Forum Sociale Europeo di Parigi

Anche questo Forum Sociale Europeo, svoltosi dal 12 al 16 novembre scorsi in quattro siti dislocati nella periferia parigina (La Villette, Saint-Denis, Bobigny e Ivry), può essere considerato una scommessa vinta, sia dal punto di vista della partecipazione che sotto il profilo dell’articolazione politica del dibattito. I 50 mila iscritti al Forum, l’affollamento e la composta attenzione dei dibattiti, la grande manifestazione finale contro la guerra di Bush testimoniano del fatto che – al di là delle oscillazioni di fase – permane comunque una vasta opinione in Europa, capace di penetrare e di riprodursi in ampi settori delle nuove generazioni, che rifiuta le politiche antisociali e la guerra.
Si conferma dunque il fatto che tra moltissimi giovani è tornato un genuino interesse per la politica, intesa, però, più come terreno da arare che come prodotto bell’e fatto e da prendere per buono. C’è grande generosità, ma anche esigenza di autonomia, di trovare una propria via verso la comprensione della realtà: non si sono affievolite la tensione etica e la ripulsa delle brutture del capitalismo, ma neanche può dirsi che vere e proprie idee-forza, veicolate dalla politica e organicamente strutturate, si siano fatte egemoni. Sarebbe del resto sorprendente se così fosse, visto che le “grandi narrazioni”, le “concezioni del mondo” hanno subito verso la fine del secolo scorso una sconfitta politica bruciante. Così, il ‘movimento altermondialista’ discute in termini – come si dice – aperti, ospita posizioni e sensibilità tra loro diverse nella cornice definita dalle due grandi discriminanti del no al neoliberismo e alla guerra, valorizza la dimensione – quella internazionale – che ritiene all’altezza di una qualche risoluzione dei problemi attuali. E questa volta sceglie, molto opportunamente, di mescolarsi alla gente dei quartieri dell’immigrazione, ai lavoratori della banlieue e ai tanti ‘senza’ (permesso di soggiorno, casa, lavoro ecc.) della popolazione suburbana. È evidente che la consistenza e la persistenza di questo fenomeno di massa, unitamente al suo carattere aperto e – per così dire – esposto, continua ad attirare attenzioni nelle più disparate direzioni. Del tutto naturale in Francia la forte presenza organizzata, nei luoghi del Forum, delle formazioni trotzkiste, galvanizzate tra l’altro dal recente patto di unità d’azione tra Lutte Ouvrière e Ligue Comuniste Révolutionnaire. Ma soprattutto è apparso molto più sostenuto l’impegno dei partiti comunisti europei, anch’essi presenti con loro esponenti nei seminari e con abbondante materiale propagandistico: significativo, in particolare, lo sforzo de L’Humanité, organo del Pcf, che ha dedicato al Forum una serie di dettagliati inserti. Da segnalare poi l’attenzione – che per la verità ha fatto non poco discutere – di Echos, il Sole 24 Ore francese, uscito con un inserto sul FSE di ben 24 pagine a colori. In molti tra gli organizzatori hanno interpretato tutto questo come un “successo del movimento”, frutto della sua visibilità e della sua perdurante forza di mobilitazione.
Tuttavia, accanto a tali dichiarazioni a tutto tondo, in molte discussioni è andata emergendo un’attitudine più problematica, che ha cominciato a porre questioni di fondo concernenti la prospettiva, il “destino del movimento”. In particolare nei seminari aventi per oggetto il rapporto tra movimenti di massa e politica, tutti i relatori hanno da un lato espresso la consapevolezza e l’orgoglio di aver contribuito a costruire uno “spazio pubblico” di visibilità planetaria, capace di orientare l’opinione diffusa in una direzione contraria a quella seguita dalle politiche degli establishments dominanti. D’altro lato, è stato posto il problema dell’efficacia nella trasformazione reale dell’esistente e la necessità di non concepire l’agenda delle periodiche scadenze plenarie come una serie di esibizioni ripetitive, bensì di renderla sempre di più espressione di pratiche di lotta per il conseguimento di obiettivi concreti. Ma, soprattutto, questa volta è sembrato essersi fatta più forte una sensazione: la politica sta aspettando al varco questo grande processo partecipativo ed autoformativo. Ed ognuno si appresta a tessere la sua tela. A cominciare da Bernard Cassen, direttore di Le Monde Diplomatique ed ex presidente di Attac France, il quale ha detto a chiare lettere che, qualora i partiti restassero sordi alle istanze del movimento, quest’ultimo sarebbe costretto a dotarsi, prima o poi, di strutture organizzative proprie: poiché “non si è mai visto che una grande forza sociale non si sia trasformata ad un certo momento in forza politica”. L’indicibile sembra dunque passare nei ranghi del dicibile, anche se non sempre in termini così espliciti. Gus Massiah, presidente del Centro di ricerca e informazione per lo sviluppo (CRID), si affretta ad esempio ad aggiungere che “ciò non vuol dire necessariamente ‘partito’ ” e che si tratta piuttosto di “inventare nuove forme del politico”. E un altro autorevole esponente di Attac, Pierre Khalfa, si limita a sottolineare che ormai il movimento “si confronta con nuove responsabilità”, che non è più solo un movimento di resistenza, e che quindi “oggi più che mai occorre riflettere sul modo in cui far trovare uno sbocco alle nostre idee”. In ogni caso, non tutti ovviamente condividono le brusche accelerazioni. Ed è anzi probabile che i più auspichino, con Fausto Bertinotti, che sia salvaguardata l’autonomia, la pluralità e l’unità del ‘movimento dei movimenti’. Nel frattempo, però, sembra che nessuno resti a guardare: e, visto l’attivismo – discreto ma non per questo meno intenso – della sponda socialdemocratica e di quella trotzkista – ben si comprende come, dal canto loro, i venti partiti comunisti presenti a Parigi abbiano trovato un’intesa comune e siglato un corposo documento rivolto al FSE. Come ha ricordato Daniel Cirera, responsabile esteri del Pcf, “questa dichiarazione costituisce un vero avvenimento poiché è la prima volta che i partiti della sinistra europea redigono un testo comune in direzione del movimento sociale”.
Del resto, il nodo del rapporto tra movimento di massa e politica (intesa questa volta come l’insieme delle ‘organizzazioni politiche’) è destinato a far discutere ancora. Esistono in effetti delle zone d’ombra che il movimento stesso è chiamato ad illuminare. L’ostracismo – bene o male ancora presente – nei confronti dei partiti è una di queste: non è affatto chiaro, ad esempio, perché e sulla base di quale discrimine ad un professore (politicamente molto impegnato, su posizioni politiche molto precise e legittimamente perorate) come Antonio Negri sia concesso un ampio spazio sulla scena del Forum, mentre per quel che concerne esponenti di partiti (quali sono gli anzidetti Cirera o Bertinotti) la cittadinanza politica debba essere ottenuta in via eccezionale e come per gentile concessione. Ad esser chiari, qui la partizione tra ‘società civile’ e ‘partiti’ acquista un forte connotato di ambiguità (e furbizia): e dietro la spontaneità dei movimenti fa capolino la regia dei comitati organizzativi ristretti. Per la verità, l’ultimo Forum mondiale di Porto Alegre aveva fatto registrare su questo punto dei notevoli passi in avanti, evidentemente grazie anche all’irruzione della radicalità sociale latino-americana dentro la prestabilita articolazione dei dibattiti. Ma, a quanto pare, la questione attende ancora una soddisfacente chiarificazione. Che nel rapporto tra movimento di massa e politica non tutto sia trasparente è stato testimoniato, tra l’altro, dall’incredibile vicenda dell’iniziale esclusione di Cuba e delle sue realtà associative dai lavori del Forum, a tutto ed esclusivo vantaggio della cosiddetta dissidenza: qui è apparso evidente il condizionamento pesante di determinate forze organizzate (politiche e partitiche). Come si sa, questa grave forzatura non ha prevalso, ed anzi, il giorno precedente la data di apertura del Forum, in un teatro parigino si è svolta una partecipatissima iniziativa per ricordare che non sarebbe possibile un altro mondo senza Cuba e la sua rivoluzione socialista (nell’occasione è stato tra l’altro letto il messaggio di saluto e solidarietà con Cuba della redazione de l’ernesto, presente anche nell’immenso spazio de La Villette con un suo visibilissimo e frequentato stand).
Certamente è sui contenuti, sulle grandi scelte di merito che sarà plasmata la fisionomia futura del movimento altermondialista. Essenziale, da questo punto di vista, l’interlocuzione con i grandi sindacati europei: ciò rende conto del peso specifico della discussione e della sua crescente articolazione sociale. In diversi seminari, accanto alla riproposizione della questione salariale, è stato dato il giusto risalto all’attacco ai servizi pubblici e ai sistemi di protezione pubblica: sanità, pensioni, acqua, politiche sociali. Su queste decisive problematiche vi è stata una totale convergenza di analisi e di proposta; e si è fatta strada l’idea di una grande giornata europea di lotta contro la mercatizzazione dei servizi di pubblica utilità e per la difesa dei diritti sociali.
In effetti, l’Europa e la sua costituzio-ne hanno rappresentato uno dei momenti salienti del dibattito: ma, come era del resto prevedibile, proprio su tale tema non si è pervenuti ad una completa omogeneità di vedute. Il segretario della Cgil Epifani, ad esempio, pur criticando il ‘progetto Giscard’ ha comunque auspicato un percorso che punti ad emendare la bozza di costituzione evitando contrapposizioni frontali. Il presidente di Espaces Marx, Patrice Cohen Seat, ha invece espresso una posizione diversa e più radicale, rappresentativa della maggioranza degli intervenuti: “Questo progetto trasforma in legge fondamentale il regno della proprietà e della concorrenza, consacrando l’egemonia politica del capitale (…) La logica di fondo delle istituzioni proposte mira da un lato ad indebolire gli spazi politici viventi che costituiscono gli stati nazionali e, dall’altro, a ostacolare l’emergenza di una vera democrazia europea, concentrando l’essenziale del potere nelle mani di alcuni non eletti, i commissari europei e i dirigenti della Banca centrale”. È il medesimo giudizio negativo che sostanzialmente compare nella dichiarazione finale di questo FSE.
Come detto, la grande manifestazione contro la guerra ha concluso le giornate del Forum: al suo interno in gran numero hanno sfilato i militanti, le bandiere e gli striscioni di Rifondazione Comunista. Tra questi, ben visibile, lo striscione del circolo Prc di Parigi, vero punto di riferimento politico e organizzativo per molti compagni italiani presenti, oltre che promotore di alcuni partecipati seminari tenutisi, nella cornice programmatica del FSE, presso l’Institute Universitaire de Technologie (IUT Saint-Denis) sui temi della guerra e dell’antifascismo. Anche questa è una buona notizia per il nostro partito.