E’ venuto il tempo che le forze di sinistra in Russia definiscano una loro posizione sul problema del “corno dell’abbondanza”. A ciò mi induce non solo il fatto che il fenomeno della globalizzazione è da alcuni anni al centro dell’attenzione di tutta l’opinione pubblica mondiale, che i processi di integrazione stanno cambiando distintamente e qualitativamente molti aspetti della vita dei popoli e dei paesi del mondo, che le nazioni di tutto il mondo sono profondamente preoccupate dai problemi che si sono manifestati in questo campo. Ci sono anche cause più concrete. Il carattere stesso dei miei incarichi nel PCFR, il dialogo, i contatti e le consultazioni con i comunisti e le forze di sinistra confermano l’urgente bisogno di elaborare a tal riguardo una posizione delle forze di sinistra argomentata e coordinata, in modo da rispondere alle esigenze del progresso e agli interessi delle masse lavoratrici.
La globalizzazione (da globale, generale, mondiale) è il processo di approfondimento, a livello planetario, di rapporti multiformi, di raggiungimento di un livello qualitativamente nuovo di integrazione, interezza e interdipendenza nel mondo, prima di tutto nell’economia, nella finanza, nella politica e gradualmente negli altri campi della vita sociale.
La globalizzazione rappresenta oggi la più significativa sfida del secolo, e la maggioranza dei partiti e dei movimenti politici hanno già espresso una loro posizione a riguardo. La gamma delle posizioni è estremamente varia: si passa dall’apologia sfrenata e dall’entusiasmo al suo indirizzo (propri, in particolari, delle forze liberali di destra dell’Occidente e dei loro leccapiedi in Russia) alla totale condanna, che viene da parte delle forze radicali di sinistra, ma anche da parte di personalità politiche e pubbliche dei paesi meno sviluppati di Asia, Africa e America Latina. Meno determinate appaiono le posizioni delle forze centriste. Specialisti seri e istituti scientifici sono cauti e prudenti nelle valutazioni dell’attuale processo, cercano di capirlo, ma anche le loro posizioni spesso si differenziano. I comunisti, le forze di sinistra non hanno ancora elaborato una posizione identica, e i rappresentanti dei partiti, con cui ci è capitato di incontrarci, hanno affermato più di una volta che essi sentono acutamente la necessità di un orientamento preciso e argomentato su tale questione. Molti lavorano accuratamente a tal fine. È perciò la vita stessa che esige dalle forze di sinistra in Russia la definizione di una propria posizione.
Occorre partire, evidentemente, dai fattori reali della vita contemporanea, cercando di comprenderli alla luce del metodo marxista e delle più recenti conquiste delle scienze sociali.
Di quali fatti stiamo parlando?
Primo gruppo di fattori. Oggi l’approfondimento dei legami economici a livello mondiale, che si svolgevano in passato nell’ambito di una tendenza alla loro integrazione, è giunto ad un livello qualitativamente nuovo, ha acquisito un carattere sistematico, è pervenuto alla formazione di un unico mercato mondiale delle merci e finanziario, che ha significativamente rafforzato la tendenza all’integrazione nell’economia, nell’istruzione, nella scienza, nell’informatica, nella sfera delle relazioni umane e negli altri campi dell’attività vitale a livello globale. Sebbene tale processo si presenti prolungato, contraddittorio e conflittuale.
Secondo gruppo di fattori. L’approfondimento dell’integrazione vede i suoi fondamenti a partire da una nuova rottura rivoluzionaria avvenuta in ambito scientifico e tecnologico, il cui nucleo fondamentale è rappresentato dalla rivoluzione informatica, dalla diffusione senza precedenti delle alte tecnologie e degli strumenti tecnici più innovativi ( i computer, la rete di telecomunicazione, i collegamenti satellitari, l’alta velocità, la tecnica delle fibre ottiche, “Inter net”, ecc.), che hanno introdotto mutamenti qualitativi nella struttura delle forze produttive, nei mezzi di produzione e nelle figure lavorative, rendendo possibile una decisa crescita dei livelli di produzione di beni materiali, una vasta gamma di nuove forme di contatti sociali tra gli uomini e di arricchimento culturale reciproco tra i popoli nel mondo contemporaneo. Sono cresciute, è vero, le possibilità anche di conseguenze negative, distruttive delle innovazioni scientifiche. Ad esempio, la crescente attività nel campo dell’informazione porta a un forte aumento del libero scambio di conoscenze. Nel contempo si intensifica la diffusione attraverso i canali di Internet delle tecnologie utilizzate strumentalmente in campo politico, della pornografia, di reti di gioco d’azzardo, rendendo più difficile il controllo dei flussi monetari illegali. La rivoluzione informatica crea i presupposti per una manipolazione senza precedenti della coscienza collettiva.
Terzo gruppo di fattori. Il potenziale complessivamente positivo e le grandi possibilità della globalizzazione, però, non solo vengono rallentati ma anche deformati, snaturati, svuotati e persino trasformati in un fattore di regressione, a scapito di un progresso sociale di pieno valore, favorendo un andamento distruttivo causato dal carattere e dalle forme di realizzazione di tale processo, determinati dalle forze che oggi nel mondo ne esercitano il dominio. Una strategia di manipolazione dei processi di globalizzazione e del loro utilizzo a beneficio di interessi egoistici e di profitto è stata elaborata e perfezionata prima di tutto dalle corporazioni multinazionali, dalle classi dominanti degli stati sviluppati dell’ Occidente, dai paesi del “miliardo dorato”. Da tali forze sono stati formati i centri della politica mondiale (del tipo “G7”, NATO, ecc.) e del capitale finanziario mondiale (FMI, Banca Mondiale e altri). Così, ad esempio, l’internazionalizzazione dell’attività finanziaria assicura ai paesi in via di sviluppo investimenti aggiuntivi, ma, nello stesso tempo, li rende sempre più dipendenti dalle potenze altamente sviluppate. Notiamo che proprio le forze citate bloccano le tendenze obiettivamente positive, lavorando alla creazione anche di uno strumento principale di espansione del “nuovo ordine mondiale”. Proprio queste forze usano tutte le conquiste della tecnologia informatica e della rete di telecomunicazione per la manipolazione della coscienza collettiva, dando vita a un nuovo tipo di colonialismo, di carattere culturale-ideologico. Tali forze, e non l’ONU e le sue istituzioni, determinano oggi il decorso degli avvenimenti mondiali e regionali, legati alla globalizzazione. E li indirizzano in un’unica direzione: la maggioranza dei profitti e dei beni prodotti si concentra nelle mani di un’infima minoranza di uomini, la polarizzazione di ricchezza e povertà non si attenua ma semmai aumenta, i problemi sociali ed ecologici si acutizzano e approfondiscono sempre di più, le popolazioni diseredate, che costituiscono i quattro quinti degli abitanti del pianeta, sprofondano sempre di più nella miseria, condan nate alla degradazione delle loro condizioni di vita.
Intendo soprattutto sottolineare che tale “distribuzione a senso unico” e il dilagare delle manipolazioni del sistema informativo hanno assunto un carattere particolarmente sfacciato e cinico a partire da quando le forze reazionarie sono riuscite a distruggere l’URSS e il blocco di stati che attorno ad essa si raggruppava, che costituiva precedentemente il fattore di freno all’instaurazione di una struttura unipolare del mondo a egemonia USA. Per chi non è d’accordo con tali forze sono pronte le sanzioni: dalla creazione di crisi finanziarie fino agli “interventi umanitari” con lancio di missili.
Non mi soffermo su esempi, che sono noti a tutti.
Da qui deriva il quarto gruppo di fattori: la crescita delle ondate di protesta contro le azioni delle corporazioni transnazionali, i centri finanziari e politici mondiali, i paesi altamente sviluppati. Tutti hanno impressi nella mente gli scontri furiosi, che hanno avuto luogo negli ultimi anni, mesi e giorni a Seattle, Davos, Ginevra, Washington, Praga, Bangkok, Nizza. A queste azioni di protesta hanno preso parte decine di migliaia di persone, arrivate da molti paesi e non solo dai meno sviluppati. Persino il Segretario generale dell’ONU Kofi Annan è stato costretto a confrontarsi con la fondatezza delle richieste dei dimostranti, che mettono all’ordine del giorno la necessità del cambiamento nella politica di globalizzazione e dell’elaborazione di alcune regole di applicazione delle sue politiche perchè siano accettabili da tutti.
La tragedia sta nel fatto che queste proteste avvengono all’insegna dello slogan “Abbasso la globalizzazione!”, sebbene la fonte del disa stro non sia da ricercarsi tanto nel processo oggettivo di integrazione, quanto piuttosto nel suo modello parassitario attuale elaborato e imposto al mondo dalle corporazioni transnazionali e dalle modalità e dalla strategia attraverso cui viene perseguita dalle politiche mondiali. Le masse che protestano, come ci insegna la storia, non sempre hanno piena consapevolezza dei dettagli delle cause degli avvenimenti, e a volte distruggono macchine e fabbriche, come i luddisti nell’Inghilterra del XVII secolo, danno fuoco a palazzi e a tenute, come avveniva ai tempi delle azioni spontanee in Russia, oppure provocano esplosioni di edifici di centri commerciali e stazioni a New York e in altri luoghi, come è avvenuto nel XX secolo. La complessità e le tappe di queste azioni rappresentano anch’essi fattori reali, che impongono la necessità di elaborare una posizione sui problemi della globalizzazione precisa e comprensibile dalle masse da parte delle forze di sinistra.
Il quinto gruppo di fattori riguarda l’assoluta indeterminatezza nell’affrontare tale problema, che si registra in Russia, l’insignificante livello di comprensione e di argomentazione circa il posto e il ruolo del nostro paese nel gorgo della globalizzazione. Non si discute certo del fatto che la Russia si trovi nell’alternativa di “chiudere” o di “aprire” ai processi di globalizzazione. Sotto- mettendosi alle regole e alle condizioni del FMI, la Russia si è trovata coinvolta in questo sistema, stretta nelle catene dei crediti ricevuti , degli obblighi internazionali, delle reti informative globali, ecc. Questo è il quadro reale, ed è assurda la domanda che si pone ad esempio il giornale Nezavisimaja Gazeta del 16 novembre 2000: “È pronta la Russia ad entrare in questo processo?”. Il problema è molto più complesso e contraddittorio. In primo luogoriguardo il come, secondo quali regole, con quale ruolo e in quale misura la Russia debba partecipare ai processi di integrazione dell’età contemporanea. È sufficientemente giustificata, ad esempio, la richiesta umiliante di essere accolti con un ruolo limitato nel WTO ( discussa recentemente in summit a Parigi e in altri luoghi)? La Russia deve muoversi su scenari, preparati in Occidente oppure essa è in grado di avere un ruolo autonomo e di lavorare per affermarlo?
La Russia è ancora in possesso di sufficienti risorse politiche, strategiche, di materie prime, tecnico scientifiche, intellettuali, di quadri, perché in qualità di grande potenza possa partecipare ai processi di globalizzazione su un piano di parità con i paesi altamente sviluppati, e non come fonte di materie prime o come “vittima sacrificale” della globalizzazione.
Il Fondo Carnegie e la sua filiale russa ritengono che il nostro paese abbia già perso questa possibilità. Ma è proprio così? Questo problema va ancora studiato. Ma se tale possibilità non è andata persa, allora la Russia, erede di quell’URSS che fu baluardo della lotta antimperialista, dovrebbe forse aspirare ad essere inclusa nel novero di paesi e corporazioni “vampiri”, che stanno succhiando il sangue e le essenze vitali di miliardi di uomini a vantaggio dei propri egoistici interessi, partecipando in qualche modo alla “ripartizione dei ruoli”? Per noi comunisti e per tutte le forze di sinistra è una questione di particolare importanza. Come unire al meglio l’interesse nazionale del paese con i nostri obblighi internazionali nei confronti dei lavoratori di tutto il mondo, come armonizzare il compito di primaria importanza della salvaguardia delle esigenze vitali del nostro popolo con un posizione rispettabile nell’arena internazionale?
Il problema della risposta alle sfide della globalizzazione esige un lavoro scrupoloso di ricerca e una spiegazione particolareggiata. Al momento, oltre agli studi di S. Glaziov, non disponiamo di elaborazioni minuziose. Le nostre riviste di partito finora hanno affrontato solo marginalmente l’analisi della questione. Lavori che hanno trovato collocazione in alcune pubblicazioni periodiche non di partito
(Svobodnaja, Mis, Obosrevatel ecc.), per il modo come sono stati affrontati dagli autori non ci trovano per niente d’accordo. Di conseguenza, i nostri intellettuali non dispongono ancora di un orientamento solido su tale questione. Tanto è vero che, tra gli slogan che sono stati proposti per l’anniversario della Rivoluzione d’Ottobre nel 2000, ci è capitato di sentire anche quello mutuato da Fukuyama: “La globalizzazione è la fine della storia!” Ma cosa vuol dire questo slogan e a chi si rivolge? Ecco la ragione per cui il VII congresso del PCFR ha approvato una risoluzione speciale dal titolo “In relazione alla globalizzazione imperialista”, che cerca di tener conto dei fattori reali della globalizzazione e del carattere contraddittorio della partecipazione ai suoi processi. Ma questo è solo un primo passo. Lo scopo della risoluzione è quello di stimolare il nostro pensiero teorico, tutto l’arsenale dei nostri strumenti teorici a sviluppare ricerche analitiche e lavoro di indagine su questi problemi.
Analizzando la globalizzazione, alcuni autori la esaminano solo sotto il prisma dell’imperialismo, in quan to suo stadio superiore. Così, B. Pjadjshev ha persino intitolato un suo articolo: “Globalizzazione: fase suprema dell’imperialismo (Nezavi simaja Gazeta, 16 novembre 2000). Ciò può rappresentare una sconsideratezza, oppure una provocazione cosciente ai comunisti (prendendo a prestito il linguaggio di Lenin), perché imbocchino la strada della lotta donchisciottesca contro una realtà conforme alle leggi della storia. È imbarazzante, ma occorre fare chiarezza sull’ abbici della scienza della società. L’imperialismo è una categoria dell’analisi della formazione di un sistema sociale, la definizione leninista della fase superiore del capitalismo. La globalizzazione, sia come fenomeno che come categoria, va riferita a concetti comuni a tutta la civiltà. Il contenuto della globalizzazione è rappresentato, come già abbiamo rilevato prima, sia da uno stato determinato delle forze produttive (dei mezzi di produzione, delle tecnologie e dei lavoratori della produzione), sia dalla struttura dei rapporti di produzione (prima di tutto dei legami economici mondiali, sia del carattere della società umana ad essa correlata, sia anche degli istituti politici e del tipo di cultura. I comunisti sono orientati verso il rifiuto e il rovesciamento del capitalismo e della sua fase suprema, l’imperialismo, ma il loro intervento è rivolto non contro la globalizzazione, ma contro i metodi imperialistici, antipopolari, antiumani con cui si realizzano i suoi imperativi, le sue leggi obiettive.
I comunisti si rendono conto che un’unificazione dei popoli piena, libera, effettivamente paritaria, la loro compiuta integrazione a livello planetario saranno possibili, come hanno anche previsto Marx e Lenin, solo con la vittoria del socialismo e del comunismo in tutto il mondo. E ciò non avverrà presto. Ma la coscienza della lontananza di questa prospettiva non deve allentare l’iniziativa energica delle masse nella loro lotta per la realizzazione di obiettivi democratici e sociali raggiungibili oggi. È già successo che, grazie all’unificazione delle forze dei popoli si sia riusciti a fermare e a sconfiggere il fascismo, mortale minaccia per lo sviluppo dell’umanità! Oppure a liquidare il sistema coloniale dell’imperialismo. Ed anche a impedire la follia della guerra nucleare, indirizzando l’utilizzo dell’energia nucleare non a danno ma a beneficio dell’uomo. Oggi il pericolo mortale per la comunità umana è rappresentato dal totalitarismo (mondialismo) di una globalizzazione dominata dalle corporazioni multinazionali e dai centri finanziari e politici mondiali, che avanzerà se i popoli non riusciranno, attraverso un lotta decisa, a troncare questa tendenza antiumanistica e ad assumere essi stessi nelle proprie mani i processi di globalizzazione.
La globalizzazione, nonostante tutto il suo carattere contraddittorio, può e deve operare a beneficio di tutta l’umanità, dei lavoratori dell’intero pianeta. Oggi essa favorisce solo i consumi parassitari di un pugno di “eletti”. Le forze del progresso e dell’umanesimo devono elaborare una propria strategia e un proprio modello di globalizzazione, partecipare attivamente ai suoi pro cessi e operare per ristrutturarli nell’interesse di tutta l’umanità e di ogni individuo, bloccando e isolando tutti gli elementi di carattere imperialista, rispondenti ad interessi egoistici e operanti contro l’umanità, sviluppando quelli positivi che vanno incontro alle esigenze di giustizia sociale.
Noi comunisti, come partito, e la Russia in quanto stato, siamo chiamati ad occupare un posto di rilievo di fronte a questo compito.
Traduzione a cura di Mauro Gemma