Uno dei principali motivi che spingono il “popolo della sinistra” a chiedere alle opposizioni l’unità contro Berlusconi è rappresentato dalla percezione diffusa che questo governo rappresenti un pericolo enorme per la democrazia e che sia profondamente eversivo dell’ordinamento costituzionale. In materia di giustizia, quali provvedimenti ritieni siano stati i più dannosi sul piano della democrazia sostanziale?
Non c’è dubbio che il governo Berlusconi, in questi due anni e mezzo di legislatura, abbia fatto approvare dalla sua maggioranza proposte di legge esclusivamente finalizzate a rafforzare i poteri forti; a tentare, in molti casi riuscendovi, di assicurare l’impunità allo stesso presidente del consiglio e ai suoi più stretti collaboratori e, nel contempo, ad attentare all’autonomia e indipendenza della magistratura, uno dei principi cardine di uno stato di diritto.
È chiara la volontà, che è parte integrante del tentativo di scardinare uno dei presupposti di un ordinamento democratico, di impedire di fatto il funzionamento stesso del sistema giudiziario: non solo non intervenendo con le riforme improrogabili di cui pure avrebbe bisogno, per evitarne il definitivo collasso, ma anche, se non soprattutto, sottraendogli quelle risorse, organizzative e finanziarie, che sono uno dei punti di partenza per restituire all’intero sistema, quella efficienza che è il presupposto di una giustizia al servizio dei cittadini
A tutto ciò si aggiungono i numerosi provvedimenti volti a limitare gli spazi reali di democrazia e le garanzie, non solo sociali, ma anche giuridiche e processuali, chiaramente a danno dei soggetti più deboli.
Basti pensare alle norme tese a scardinare l’ordinamento penitenziario e la legge Gozzini, che di fatto limitano, e in molti casi impediscono, la possibilità di reinserimento del detenuto solo sulla base del titolo del reato o della tipologia del soggetto; ai vari provvedimenti volti a creare numerosi nuovi reati per fattispecie che non dovrebbero avere rilevanza penale. Da un lato, infatti, sono state aumentate le pene per i reati riguardanti gli emarginati piuttosto che i tossicodipendenti, e dall’altro, sono state diminuite, assicurando la prescrizione, quelle relative ai reati finanziari, ambientali ecc., di cui sono autori soprattutto gli esponenti dei cd. “poteri forti”.
O ancora il problema delle garanzie per gli immigrati. È del tutto evidente che le leggi attuali discriminano tra garanzie per i cittadini e garanzie per chi cittadino non è; costringono alla detenzione nei centri di permanenza temporanea dove è impossibile esercitare concretamente il diritto alla difesa contro le continue violazione dei diritti individuali e collettivi. In questa materia possiamo ancora sperare in un intervento della Corte Costituzio-nale, cui sono stati rimessi centinaia di processi riguardanti l’applicazione della Bossi–Fini per la violazione di diversi articoli della Costituzione, che ristabilisca il principio di eguaglianza di tutti davanti alla legge. Per non parlare del continuo proliferare di “leggi d’emergenza” – con conseguente annullamento delle garanzie individuali – in materia di “eversione”: un insieme di norme che mal si conciliano con il dettato costituzionale. La stessa Consulta ha dichiarato, in più occasioni, che la cd. legislazione d’emergenza può essere considerata “legittima”, solo se limitata nel tempo e in situazioni eccezionali. Invece di essere finalmente, dopo decenni, eliminata dal nostro ordinamento, è stata ulteriormente aggravata, purtroppo spesso anche con l’appoggio dell’Ulivo. Norme che non hanno certo eliminato il terrorismo: che hanno determinato numerosi errori giudiziari e che già sono state ampiamente utilizzate contro l’opposizione politica e sociale, creando una inammissibile equiparazione tra terrorismo e antagonismo. Ad esempio oggi è possibile, senza l’autorizzazione di un magistrato, intercettare, con la scusa della lotta al terrorismo, telefonate ed e-mail, mettere cimici anche nei luoghi dove si svolgono pubbliche assemblee, perquisire interi edifici sulla base di semplici sospetti di connessione con il terrorismo. I casi di Cosenza, con l’arresto dei “no-global”; le continue perquisizioni nei confronti di centri sociali o di loro esponenti nonché nei confronti di chi, in fabbrica e nei luoghi di lavoro, si oppone all’attuale stato di cose ne è la drammatica conferma dei reali motivi che hanno determinato il governo e la sua maggioranza ad approvare simili leggi, che fanno scempio di alcun basilari princìpi costituzionali..
Riguardo a questo tipo di limitazioni dei diritti e del dissenso organizzato la tendenza italiana sembra anche inserirsi in un quadro internazionale estremamente preoccupante, penso in particolare agli Stati Uniti e al “Patrioct Act” ma anche a numerosi provvedimenti approvati in ambito UE.
Questo è un dato di fatto purtroppo troppo spesso sottovalutato. Voglio ricordare innanzitutto la proposta di cui si sta discutendo proprio in questi giorni e che riteniamo estremamente pericolosa, e cioè quella del mandato di cattura europeo. Da un lato si elimina, in violazione con le norme costituzionali, il divieto di estradare chi è perseguitato per motivi politici o rischia di essere sottoposto, nel suo Paese, a trattamenti disumani, discriminatori e degradanti; dall’altro, annulla di fatto il diritto d’asilo sancito dall’art. 10 della Costituzione, in quanto sottrae all’autorità giudiziaria italiana la possibilità di verificare se il reato che sta alla base del mandato di cattura è supportato da gravi indizi di colpevolezza, come prevede il nostro ordinamento, che non si tratti di un reato politico, che, in modo surrettizio, si voglia colpire chi è sottoposto a discriminazioni razziali, religiose o politiche.. Voglio ricordare anche che vi sono direttive, o convenzioni internazionali, che tendono a qualificare come atti di terrorismo e/o di eversione fattispecie come il semplice blocco stradale o l’occupazione di un edificio pubblico (es. una scuola). E sono solo alcuni esempi, ma se ne potrebbero fare molti altri, quale ad esempio le mobilitazioni contro le fabbriche di armi piuttosto che il boicottaggio dei treni che le trasportano.
Certo, uno spazio giuridico europeo, una maggiore cooperazione giudiziaria tra stati contro la criminalità è importante e indispensabile e per questo ci siamo battuti e continueremo a batterci, ma non certo a scapito delle garanzie individuali e dei princìpi costituzionali. Io credo che su questo sia fondamentale riproporre con forza, quale presupposto per un ordinamento giuridico europeo, la salvaguardia delle garanzie costituzionali e non la loro limitazione, come invece si tende a fare.
Per fare questo è indispensabile che la sinistra riprenda a sostenere con forza posizioni più garantiste.
Assolutamente sì. La parola “garantismo” è oggi strumentalmente utilizzata dalla destra per rafforzare privilegi personali: un garantismo a senso unico che nulla ha a che vedere con il rispetto delle regole e dei fondamentali princìpi democratici. Il vero garantismo – che significa difesa dei diritti e rispetto delle garanzie – è sempre stato nel DNA della sinistra. La destra è sempre stata giustizialista, salvo cercare l’impunità per sé stessa. Purtroppo anche a sinistra, e soprattutto nel centrosinistra, in questi ultimi anni si è troppo “sbandato” su questo tema: garantismo significa anche tutela del principio di eguaglianza e, in concreto, è lo strumento, nel processo penale, per evitare errori giudiziari nonché, più in generale, la repressione del movimento operaio, di quello antagonista e dell’opposizione sociale. Quando si parla di garantismo non si può dimenticare che questo deve valere sia per gli imputati che per le vittime del reato: ogni errore giudiziario, infatti, non solo determina una condanna ingiusta ma anche l’impunità per il vero colpevole, che ha così la possibilità di continuare nella sua condotta illecita.
Il problema è che – per una giustizia realmente al servizio dei cittadini e non al servizio del potere – bisogna saperlo coniugare con la celerità dei processi e con l’efficienza del “sistema giustizia”. Attualmente sono coinvolti in procedimenti giudiziari almeno dodici milioni di cittadini, che attendono decenni per veder riconosciuto un loro diritto: quello di non fare nulla per migliorare l’attuale situazione, non certo degna di un paese civile, è una precisa scelta dell’attuale governo, che ha l’evidente, non facendo funzionare la giustizia, di favorire i soggetti socialmente ed economicamente più forti a danno dei deboli. È significativo, a tale proposito, che l’unico disegno di legge del ministro Castelli apprezzabile – la cd. mini-riforma del processo civile per accelerarne lo svolgimento ( il cui testo riprendeva, peraltro, in gran parte una nostra proposta di legge elaborata nella scorsa legislatura) è stato fermo in commissione giustizia per oltre un anno ed è stato messo all’ordine del giorno, e poi approvato, proprio su proposta di Rifondazione Comunista
Rispetto a questo credo che il PRC debba inevitabilmente formulare delle proposte di riforma che dovrebbero messe all’ordine del giorno nella discussione politica con il Centro – Sinistra in vista delle prossime elezioni. Quali sono secondo te i punti qualificanti rispetto al programma politico sulla giustizia che il nostro partito dovrebbe proporre all’Ulivo e alle altre forze della sinistra?
Sono convinto che, se da parte del centrosinistra si cominciasse a ragionare con maggiore coerenza rispetto al problema delle garanzie processuali, non sarebbe affatto difficile arrivare a un programma comune che possa portare all’adozione di quegli strumenti finalizzati ad accelerare i tempi dei processi. Dobbiamo essere capaci di uscire dalla logica per cui la sanzione penale può essere solo quella carceraria: in molti casi, e per molti reati, è più utile, all’imputato e alla collettività, una pena diversa dal carcere. Il carcere, infatti, oltre ad essere spesso “scuola di malavita”, crea un distacco, spesso irreversibile, con il mondo del lavoro, con la famiglia, con il contesto sociale rendendo spesso difficile il reinserimento, la possibilità di trovare un lavoro con le conseguenze facilmente intuibili. Si esce dal carcere e – di fronte alla mancanza di alternative – si viene incorporati dalle organizzazioni criminali: aumenta la recidiva, con conseguenze negative anche per la sicurezza dei cittadini. Non solo quindi è necessario rafforzare, e non indebolire come si sta facendo, le misure alternative al carcere ma creare “pene principali” diverse dalla detenzione. Garantire un effettivo reinserimento sociale per chi ha sbagliato è l’unico strumento valido per far diminuire il numero dei reati. Fra gli interventi più urgenti, penso al rafforzamento dei Tribunali di sorveglianza, all’aumento dell’organico degli educatori e, più in generale, di tutti quei soggetti che aiutano il reinserimento sociale dei detenuti. E a pene diverse dal carcere, chiaramente per i reati non gravi, quali la detenzione domiciliare durante il week-end (dando così la possibilità di lavorare nei giorni non festivi); all’obbligo di firma, ai lavori finalizzati al risarcimento del danno piuttosto che ai lavori socialmente utili (che è cosa ben diversa dai “lavori forzati” in quanto si dovrebbe dare la possibilità, quando ve ne sono i presupposti, di tramutare, su richiesta del condannato, la pena carceraria in una sanzione diversa). Uno degli obiettivi principali del reinserimento è quello di evitare la recidiva e quindi far diminuire i reati; solo così si può anche garantire il diritto alla sicurezza dei cittadini, che viceversa non è affatto tutelato dalle indiscriminate ondate repressive proposte dal centro-destra o dai vari “pacchetti – sicurezza”.
L’applicazione delle misure alternative al carcere è peraltro uno dei pochi strumenti realmente efficaci per risolvere l’emergenza carceraria.
Indubbiamente. Su questo punto va ricordato che da parte del Ministro Castelli è stato ribadito, non solo attraverso i fondi assegnati alla giustizia sia nelle precedenti che in questa finanziaria, ma anche in numerose dichiarazioni ufficiali, che l’unica prospettiva per risolvere i problemi della giustizia è quello di creare nuove carceri.
Escludo, quindi, che da parte di questo governo ci possa essere un’inversione di tendenza; basti vedere che cosa è successo rispetto alla proposta di amnistia e indulto che noi abbiamo portato avanti, sin dall’inizio della legislatura, su due livelli: una rispetto agli “anni di piombo,” finalizzata attraverso un indulto a eliminare il surplus di pena comminato sulla base della legislazione di emergenza; l’altro, che prevedeva un’amnistia per i reati minori, in modo da accelerare i tempi per i processi relativi ai reati più gravi, e un indulto revocabile in caso di nuovo reato: se fosse stato approvato un simile provvedimento vi sarebbe stata una vera e propria inversione di tendenza sia rispetto all’amministrazione della giustizia, ormai – mi permetto ripeterlo – sull’orlo del collasso sia rispetto alle condizioni disumane delle nostre carceri, non solo per i detenuti ma anche per chi opera e lavora, spesso con ammirevole abnegazione, negli istituti penitenziari. Un simile provvedimento, ne sono convinto, non sarebbe andato affatto a scapito della sicurezza ma solo a favore di una vera Giustizia.
Tutto questo si è trasformato nel cosiddetto “indultino”, oltre a tutto ben diverso da quello da noi proposto: sicuramente meglio di niente ma del tutto insufficiente, nel testo finale approvato dal Parlamento, per quella svolta nel rapporto tra carcere e società di cui tanti parlano ma per cui pochi, in concreto, operano, e ciò indipendentemente dall’inaccettabile, e a mio avviso incostituzionale, esclusione (anche da tale provvedimento “minimale”) praticamente di tutti gli immigrati extracomunitari.
In realtà bisogna riuscire a cambiare prospettiva rispetto al concetto stesso di pena, e muoversi nella prospettiva di un diritto penale minimo e mite, che non significa affatto impunità, ma essere capaci di distinguere nettamente tra fatti che debbono avere rilevanza penale e illeciti per cui è ben più efficace, anche perché immediata, una sanzione amministrativa.
Non posso non ricordare, a tale proposito, che nella scorsa legislatura (quando il PRC era ancora in maggioranza) non solo è stata approvata la più ampia depenalizzazione dalla costituzione ad oggi, ma anche, su proposta del PRC, una legge delega che prevedeva per tutta una serie di reati minori che non si riteneva di poter depenalizzare, misure diverse dal carcere.
Ebbene, è l’unica delega non esercitata dal governo dell’Ulivo (Ministro della Giustizia all’epoca era Diliberto ndr).
Per finire bisogna puntare molto sulla giustizia civile, che riguarda milioni di cittadini, sviluppando strumenti alternativi al processo, quali la mediazione o la conciliazione stragiudiziale, che possono portare alla composizione delle controversie in tempi rapidi. Il che costituirebbe non solo una grossa vittoria per i cittadini, che otterrebbero più celermente il riconoscimento dei loro diritti o il risarcimento di un danno subìto, ma anche per l’intero ordinamento giudiziario, che sarebbe messo nelle condizioni di emettere le sentenza in “tempi ragionevoli”, come espressamente prevedono sia la nuova formulazione dell’art. 111 della Costituzione sia la “Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”, sottoscritta e ratificata dall’Italia oltre 50 anni fa.