L’elaborazione gramsciana permette al concetto di organizzazione di uscire dalle secche del sociologismo borghese e di ancorarsi al modello di formazione e sviluppo del partito comunista: questo perde tuttavia il suo alone metafisico, di totem fideistico a cui tutto delegare/sacrificare, se lo si ricongiunge alla sua genesi di strumento-azione, organizzazione dell’antagonismo di classe, quando, in breve, il partito si fa attraversare e attraversa le regioni della lotta di classe in funzione propulsiva, attiva, funziona da avanguardia delle masse popolari (perché è il tramite tra la classe e il popolo), le disciplina coscientemente in rapporto al rafforzamento stesso della coscienza di classe dei quadri (e la coscienza di classe si rafforza tra le masse, perché è tra le masse che si genera la lotta di classe, diretta dalla classe operaia e dai produttori salariati).
Il leninismo permette a Gramsci, nei ‘Quaderni’, di considerare il tema dell’organizzazione in chiave moderna, connesso ad uno dei ‘passaggi’ cruciali per l’egemonia e di criticare i modelli sociologici borghesi come ‘modernizzazione apparente’ per la passivizzazione delle masse: Per fare la guerra ci vogliono gli eserciti, e nella misura in cui la teoria di Gramsci vuole essere una preparazione operativa per la rivoluzione, è chiaro che egli si preoccupa della natura e dell’organizzazione del suo esercito: il partito. (1)
E qui è innanzitutto il discrimine: mentre l’organizzazione borghese moderna del ‘partito politico’ costituisce una delle formazioni storiche privilegiate per la riproduzione del consenso, funzionale anche a processi pre-moderni come il cesarismo e il bonapartismo, dunque connessi alle forme di ‘rivoluzione passiva’, l’organizzazione proletaria moderna, seguendo la traccia leniniana traducibile in Occidente, legandosi al problema della transizione, deve essere resa funzionale all’attivizzazione delle masse, al loro protagonismo storico, ciò che si sostanzierà come radicamento popolare del principale degli strumenti dell’organizzazione, il partito comunista, con la direzione della classe operaia. In breve, la costruzione dell’egemonia passa dall’organizzazione del conflitto sociale, della lotta di classe, nel partito che sviluppa il processo rivoluzionario in forme specifiche e lo indirizza verso il socialismo. Il partito, ‘intellettuale collettivo’, si misura dunque con la capacità di dirigere e organizzare. È il principale strumento della costruzione dell’egemonia proletaria, non il solo: si pensi all’importanza, per Gramsci, delle organizzazioni sindacali, degli istituti della formazione, degli impianti culturali complessivi, ecc., dell’intero impianto sovrastrutturale; anche per questo i processi non si svolgono meccanicamente secondo modelli precostituiti (il sindacato promuove e dirige le lotte nei luoghi di lavoro, il partito organizza le masse e le politicizza tramite la formazione dei quadri come avanguardie coscienti – il modello rischierebbe così di non tener conto proprio delle forme della ‘transizione’, cioè della costituzione di una ‘società civile’ che nel capitalismo dell’epoca americanista e fordista sviluppa i propri modi di essere in tipologie affatto lineari).
La nozione di ‘organizzazione’, così, sostanzia come una colonna portante quello di ‘egemonia’: che diventa, da questo punto di vista, il dirigere-organizzare scegliendo strategie e mezzi secondo fini consapevoli. È l’organizzazione che vuole coincidenza di ‘mezzi e fini’ e che si può parlare di volere un fine solo quando si sanno predisporre con esattezza, cura, meticolosità, i mezzi adeguati, sufficienti e necessari. Il controllo delle azioni, dell’attuazione effettiva e concreta delle iniziative, “è altrettanto necessario che lo studio delle idee.(..) nell’organizzare è compreso il ‘verificare’ o controllare”. (2)
Gramsci era partito, nel Quaderno 2 (limitatamente a ciò che gli era permesso di leggere nelle condizioni carcerarie, non bisogna mai dimenticarlo, ma questa volta non a caso) dalla critica al sociologismo di Roberto Michels e le tendenze oligarchiche della democrazia moderna, secondo cui il bisogno dell’organizzazione e le tendenze presenti nella psicologia umana, individuale e collettiva, rendono evanescente ogni discorso sulla connotazione di classe. Tant’è che esiste una ‘borghesia’ all’interno stesso del movimento operaio e delle sue rappresentanze politiche. Ciò, scrive Gramsci, accade materialmente quando nell’organizzazione c’è scissione di classe: ciò è avvenuto nei sindacati e nei partiti socialdemocratici: se non c’è differenza di classe la questione diventa puramente tecnica – l’orchestra non crede che il direttore sia un padrone oligarchico. (3)
Per un partito comunista la questione che si pone dunque, è quella di dirigenti e diretti che condividano la necessità dell’organizzazione della lotta di classe, ciò che va appunto oltre lo ‘schematismo sociologico’, come lo chiama Gramsci e non si pone certo in termini meccanici di composizione sociale di classe del partito nei suoi quadri e nella sua direzione complessiva, sebbene sia un dato questo che per quantità debba supportare la qualità. Inoltre nella sua riflessione Gramsci avverte che per la conquista dello Stato c’è la necessità di strutturarsi come formazione centralizzata: (..) bisogna però osservare che altra è la democrazia di partito e altra la democrazia nello Stato: per conquistare la democrazia nello Stato può essere necessario – anzi è quasi sempre necessario – un partito fortemente accentrato (…). (4)
Questo tema è collegabile sia a quello della ‘disciplina consapevole’ sia ad un rifiuto, che ci sembra abbastanza evidente, di assolutizzare la categoria di ‘burocratismo accentratore’ nel partito di classe, senza un’analisi parallela e comparativa di tutti gli altri elementi della direzione e dell’eterodirezione, della degenerazione della linea politica, nonché della forza e struttura dell’avversario di classe.
Insomma, la categoria di ‘burocratismo’, senza analisi di classe, è insussistente, e organizzazione, senza della quale non è possibile l’esercizio della direzione e dell’egemonia, non è ‘burocratismo’, che si supera attraverso la partecipazione attiva dei diretti alla direzione e alla gestione non delegata del controllo dei risultati della direzione. Nel partito comunista, che costruisce l’egemonia proletaria, la formazione dei quadri è rivolta sia all’assunzione piena del ruolo di avanguardie per l’organizzazione della lotta di classe (in tutte le sue forme), sia, appunto, al “controllo” dei concreti ed effettivi risultati nell’incedere del processo rivoluzionario.
Rifiutando decisamente l’eguaglianza direzione del partito=direzione della società, Gramsci rivendica la democraticità del centralismo nel partito di classe, ciò che solo permette l’organizzazione/direzione – controllo dei risultati concreti dell’azione politica – egemonia; e la natura democratica dello Stato nel socialismo, come annullamento della dualità dirigenti-diretti e annullamento dello Stato.
Il comunismo si connota come ‘società regolata’, regolata anche da una metodologia organizzativa superiore all’’anarchia’ funzionale all’accentramento, ai ‘capi carismatici’ che escono fuori dal cilindro della borghesia capitalista.
In questo senso, non c’è comunismo senza organizzazione e nelle fasi della lotta di classe, con modalità differenti per la ‘guerra di movimento’ e ‘guerra di posizione’, organizzazione è già rivoluzione, cioè possibilità di apertura e sviluppo del processo rivoluzionario.
L’organizzazione di classe del proletariato – il partito – è a sua volta organizzazione collettiva che persegue fini e scopi condivisi, il tramite tra dirigenti e diretti è la coscienza di classe, è la scelta stessa dei ‘mezzi’ (tattica) con cui si perseguono quegli stessi fini (strategia). L’organizzazione come direzione ed esercizio dell’egemonia delle classi subalterne è critica al concetto e alla prassi dell’organizzazione borghese, così come si concepisce e si struttura dalla Rivoluzione francese e dalla dottrina di Hegel sui partiti e le associazioni ‘trama privata’ dello Stato. Gramsci, nel Quaderno 1, riferito al costituzionalismo borghese, scrive: Governo col consenso dei governati, ma col consenso organizzato, non generico e vago quale si afferma nell’istante delle elezioni: lo Stato ha e domanda il consenso, ma anche ‘educa’ questo consenso con le associazioni politiche e sindacali, che però sono organismi privati, lasciati all’iniziativa privata della classe dirigente. (5)
Lo stesso concetto di Marx dell’organizzazione, rileva Gramsci, pur con un acuto senso delle masse, risentiva della propria particolare esperienza storica dell’epoca e dunque rimane ancora impigliato tra questi elementi: organizzazione di mestiere, clubs giacobini, cospirazioni segrete di piccoli gruppi, organizzazione giornalistica. (6)
Le classi dirigenti borghesi esercitano il dominio tramite l’organizzazione del consenso passivo delle classi subalterne, ciò che permette ‘rivoluzione passiva’, ‘rivoluzione senza rivoluzione’, trasformazioni interne agli assetti della classe dominante e ‘passivizzazione delle masse’, eterodirezione, riproduzione ideologica in chiave reazionaria del ‘senso comune’, infine ‘il sovversivismo dall’alto delle classi dirigenti’: non è mai esistito un dominio della legge (sfera formale del diritto, ndr), ma solo una politica di arbitrii e di cricca personale o di gruppo (materialità dell’egemonia borghese, ndr). (7)
La costruzione dell’egemonia, uno dei cui ‘passaggi’ cruciali è costituito dall’organizzazione, della lotta di classe e dello strumento della definitiva emancipazione delle masse popolari, non può prescindere dalla trasformazione che questo ‘passaggio’ richiede alle classi subalterne: da massa ad esercito politico organicamente predisposto. Gramsci lo indica analizzando il ‘teorema delle proporzioni definite’ ripreso dai Principi di economia pura, opera del 1889 rieditata nel 1931 di Maffeo Pantaleoni, che tenta di legare, in termini neopositivistici, all’economia politica le leggi della chimica organica: (..) I corpi si combinano chimicamente soltanto in proporzioni definite e ogni quantità di un elemento che superi la quantità richiesta per una combinazione con altri elementi, presenti in quantità definite, resta libera; se la quantità di un elemento è deficiente per rapporto alla quantità di altri elementi presenti, la combinazione non avviene che nella misura in cui è sufficiente la quantità dell’elemento che è presente in quantità minore degli altri. (8)
Con l’avvertenza che questo ‘teorema’ può impiegarsi produttivamente nella ‘scienza dell’organizzazione’, se si fa salvo il suo valore ‘schematico e metaforico’, perché gli aggregati umani non possono essere studiati e analizzati meccanicamente né misurati matematicamente, Gramsci annota: Si potrebbe servirsi metaforicamente di questa legge per comprendere come un ‘movimento’ o tendenza di opinioni, diventa partito, cioè forza politica efficiente dal punto di vista dell’esercizio del potere governativo; nella misura appunto in cui possiede (ha elaborato al suo interno) dirigenti di vario grado e nella misura in cui essi dirigenti hanno acquisito determinate capacità. (…) Perciò si può dire che i partiti hanno il compito di elaborare dirigenti capaci, sono la funzione di massa che seleziona, sviluppa, moltiplica i dirigenti necessari perché un gruppo sociale definito (che è una quantità ‘fissa’, in quanto si può stabilire quanti sono i componenti di ogni gruppo sociale) si articoli e da caos tumultuoso diventi esercito politico organicamente predisposto. (9)
Il passaggio da massa, indistinta e priva di coscienza di classe, ad esercito politico organicamente predisposto, massa popolare guidata dal partito di classe, richiede un prerequisito indiscutibile: elevare la capacità dei quadri (coscienza+organizzazione) per formare dirigenti capaci di incidere sulla quantità (organizzazione/direzione=egemonia). Nel dopoguerra sarà Secchia che cercherà (nonostante la scarsa conoscenza diretta della riflessione gramsciana) di rendere operativo questo schema, in particolare ponendo la centralità della cellula alla base dell’organizzazione e del suo concreto esercizio dal basso verso l’alto e viceversa, paragonandolo a quello del plotone nell’esercito, il cui compito è di realizzare obiettivi tattici formando dei comunisti coscienti, attaccati al partito, disciplinati. (10)
Il legame con le masse non stempera l’identità di classe dello strumento-partito se si afferma la doppia valenza che molti hanno individuato come pedagogica, ma che in effetti è formativa come tutti i mezzi che mirano all’emancipazione, individuale e collettiva: è la società, le classi che determinano i partiti, questi formano i quadri che elevano la formazione delle classi stesse; per un partito comunista ciò è essenziale, una traduzione del principio marxista della determinazione della coscienza da parte dell’‘essere sociale’.
E la qualità dei quadri non si misura dalla capacità astratta di perorare la causa idealmente intesa, ma dall’effettiva capacità di guidare le masse nell’azione politico-sociale, qualità dell’avanguardia, appunto, nel fuoco delle contraddizioni di classe e in direzione del socialismo. Il nuovo tipo di intellettuale nasce da qui: ‘organico’ alla classe e all’organizzazione di classe, è dentro la classe come organizzatore della trasformazione qualitativa nella costruzione del processo rivoluzionario, per l’egemonia, dalla massa ‘tumultuosa’ all’esercito disciplinato coscientemente alla realizzazione dei fini-obiettivi: la congruità delle strategie si misura dalla realizzazione operativa di obiettivi immediati e intermedi, non dall’idea che se ne fa chi la stabilisce. D’altra parte, non aveva già lavorato Gramsci, su questa base, ai tempi dell’‘Ordine Nuovo’? Val la pena riflettere ancora, da questa prospettiva, su uno dei passi più giustamente celebri del Q.12 scritto nel 1932 (Per la storia degli intellettuali): Nel mondo moderno l’educazione tecnica, strettamente legata al lavoro industriale anche il più primitivo o squalificato, deve formare la base del nuovo tipo di intellettuale. Su questa base ha lavorato l’‘Ordine Nuovo’ settimanale per sviluppare certe forme di nuovo intellettualismo e per determinarne i nuovi concetti, e questa non è stata una delle minori ragioni del suo successo, perché una tale impostazione corrispondeva ad aspirazioni latenti e era conforme allo sviluppo di forme reali di vita. Il modo di essere del nuovo intellettuale non può più consistere nell’eloquenza, motrice esteriore e momentanea degli affetti e delle passioni, ma nel mescolarsi attivamente alla vita pratica, come costruttore, organizzatore, ‘persuasore permanentemente’ perché non puro oratore – e tuttavia superiore allo spirito astratto matematico; dalla tecnica-lavoro giunge alla tecnica-scienza e alla concezione umanistica storica, senza la quale si rimane ‘specialista’ e non si diventa ‘dirigente’ (specialista+politico).(11)
Dall’astrazione logica, dall’interpretazione, alla trasformazione rivoluzionaria reale, concreta, in un’attualizzazione tutta operativa del Marx dell’XI glossa a Feuerbach. E in un’estrema attualizzazione della lezione leninista e dell’Ottobre, rivendicata e costruita nel periodo ordinovista così come in quello carcerario, vero ‘pendant’ dell’intera riflessione gramsciana nei suoi aspetti organici: e organizzazione non è dato sociologico (o meramente sociologico) se ritorna in più luoghi come funzionale alla produzione e alla ‘società regolata’, regolazione della produzione e dell’economia.
L’intera lezione gramsciana rende evidente lo spessore e la qualità anche sovrastrutturale del capitalismo moderno ed è proprio questo che rende difficile l’organizzazione della razionalità politica antagonista. L’organizzazione per Gramsci, che non rifiuta la modalità con cui vanno strutturandosi i partiti comunisti sul modello dell’esperienza bolscevica, modello poi piegato alle esigenze staliniane a livello internazionale, è metodo e sistema, che si sostanzia di una forte volontà condivisa e di un progetto condiviso, nel partito comunista espresso con la linea politica e l’adesione cosciente ricercata intorno ad essa. Ma metodo e sistema, non devono rimandare alla coercizione senza consenso, cioè al principio d’autorità che crea scolastici dogmatici tra l’altro completamente insussistenti nell’azione pratica. Metodo e sistema sono la via alla massima libertà e alla creatività di una disciplina che è tutt’altro che ottusa, ‘supino accoglimento di ordini’, ma coscientemente appresa e applicata è punto dirimente nel lavoro di massa e di partito, in cui marxianamente l’educatore deve essere educato. Anche per la disciplina, e di rimando verso l’organizzazione di tipo centralista del partito, che però si sviluppa in senso squisitamente democratico, non vale l’astrattezza della formulazione, ma la sua sperimentazione attiva. Volendo schematizzare: se la linea politica è sbagliata, oppure non trova verifica nell’applicazione operativa, il centralismo funziona come burocratismo verticistico che rende l’intero organismo degradato e ammazza la democrazia. Per Gramsci, la sua coerenza anche in carcere lo dimostra, non c’è disciplina coatta che possa fermare il pensiero creativo. E il marxismo, il leninismo, l’ideologia e la prassi proletaria e rivoluzionaria, o sono creativi o non sono affatto.
Note:
1) Cfr. E.J. Hobsbawm: Note su Gramsci, 1974, ripubblicato in I rivoluzionari, Einaudi, 1975, pag.345.
2) Cfr. A. Gramsci: Quaderni dal carcere (Q.14), ed. critica dell’Istituto Gramsci a cura di Valentino Gerratana, vol. III, Einaudi, 1975, pag.1743. Da ora solo l’indicazione del numero del Quaderno seguito dalla/e pagina/e.
3) Q.2, pag.236
4) ibidem.
5) Q.1, pag.56.
6) ivi, pag.57. La costruzione del partito di classe e di massa è teoria e prassi dell’esperienza storica connaturata alle forme di modernizzazione, quindi, in un tentativo di attualizzare e rendere operante, in profondità, la stessa lezione di Marx e Lenin
7) Q.3, pp. 326/7.
8) Cfr. M. Panteleoni, Principii di Economia Pura, Treves, Milano, 1931, pag.112. Questo volume non è stato conservato tra i libri del carcere, ma da altre annotazioni risulta che Gramsci avesse visto questa nuova edizione del 1931 a Turi e che probabilmente avesse già letto, durante gli anni universitari a Torino, l’edizione del 1889.
9) Q.13, pag.1627/28
10) Cfr. P. Secchia: Che cos’è la cellula, in Quaderno dell’attivista, ottobre 1946, n.2
11) Q.12, pag.1551. La traccia ripresa in questo quaderno è già nel Q.4, pag.514.