Guerra e liberismo: è l’Europa dei riformisti?

La presentazione di un manifesto da parte del Presidente della Commissione Europea, Romano Prodi, dal titolo emblematico “Europa: il sogno, le scelte”, ha suscitato non poche polemiche tanto a Roma quanto a Bruxelles. Polemiche che si sono concentrate solamente su aspetti formali, senza entrare nel merito delle proposte avanzate, con la sola eccezione dei comunisti (Bertinotti su Liberazione Pagliarulo su La Rinascita). Non avendo la possibilità di analizzare in maniera approfondita ogni aspetto del documento, concentreremo la nostra attenzione su alcuni passaggi fondamentali legati all’attualità.

L’Europa nello scacchiere mondiale del XXI° secolo

Nella parte dedicata ai “valori”, si riconosce l’importanza del movimento per la pace. “‘Mai più guerra’, dissero e vollero i padri fondatori dell’Europa, e così è stato. Qualcuno può pensare che gli appelli alla pace, se riferiti all’Europa, possano oggi apparire vuoti e retorici. Io non lo credo. Non lo credo perché è ancora ben vivo in tutti noi il ricordo degli orrori e dei massacri della guerra combattuta a due passi da casa nostra, in Croazia, in Bosnia, nel Kosovo. E perché, in giorni a noi ancora più vicini, quando si è trattato di un’altra guerra in una terra non lontana dall’Europa, e mi riferisco ovviamente all’Iraq, milioni di uomini e di donne, e soprattutto di giovani, hanno sentito che ad essere in gioco era il loro stesso futuro, il futuro della società nella quale vivevano e avrebbero vissuto. E le strade e le piazze delle nostre città, di tutte le nostre piazze e le nostre città, quale che fossero l’orientamento e la politica dei diversi governi, si sono riempite delle bandiere arcobaleno della pace”.
L’atteggiamento cambia, e non di poco, quando si arrivano a definire “le scelte”, terreno decisivo per il futuro.
“Oggi a nessuno verrebbe più in mente di considerare l’Europa Orientale come un’area a rischio… Quello che era successo tra i paesi fondatori dell’Europa, tra Francia, Germania e Italia, è avvenuto di nuovo tra e con i nuovi paesi membri, tra Polonia e Ungheria così come tra Germania e Polonia o tra Italia e Slovenia. La stessa cosa, e per certi versi si tratta di un’evoluzione ancor più straordinaria, sta avvenendo, anzi è già avvenuta, tra i paesi dell’ex Jugoslavia i quali, con e grazie alla concreta prospettiva di un ingresso nella comune casa europea, hanno di fatto cancellato ogni ipotesi di conflitto tra loro. Appresa la lezione del Kossovo, e dei massacri che solo l’intervento della Nato e dell’America riuscirono a fermare, possiamo con serenità e con orgoglio affermare che l’Europa ha fatto la sua parte fino in fondo” (il corsivo è mio).
Il manifesto esprime così un apprezzamento per l’aggressione Nato contro la Jugoslavia della primavera 1999, quella “guerra umanitaria” basata su menzogne del tutto simili a quelle dell’attuale conflitto contro l’Iraq, con prove artefatte o costruite o, meglio ancora, inventate. Oltre a questo, le parole sulla situazione complessiva nei territori della ex Jugoslavia pesano come macigni: inutile sottolineare che la situazione complessiva è tutt’altro che stabile (se si eccettua la Slovenia), segno evidente del fallimento delle politiche europee di destabilizzazione ed occupazione dei Balcani (dalla Bosnia alla Croazia, dalla possibile secessione del Kosovo, al fallimento delle politiche liberiste in Serbia dopo il colpo di stato dell’ottobre 2000, al “monstrum” ex Repubblica Jugoslava di Macedonia). Ragionando, poi, sulla situazione in Medio Oriente, a partire dal rilancio della Road Map, l’aggressione unilaterale anglo-statunitense contro l’Iraq e la dottrina della guerra preventiva di Bush vengono semplicemente rimosse, lasciando così a mezz’aria il ragionamento sulle vere cause dell’instabilità in quell’area determinante per gli equilibri mondiali.
Ma non è tutto. “Anche nei momenti in cui le divisioni al suo interno sono state più evidenti, l’Europa ha costantemente dimostrato di privilegiare le politiche e le azioni condotte attraverso le grandi istituzioni sovranazionali. L’Onu e, su scala geograficamente più limitata, l’Alleanza Atlantica sono gli indiscussi pilastri sui quali si fonda la politica estera dell’Europa, che non può pensarsi né separata né, tanto meno, contrapposta agli Stati Uniti. L’Alleanza Atlantica, in particolare, è l’arco che da più di cinquant’anni tiene insieme America ed Europa. E come ogni altro arco, per essere solido e resistere nel tempo esso deve reggersi su due pilastri egualmente forti: un pilastro americano e un pilastro europeo. Il che vuol dire, per l’Europa, accettare, anche sul piano strettamente militare, le crescenti responsabilità, comprese quelle di bilancio, che si collegano alla sua ambizione di essere un protagonista di primo piano della politica mondiale”.
Chiaro e semplice: l’Europa non come parte di un quadro internazionale multipolare, ma come sosia degli Stati Uniti, con politiche di bilancio favorevoli agli investimenti per la difesa e gli eserciti professionali.

Sviluppo economico e diritti universali

Sul piano dei “valori”, la giustizia sociale e l’uguaglianza sono considerate un patrimonio prezioso della cultura europea. Se la crescita economica viene individuata come la priorità assoluta, si dice anche che essa “non riduce di per sé l’ineguaglianza” e che “la prima e più grave delle diseguaglianze, la più intollerabile delle iniquità è quella che colpisce coloro che sono senza lavoro”. Come innescare la crescita? Attraverso rigide e draconiane politiche di controllo della spesa (ricetta FMI e Patto di Stabilità): “Dobbiamo mantenere e, se necessario, riportare i nostri conti pubblici in ordine nell’immediato e dobbiamo garantire la loro stabilità nel tempo. E quindi riconsiderare e adattare il complesso dei nostri sistemi di solidarietà sociale, a partire dai sistemi pensionistici, all’allungamento della vita (il corsivo è mio)… Dopo anni di pensiero a senso unico, dobbiamo, tuttavia, essere anche pronti a riconsiderare i confini tra il mercato e lo stato. Abbiamo visto che non in tutti i settori i privati sono necessariamente i più bravi o i più adatti ad offrire un servizio che risponda all’interesse generale”
Bene. Lo stato sociale, però, “deve essere adattato ai tempi”, pur riconoscendo l’importanza di “specifiche politiche pubbliche”. Quanto ai sistemi previdenziali, occorre studiare “come agevolare, e magari ritardare, il passaggio dal lavoro al non lavoro attraverso forme di occupazione più flessibile mano a mano che l’età progredisce”.
Alla faccia dell’Europa sociale!

Un’Europa bipolare

Dopo aver ribadito la superiorità del modello europeista, autonomo rispetto alle singole entità nazionali, il manifesto si sofferma su una previsione.
“Al di là delle differenze che continueranno ad esistere tra paese e paese, anche su scala europea emergeranno e si affermeranno poche grandi famiglie politiche nelle quali finiranno naturalmente per ritrovarsi forze, movimenti, tradizioni che avranno constatato di condividere analoghi valori e fonti di ispirazione… È in questa prospettiva che, guardando all’Italia e alle elezioni della primavera prossima per il rinnovo del Parlamento Europeo, ho proposto a tutti i riformatori che si riconoscano in una comune visione dell’Europa, e che siano pronti a condividere un programma comune, di unirsi in una singola lista… È una iniziativa politica nuova, autenticamente europeista, aperta ai diversi raggruppamenti riformatori, ai cittadini, ai movimenti… Rappresentando in modo unitario questo progetto di fronte ai cittadini, essa sarebbe coerente, anticiperebbe e aiuterebbe l’evoluzione e la ristrutturazione in senso bipolare del sistema politico europeo. Anche su scala europea, il sistema che meglio garantisce il buon governo è l’aperto confronto tra due schieramenti, uno alternativo all’altro” (corsivo mio).

Un modello di Europa dove, pur inneggiando alla pace, si conferma la positività della guerra come eventuale strumento di risoluzione delle controversie internazionali (anche quella preventiva?), dove i diritti e lo stato sociale sono subalterni alle compatibilità del sistema, e dove il bipolarismo e l’alternanza sostituirebbero la reale rappresentanza democratica, dai singoli paesi all’eventuale sistema politico europeo. Con il Patto di Stabilità (liberista) come garante e custode.