista volta a garantire che tale proporzione sarebbe stata mantenuta anche tra gli eletti, come appunto è avvenuto. Questa operazione è stata subìta e accolta con freddezza dal corpo del partito e contestata dal dissenso interno; anche perché- in piena guerra contro la Jugoslavia- alcuni importanti candidati indipendenti della testa di lista, poi eletti al Parlamento europeo, si erano pronunciati pubblicamente a favore dell’intervento della Nato: come la non comunista Geneviève Fraisse, seconda capolista dopo il segretario Robert Hue, come l’ex comunista e dirigente del Pcf, Philippe Herzog, uscito dal partito pochi anni fa.
La fase precongressuale è stata caratterizzata da due importanti consultazioni referendarie dei 204.000 iscritti dichiarati (organizzati fino ad ora in 13.500 cellule), svoltesi sulla base di questionari inviati agli iscritti. Si calcola che siano circa 140.000 gli iscritti effettivamente contattati, che si sono espressi in modi e sedi diverse: in assemblee di base, per posta, per telefono, via Internet, ecc. La prima consultazione si è svolta nel novembre 1999 per determinare l’ordine del giorno e i temi da porre al centro delle tesi congressuali, sulla base di una prima proposta della direzione del Pcf. Essa ha visto la partecipazione di circa 57.000 iscritti, con l’88,9 % a favore, il 4,7 % contrari e il 6,4 % astenuti. Dopo di che la direzione ha predisposto otto testi (tesi) congressuali che sono stati sottoposti ad una seconda consultazione referendaria nel febbraio 2.000, per essere approvati come base di discussione per i congressi di cellula, di sezione, di federazione, fino al congresso nazionale. A questa seconda consultazione hanno partecipato circa 50.000 iscritti, sulla base di un testo in cui ci si doveva esprimere separatamente su ognuno degli otto punti. Questi i risultati:
1) Mondializzazione e quadro internazionale (84,9% sì, 8,9 no, 6,3 astenuti);
2) Comunismo e bilancio del secolo (81,9% sì, 10,2 no, 7,9 ast.);
3) La società francese (83,3% sì, 9,4 no, 7,3% ast.);
4) Il nostro progetto comunista (81,6% sì, 10,4 no, 8 ast.);
5) Scelte strategiche del Pcf (80,3% sì, 10,7 no, 9 ast.);
6) Il Partito comunista (78,5% sì, 12,4 no, 9,6 ast.);
7) Humanité, stampa comunista e comunicazione interna al Pcf (78,3% sì, 11,9 no, 9,7 ast.);
8) Modifiche Statuto e nuovi criteri di elezione degli organismi dirigenti (75,3% sì, 14,4 no, 10,3 ast.).
I punti più controversi si sono rivelati:
• la rottura col leninismo;
• il bilancio della storia comunista del ‘900;
• la sostanziale abolizione delle cellule e l’affermazione della centralità, nella vita del partito, dell’iscritto come cittadino e individuo, e non in quanto facente parte di una organizzazione militante di base;
• i rapporti col governo Jospin;
• l’abbandono della “centralità operaia”;
• la democrazia interna;
• la funzione dei nuovi organismi dirigenti e l’elezione del Segretario nazionale direttamente dal congresso, accusata di “presidenzialismo”.
Come si vede, la consultazione ha evidenziato un’area di dissenso con punte variabili dal 15 al 25%, con una media del 20%, anche se va ricordato che oltre il 75% degli iscritti non vi ha preso parte.
Nonostante il Pcf abbia ormai da diversi anni affermato il superamento del “centralismo democratico” (una concezione che, nella originaria concezione e prassi di Lenin, non escludeva la possibilità di svolgere la discussione, in fase congressuale, su documenti alternativi e di eleggere quindi i delegati su base proporzionale), l’attuale direzione del Pcf, raccolta attorno a Robert Hue, non ha consentito che il dissenso si esprimesse su testi alternativi o su emendamenti nazionali su cui tutte le istanze di partito fossero chiamate a pronunciarsi. E ciò con l’argomento che un tale approccio avrebbe condotto di fatto alla formazione di componenti cristallizzate. Sta di fatto che ciò ha determinato (come accadeva anche nell’ultimo Pci) una selezione dei delegati ai congressi di federazione e al nazionale in cui le posizioni di dissenso hanno visto progressivamente assottigliarsi la proprio rappresentanza. Fino al congresso nazionale, dove l’area di dissenso che a livello di base- come emerge dai dati della consultazione- contava mediamente il 20%, nel congresso nazionale ha espresso circa l’8% degli 886 delegati, tre soli rappresentanti nel nuovo Consiglio nazionale formato da 271 membri (poco più dell’1%) e nessuno nel Collegio esecutivo di 46 membri (che sostituisce il precedente Ufficio nazionale, cioè il tradizionale Ufficio politico). Nel Collegio esecutivo sono entrati invece alcuni esponenti che si erano iscritti al Pcf solo alcuni mesi prima, nel corso stesso del processo congressuale.
Tutto ciò ha determinato forte malessere e protesta nel partito, anche in seno a settori della maggioranza, che si sono espressi, tra l’altro, nell’intervento sull’Humanitè (che pubblichiamo) del deputato Maxime Gremetz, dell’Ufficio nazionale uscente, e nell’annuncio fatto dalla tribuna del congresso nazionale delle sue dimissioni da ogni incarico e della imminente costituzione di una “rete nazionale” di tutte le forze in dissenso dalla linea dell’attuale direzione del Pcf, e in risposta alla loro drastica esclusione dagli organismi dirigenti.
Nei congressi di cellula, di sezione e di federazione, le percentuali medie di adesione ai documenti non si sono differenziate sostanzialmente dai risultati della consultazione di febbraio. Anche se la stampa francese, inclusa l’Humanité, ha segnalato alcuni casi significativi di polarizzazione del dissenso, come quello ad esempio della grossa federazione del Pas de Calais (12.000 iscritti e tradizionale bastione dell’insediamento operaio e industriale del Pcf) dove il congresso ha respinto i documenti congressuali (83% contro, 17% a favore); quello della simbolica federazione di Parigi, dove nei congressi di sezione tre delle otto tesi (partito, Humanité e statuto) non hanno raggiunto la maggioranza dei consensi (rispettivamente 49, 45 e 43% di sì; 39, 41 e 43% no; 12,14 e 14% ast.) mentre le altre cinque sono passate con percentuali del 53/59 % : ma dove un voto di tipo “maggioritario” al congresso federale ha escluso l’ingresso nel comitato federale di tutti i delegati del dissenso, tra cui alcuni esponenti del Comitato nazionale uscente; o i casi dei congressi delle federazioni dei dipartimenti di Mayenne, Basso Reno, Meurthe e Moselle, Loiret, Somme, Belfort, Vosges, Tarn e Garonne, dove il dissenso ha avuto percentuali medie del 30-40 %.
Anche la scelta della direzione del Pcf di ritirare l’invito precedentemente inviato al Partito Comunista della Federazione Russa (Pcfr) a partecipare al Congresso – che l’Humanitè ha definito nel suo titolo come partito “indesiderabile” – è stata oggetto di discussioni in tutti il partito (sul tema pubblichiamo il testo integrale della lettera di Robert Hue a Zjuganov e la replica dell’Ufficio stampa del Pcfr, inviata “a tutti i partiti amici e fratelli”). Erano presenti 150 delegazioni da tutto il mondo; tra i non invitati anche il Partito socialista serbo e la Yul- Sinistra Unita yugoslava, presente invece il Partito del Lavoro della Corea del Nord. A tale proposito, sempre sull’Humanité, un dirigente del Comitato nazionale uscente del Pcf, ha accusato la direzione del partito di “abbandono dell’internazionalismo” ed ha affermato che tale scelta almeno un vantaggio l’avrà: e cioè che “il compagno Zjuganov non sarà costretto a stringere la mano di ministri di un governo che ha bombardato le popolazioni civili della Yugoslavia”.
Una situazione complessa e importanti verifiche attendono dunque la nuova direzione del Pcf eletta al congresso di Martigues, sia per quanto riguarda la situazione interna al partito, sia per quanto riguarda i rapporti con il governo Jospin (un recente sondaggio francese relativo alle future elezioni presidenziali, attribuisce a Robert Hue il 6/7%, sorpassato per un soffio da Arlette Laguiller, leader dell’estrema sinistra- di ispirazione trotzkista- all’opposizione del governo Jospin). Nel 1997, una consultazione degli iscritti sulla partecipazione o meno al governo Jospin (che coinvolse 60.000 persone), espresse il 78% di favorevoli, il 19% di contrari, il 3% astenuti. Oggi un sondaggio di Le Monde, su un campione di persone che si dichiarano “vicine al Pcf”, indica che il 62% ritiene che il partito non abbia una vera influenza sulla politica del governo, mentre il 38% pensa di sì. Inoltre, il 40% chiede al Pcf una linea che “segni più marcatamente” i propri dissensi dal governo, il 44% chiede di continuare così, il 15% auspica maggiore consenso al governo.
Si vedrà: saranno come sempre i fatti i giudici più severi e attendibili della “mutation”.