CONTRO IL MASSACRO SOCIALE
L’ESIGENZA DI UNA SINISTRA DI CLASSE
E DI UN PARTITO COMUNISTA
La combinazione nefasta data dall’irrisolta crisi internazionale del capitale e dall’ “esigenza” del capitale transnazionale europeo – rappresentato istituzionalmente e economicamente dall’Ue – di garantirsi le condizioni per competere sul piano internazionale, è già sfociata in un attacco chiaro e violento alle condizioni di vita dei popoli e dei lavoratori del vecchio continente.
L’onda lunga di tale attacco sta ora impietosamente rovesciandosi sulla classe operaia e sull’intero mondo del lavoro del nostro Paese.
La consueta, ma ancora efficace, favola berlusconiana, secondo la quale l’Italia sarebbe stata un’isola felice nel mare tumultuoso della crisi europea e mondiale, è durata un tempo incredibilmente lungo – circa due anni – a dimostrazione dello stupefacente e inquietante potere mediatico che ha in mano il “signore di Arcore”. Un potere così obnubilante da cacciare indietro, velare, anche l’ imponente e vasta realtà della sofferenza e del disagio sociale italiano.
C’è voluto Gianni Letta a far crollare il sipario della menzogna, alcuni giorni fa, quando non ha potuto più sostenere la grande ipocrisia e ha dovuto anticipare una Finanziaria da massacro sociale, ottenendo i rimbrotti del capo di governo, ancora volto a nascondere la verità. E c’è voluto Tremonti, vero scudiero del Patto di Stabilità di Amsterdam (nel mondo accademico si è sempre affermato che l’attuale Ministro dell’Economia e delle Finanze avesse , nel proprio bagaglio intellettuale, un’inclinazione “ colbertista ”, volta alla protezione dell’economia nazionale : se mai questa inclinazione vi sia mai stata essa evapora nell’attuale genuflessione di Tremonti ai diktat della Banca europea e dell’imperialismo tedesco) ad imporre una Finanziaria di 25 miliardi di euro che sarà un colpo di maglio per i pensionati, i lavoratori, le giovani generazioni e quel poco che resta dello stato sociale, specie la sanità pubblica, che dipendendo economicamente dalle Regioni sarà il settore più colpito dai tagli. Questa Finanziaria è, peraltro, una vera e propria creatura mostruosa di Tremonti, che l’ha imposta contro la stessa volontà di Berlusconi, populisticamente indeciso ad impugnare la spada, mediaticamente più accorto del suo Ministro del Tesoro e più orientato a scaricare la crisi nell’ulteriore ampliamento del debito pubblico; una linea, a ben guardare, meno a destra delle politiche antisociali condotte in questi anni, in Europa, da certi governi della sinistra liberale; linea naturalmente inficiata dalla determinazione di classe di Berlusconi all’esentare il grande capitale, la grande e media borghesia da una degna partecipazione al contributo fiscale e, comunque, una linea – debito pubblico “versus” massacro sociale – anche in questi giorni fortemente osteggiata dalla Confindustria, alla quale Berlusconi si è infine piegato.
Per completare l’opera ideologica e l’attacco concreto che Brunetta ha portato ai lavoratori del pubblico impiego ( attenzione: poche altre politiche, come l’attacco sferrato ai “fannulloni pubblici” sono state tanto chiaramente impregnate di essenza ideologica: si attaccano i lavoratori del pubblico impiego per demolire il pubblico in quanto tale e riconsegnare nelle mani dei padroni una frusta da far schioccare sull’intero mondo del lavoro) Tremonti ha ideato una Finanziaria che congela i già miseri contratti e stipendi degli insegnanti, dei poliziotti degli infermieri ecc. ( mediamente di 1.200 euro mensili ) per tre anni, togliendo dalle loro tasche, nel triennio e ad ognuno, circa 1.600 euro. Salvaguardando gli stipendi che vanno da 5 mila euro in su.
Anche i lavoratori prossimi alla pensione dovranno pagare un ulteriore obolo al Patto di Amsterdam, rinviando la loro collocazione a riposo di almeno sei mesi; e meglio non andrà per tutti coloro che, maturato il diritto alla pensione, percepiranno un’indennità di fine rapporto rateizzata e spostata nel tempo.
La decisione di Tremonti di cancellare, in Finanziaria, il trasferimento governativo di 6 miliardi di euro agli Enti Locali, comporterà, conseguentemente, sia un taglio secco dei servizi e delle prestazioni sociali nei territori che un inasprimento delle già numerose e salate gabelle sorte in questi ultimi anni nei comuni e nelle Regioni. I tagli ai Comuni sono stati triplicati, in quest’operazione Tremonti e, ad aggravare il quadro, si decide che tutti i Municipi sotto i 30 mila abitanti debbono lasciare tutte le Spa: processi di privatizzazione dal basso.
Un governo di berluscones e di leghisti non poteva, poi, non prendere di mira la cultura: vi è un taglio di fondi che mediamente va dal 15 al 30%, per 232 istituti culturali. Attaccate al cuore sono l’Università e la Ricerca. Oltreché Fondazioni storiche e importanti per la cultura italiana democratica e progressista, quali lo stesso “ Istituto Gramsci” e l’ “Istituto di Storia della Resistenza”. L’ “Aciconsum”, per sintetizzare, ha calcolato che la manovra finanziaria peserà per 400 euro su ogni cittadino.
Ma si sa che non sarà “ per ogni cittadino” : si annuncia una “ lotta all’evasione” che non prevede alcun prelievo sui grandi patrimoni e nessuna ricerca delle migliaia di imprenditori che la stessa “ lista Falciani ” ha consacrato – nome per nome – come grandi evasori. La stessa invenzione “tremontiana” dello “scudo fiscale” impedirà un flusso di entrate nelle casse dello Stato più o meno equivalente all’importo della Finanziaria in atto.
Naturalmente la Confindustria, per bocca della Marcegaglia, ha criticato da destra la manovra Tremonti e, attraverso la coniazione della parola d’ordine “ non basta”, ha chiesto – all’Assemblea generale degli industriali, tenutasi a Roma lo scorso 28 maggio e di fronte ad un Berlusconi stordito dalle dure parole della leader degli industriali italiani – più liberalizzazioni; più tavoli d’intesa, per gli imprenditori, con il sistema bancario; una più vasta moratoria sui mutui, nell’obiettivo di far cancellare i grandi mutui contratti dagli imprenditori; un ben più vasto fondo per la capitalizzazione delle imprese; un rafforzamento dei fondi di garanzia: tutte misure e riforme ( di tipo ancor più liberista) “per sostenere – ha affermato la Marcegaglia – la ripresa economica e la ripresa dell’occupazione, dopo una crisi che è stata pesantissima per il nostro Paese, con 700 mila posti di lavoro persi e la produzione industriale tornata ai livelli del 1985” ( parole della leader di Confindustria, non di un comunista, che hanno ancor più disorientato il Berlusconi presente all’assemblea e ancora negatore della realtà. Parole, tuttavia – e naturalmente – mai volte a delineare una ripresa economica che possa basarsi su di un rialzo del valore d’acquisto degli stipendi e dei salari).
Oggi la linea d’attacco antisociale, dettata dall’Ue ( linea costretta a rinunciare, dunque, all’ampliamento del debito pubblico a favore di un duro giro di vite), voluta dalla Confindustria e dalla vasta ala più conseguentemente liberista e filo Ue del PDL, viene sferrata contro il movimento operaio complessivo nel momento di maggior crisi del governo Berlusconi ( crisi Fini – Berlusconi; scandali; corruzione; problemi crescenti tra PDL e Lega in virtù del fatto che la Finanziaria lacrime e sangue mette in forte discussione il federalismo fiscale; incrinature profonde tra Berlusconi e Confindustria, tra Berlusconi e una parte ormai importante del grande capitale italiano; tra Berlusconi e Obama; tra Berlusconi e la stessa Unione europea) e tra i rigurgiti reazionari e fascistoidi del capo del governo : legge – bavaglio sulla stampa; denigrazione e tentativi reiterati di demolire l’autonomia della magistratura; tacitazione del Parlamento, affermazioni quali: “come Mussolini, ho pochi poteri”, evocando, dunque, poteri pieni ed un presidenzialismo autoritario e di destra assieme alla manomissione della Costituzione.
L’insieme di questo quadro chiede, urgentemente, una forte risposta sul piano sociale, un contrattacco delle forze comuniste, di sinistra e sindacali volto non solo a far cadere un governo di destra ormai marcio al suo interno ma ad aprire la strada ad un progetto di vera alternativa.
Il punto è che tutto questo non c’è e il piccolo sciopero generale di quattro ore annunciato per giugno dalla CGIl ( seppur importante poiché muove il pachiderma) non può essere certo l’unica risposta. Né l’unica risposta può essere la battaglia dei parlamentari del PD contro la legge bavaglio per la stampa, una battaglia che non scende in piazza e che, soprattutto, non si lega, non si assomma ad una – tanto necessaria, quanto mancante – lotta sociale contro le ormai insopportabili politiche reazionarie, razziste, eversive e antioperaie di Berlusconi.
Abbiamo bisogno disperatamente di una sinistra di classe che entri in lotta, che riempia le piazze e torni a legarsi alle fabbriche e ai lavoratori; che sia a fianco, sin da subito, senza abbandonarli nemmeno per un minuto, dei lavoratori del pubblico impiego, come agli operai delle fabbriche. Abbiamo bisogno che la CGIL entri ben più decisamente in campo, per una lunga battaglia volta al cambiamento dei rapporti di forza sociali: abbiamo bisogno del ruolo sociale di un sindacato di classe e di massa, che non è alla viste, anche se salutiamo positivamente la costituzione dell’ USB, l’Unione Sindacale di Base, che può svolgere un compito importante, sia partendo da sé che sollecitando da sinistra la CGIL.
Per aiutare questo processo, però, per contribuire ad esso, avremmo bisogno di un partito comunista più forte, più incisivo delle due piccole formazioni comuniste oggi presenti, PRC e PdCI.
Rimaniamo convinti che è il partito comunista – per la sua intrinseca natura anticapitalista e la sua cultura unitaria – il cuore pulsante dell’unità a sinistra e senza un cuore di questo tipo diviene molto più difficile unirla, la sinistra, e darle un segno di classe. La stessa Federazione della Sinistra messa in campo da alcuni mesi mostra troppa debolezza, debolezza che trova le sue basi materiali, innanzitutto, nella divisione – che finisce inevitabilmente per divenire competizione – dei comunisti.
Senza un partito comunista come prodotto del processo unitario dei comunisti, più grande e più incisivo dei due attualmente presenti; senza un partito comunista che per la sua maggior massa critica, per la passione e la militanza che certamente susciterebbe proprio in quanto “simbolo unitario di classe” in un universo di frammentazioni; senza un partito comunista che sappia collocare al centro della costruzione dell’alternativa il conflitto ed un orizzonte di trasformazione sociale, senza un simile partito, che sappia unire la sinistra di classe, si fa anche più alto il rischio di sboccare nelle strade moderate consuete e se Berlusconi, alle prossime elezioni nazionali, fosse battuto, di rivivere, di riassistere ad un quadro politico segnato da una risicata vittoria elettorale di una sinistra moderata che – in una sorta di rotazione politica – sarebbe destinata a riproporre i dogmi liberisti, preparando la strada ad una nuova vittoria delle destre.
Occorre lavorare per un’alternativa vera e solida. E per farlo è anche necessario che sia in campo un più forte, unito, partito comunista.
Qualche mese fa rivolgemmo al compagno Paolo Ferrero una domanda (che non ebbe risposta) : perché sei contrario all’unità dei comunisti? Oggi, la stessa domanda, la rivolgiamo sia al compagno Ferrero che al compagno Grassi: perché siete contrari all’unità dei comunisti?