Il 16 ottobre e il dibattito nel PRC

Il Cpn del Prc si è svolto a cavallo dell’importante manifestazione del 16 Ottobre, indetta dalla Fiom.

1. Ancora una volta è emerso che c’è un pezzo importante del “popolo di sinistra” di questo paese che, nei mo menti topici dello scontro sociale e della mobilitazione popolare, sfila sotto le bandiere rosse e le insegne dei comunisti. Non è un fatto tutto simbolico, marginale o addirittura folcloristico. Non era per niente scontato che, dopo la crisi che ha travolto i partiti di sinistra e le forze comuniste di questo Paese (culminata con l’estromissione del – la sinistra dal parlamento, in una elezione dove il gruppo dirigente del Prc si è speso molto per cancellare, anche simbolicamente, la falce e martello dalla scheda elettorale) che emergesse con forza un pezzo di popolo – tutt’altro che marginale – che non solo non si sente a disagio a sfilare sotto i simboli comunisti, ma addirittura riscopre l’orgoglio di appartenenza ad un ideale che reputa più in sintonia con i contenuti radicali ed avanzati della battaglia della Fiom. Non si spiega altrimenti come mai, nonostante nella Fiom ci siano lavoratori e quadri sindacali di diverso orientamento politico (dal – la FdS alla Lega Nord) le bandiere più sventolate, dopo quelle dell’organizzazione sindacale, era no proprio quelle con la falce e martello. Ma vi è un aspetto ancora più profondo ed importante: l’esistenza di un filo rosso che lega la manifestazione del 16 Ottobre con la resistenza operaia di Pomigliano, con la raccolta firme per l’acqua pubblica e con le altre forme di lotta di questo paese. C’è un pezzo di società che non si arrende, che è disposto alla lotta, che magari non ha votato le forze comuniste nelle ultime elezioni, ma che continua a manifestare una forte predisposizione alla mobilitazione sociale, alla difesa del la Costituzione e dei diritti del lavoro, che resiste alle forme di omologazione e che rappresenta una sac ca preziosa di resistenza in questa società. Che sarebbe altrimenti completamente ammutolita e vinta, non solo sul piano politico-elettorale.

2. Ma questa sacca non marginale di resistenza e di forte consapevolezza politica, sindacale e culturale, non ha un vero e proprio sbocco politico. Proprio per questo l’intervento del segretario generale della Fiom non è stato semplicemente contrassegnato da un taglio rivendicativo e sindacale, ma ha fatto emergere un suo profilo programmatico e a tratti anche politico. E tanti, a sinistra, ora cercano di presentarsi come gli interlocutori naturali di quella manifestazione: da Vendola a quanti vorrebbero che la FdS si trasformasse in un nuovo partito, passando per Gian Paolo Patta che, in un recente libro, propone la costituzione di un partito del lavoro.

3. Proprio il contesto sociale e politico in cui operiamo, dovrebbe spingerci a lavorare alacremente ad un processo di ricostruzione e ricomposizione di una moderna forza comunista e rivoluzionaria all’altezza dei compiti della fase. E tutto questo non per vezzo ideologico o simbolico, quanto perché qualsiasi altro progetto politico che abbia al centro del suo programma la sola logica della redistribuzione, non ha futuro. Un dato su tutti: l’UE vuole imporre nuovi vincoli e regole, con un controllo sistematico delle finanziarie dei paesi membri a cui chiede un rapido e drastico abbattimento del debito. Per avere un’idea delle finanziarie che ci aspettano, si può moltiplicare per quattro quelle già “lacrime e sangue”di Tremonti. Se questo è il futuro che abbiamo dinnanzi, non basterà chiedere di recuperare soldi dall’evasione, dalla tassazione della rendita o dal taglio delle spese militari per poterli dare così alla scuola pubblica o alla sanità. Non dobbiamo certo abbandonare questa battaglia, ma il rischio è che sia del tutto inadeguata: o si fa maturare una critica drastica di questa UE, rinunciando a considerarla un feticcio intangibile ed avanzando una proposta alternativa che la scardini, oppure, continuando a proporre interventi meramente redistributivi, si porta avanti un progetto che non ha materialmente le basi per portare benefici concreti alle masse popolari. Ecco perché nuovi progetti politici che – in alternativa all’esigenza di unire i comunisti dentro un nuovo partito comunista ricostruito e rigenerato – non alludono al carattere strutturale e sistemico della crisi e non ripropongono la questione del socialismo (siano essi neo-socialdemocratici, socialisti di sinistra o di “Linke all’italiana”) sono destinati a fallire.

4. Per anni si è parlato (soprattutto nel Prc) della fine di un ciclo storico e della crisi della forma partito, del superamento del partito leninista, del bisogno di un’analisi storica e politica che andasse “oltre il Nove – cento”, dell’inadeguatezza di un progetto comunista in questa fase storica. E si prendeva ad esempio la scarsa militanza e la crisi che le organizzazioni comuniste in Italia vivono, come prova della necessità di costruire un altro soggetto politico. Il protagonismo (tra gli altri importantissimi aspetti) dei militanti comunisti alla manifestazione del 16 Ottobre, così come la loro presenza nelle battaglie sindacali o durante la raccolta di 1.400.000 firme per il referendum sull’acqua pubblica, mettono in luce il fatto che un “popolo comunista” – dentro un mare più vasto di “popolo di sinistra”, radicale, combattivo – ancora esiste e non è certo un elemento marginale e residuale della società. Ciò che manca è il coraggio di un progetto politico che riorganizzi in modo strutturato e attorno ad un pensiero forte tutte queste energie, i militanti dei due partiti, i tanti comunisti senza tessera, che già oggi rappresentano una massa critica sufficiente per un progetto politico di ricostruzione di un partito comunista, all’altezza dei compiti della fase, aperto ad un largo confronto a sinistra e verso tutta la società democratica. Manca, insomma, la volontà politica per fare questo.

5. Ecco perché il Cpn del Prc è stato, tutto sommato, un passaggio molto dimesso e poco fruttuoso di dibattito interno al partito. Si è incentrato sulla tattica elettorale in caso di elezioni anticipate (accordo tattico elettorale per sconfiggere Berlusconi, senza partecipare ad un accordo di governo) e sulla proposta di far vivere, in tutti i territori, i comitati nati per la preparazione del 16 Ottobre. Proposte certo condivisibili. Del resto, la proposta sui “comitati 16 ottobre ovunque” assomiglia molto all’idea di Fronte sociale e politico avanzato, che i compagni de l’ernesto formularono in un documento al CPN qualche mese fa; mettendo in rilievo, da questo punto di vista, il carattere restrittivo della FdS. Ma queste indicazioni di lavoro, pur giuste, da sole non permettono al partito di fare un salto in avanti ed uscire dalle difficoltà, perpetuando uno stato di confusione e scoramento molto diffuso tra i militanti ed i quadri intermedi. Manca un progetto di analisi, ricerca e rilancio organizzativo unitario dei comunisti e il dibattito sulle prospettive politiche, il ruolo del partito, la funzione della FdS, i rapporti a sinistra è ambiguo e confuso: nel gruppo dirigente si afferma contemporaneamente: 1. di voler rilanciare il “Prc per l’oggi e per il domani”; 2. di volere che la FdS diventi un “nuovo soggetto politico” attraverso un congresso in cui valga il principio “una testa un voto”; 3. di voler lavorare per superare la divisione tra due partiti comunisti che operano congiuntamente nella Federazione. Di fronte a tutto ciò rischia di essere più attrattiva, per quanto politicamente sbagliata, la proposta di Vendola, delle sue “fabbriche”, della stessa SEL, pur essendo questa una prospettiva tutta interna al centro-sinistra. A fronte di un partito che continua a navigare tra mille difficoltà e senza un forte progetto strategico che motivi e mobiliti, il rischio è l’abbandono ed il disimpegno di una parte dei militanti e dei simpatizzanti, come purtroppo sta già accadendo.

6. Il compagno Ferrero, nella sua relazione, ha proposto di tenere il congresso nazionale del Prc dopo le eventuali politiche o le amministrative di primavera e di mettere a tema la questione del partito, anche per “dare una risposta alla proposta di unità che ci viene sul terreno dell’unità dei comunisti”. Il tema è di assoluta pertinenza ed importanza. Ma quel che pare di capire è che la risposta a questa domanda di unità e di rinnovamento non ci sarà, preferendo mantenere lo status quo. Il che non è certo un delitto, ma esplicita una precisa scelta che, ad onta della conclamata innovazione – la quale renderebbe incompatibile un processo unitario col “vecchio” Pdci – è realmente conservatrice. Un conservatorismo che, per convinzione, pigrizia intellettuale o per rendita di posizione, non è capace di rimettere in discussione la propria proposta politica ed accettare la sfida della ricerca e del confronto. Accettare oggi la sfida dell’unità e dell’apertura di un cantiere per la ricostruzione del Partito Comunista in Italia significa rimettere in discussione se stessi, il proprio ruolo, le proprie idee, le proprie consuetudini e cominciare a confrontarsi sui temi di fondo dell’analisi della società e delle ragioni della prospettiva socialista. Solo chi non si chiude nel fortilizio della proprie idee (magari autodefinendole innovative per decreto) mostra oggi una forte attitudine al rinnovamento ed è credibile come dirigente di una formazione politica che guarda al futuro. Di questo coraggio, oggi, c’è bisogno. Perché questo, in fondo, significa essere rivoluzionari.