Interrogarsi oggi sulla Fiat significa innanzitutto domandarsi di cosa si intende parlare. Fino a “l’altro ieri” dire Fiat significava dire automaticamente “la famiglia… AGNELLI”, poi dire automaticamente la produzione dell’automobile italiana e, di seguito, degli altri settori di produzioni varie e della relativa componentistica.
Questa automaticità di lettura oggi rappresenta un inganno o, quantomeno, una parzialità semplificatoria che erroneamente accomuna le decisioni come fossero di una sola grande impresa governata ancora da una grande famiglia del capitalismo italiano.
In realtà dire Fiat non è più tutto ciò!
Non c’è più automaticità di riconoscimento fra la sigla Fiat e i singoli settori di produzione, e non c’è più netta correlazione fra il Gruppo Fiat e la “Famiglia” (Agnelli, naturalmente).
La “Famiglia” da tempo ha teso ad occuparsi principalmente delle ricadute finanziarie sui propri investimenti e dunque a lasciare al ma
nagement la responsabilità delle decisioni operative generali, e particolarmente quelle operative dei settori produttivi, mantenendo rigorosamente accentrate sul Gruppo tutte le decisioni di carattere finanziario.
Tale processo è iniziato a partire dalle aziende dell’indotto e della componentistica Fiat almeno 15 anni fa (Gruppo Gilardini e Gruppo Magneti Marelli) ed è proseguito negli anni, ridefinendo gli accorpamenti interni per prodotto e le successive vendite parziali o totali a Aziende estere leader nel relativo settore e già collegate agli interessi del Gruppo Fiat o delle “Finanziarie di famiglia” che lo presidiano.
Non deve dunque stupire la recente ma non ultima operazione “Fiat-Ge-neral Motor” per quanto riguarda la proprietà delle azioni della Fiat Auto S.p.A., già oggi azienda con sede legale non più in Italia bensì in Olanda e con l’opzione esercitabile da General Motor per il suo pieno controllo. È bene non trascurare che tale accordo porta un notevole vantaggio finanziario al Gruppo Fiat e valorizza le quote della Finanzia IFI ma penalizza il sistema produttivo italiano legato alla produzione dell’automobile.
Infatti, pur volendo essere ottimisti sulla tenuta del prodotto italiano “Fiat” rispetto a quello tedesco “Opel” – della General Motor – (tenuta tutta da dimostrare, specie in prospettiva), già oggi si vedono le prime conseguenze negative sulla produzione di importanti componenti del prodotto-auto che l’accordo “Fiat-General Motor” ha trascinato. La produzione motoristica viene già realizzata dalla nuova società Power-Train condivisa al 50% dai due contraenti l’accordo prevede anche che i motori a benzina siano costruiti in Germania mentre rimangono in Italia le sole produzioni di motori a benzina. Si comprende dunque il perché ci sia un utilizzo intenso di Cassa Intgrazio- ne da oltre un anno nello stabilimen to motoristico della Fiat Mirafiori con un profondo disagio dei lavoratori per le gravi perdite economiche e l’aumentato senso di precarietà ed insicurezza di prospettive. È previsto, sempre nel succitato accordo, che anche l’insieme della componentistica sia realizzata attraverso aziende la cui proprietà sia configurata nello stesso modo (i profondi processi di trasformazione, cessioni e vendite avvenuti nelle aziende di componentistica Gilardini-Marelli sono stati un indispensabile elemento di anticipazione e di semplificazione di tale scelta su questo complicato comparto produttivo); così pure, infine, dovrà accadere alla realizzazione delle piattaforme che saranno comuni per le carrozzerie delle due marche automobilistiche.
Risulta dunque evidente che ci saranno ulteriori e pesanti riduzioni produttive e ripercussioni occupazionali (questa volta specialmente a Torino) dovute alla razionalizzazione delle produzioni. Se le riduzioni occupazionali immediate potrebbero forse essere gestite in “modo morbido” per le singole persone attraverso l’utilizzo degli “ammortizzatori sociali”, così non potrà accadere per la perdita dei posti di lavoro nel settore che saranno permanenti e difficilmente recuperabili su altre attività.
Le questioni, che in queste poche righe si possono solo sfiorare, si porranno con più evidenza nei prossimi 5, massimo 10 anni, ed evidenziano che a quel momento tutto sarà ormai determinato nei fatti e dunque irrecuperabile. Se si vuole por re rimedio o almeno freno per governare, nell’interesse di Torino e dell’Italia, quanto sta per avvenire, è necessario porre da subito limiti e vincoli agli azionisti della nuova società Fiat Auto e ai proprietari degli insediamenti produttivi della stessa (Fiat Gruppo). Ciò però non basta; è necessario che le organizzazioni di massa, innanzitutto le organizzazioni sindacali, decidano per quali orientamenti produttivi ed occupazionali pensano di battersi e con quali strumenti intendono difendere seriamente l’occupazione. Io continuo a pensare che si debbano difendere le radici della propria imprenditorialità e conoscenza se si vuole essere capaci di migliorare le prospettive future, e sono altrettanto convinta che ogni volta che questi interessi da parte dei lavoratori, dell’insieme della società confliggono con gli interessi economici di chi detiene i mezzi di produzione (un tempo si chiamavano “padro ni”!) ci sia un solo modo per farli valere: essere capaci di proposte autonome ed essere in grado di sostenerle con la lotta di tutti gli interessati. Si è già in ritardo su questa strada; sarà tra i compiti di Rifon- dazione Comunista cercare di ricostruire una nostra ipotesi che risponda alla necessità di uno sviluppo produttivo compatibile con gli interessi di Torino e, più in generale, italiani. Sarà tra i nostri doveri offrire un progetto politico che risponda innanzitutto agli interessi dei cittadini e dei lavoratori, a costo di dovere intervenire con pesanti richieste che riguardano l’utilizzo dei terreni, la revisione del piano regolatore, le norme di trasporto e così via, oggi fortemente piegati agli interessi Fiat.
Anche tutto questo da solo, non sarà però sufficiente. È ora che torni in campo il protagonismo diretto dei lavoratori a partire dalla rimessa in discussione di come oggi si lavora e si vive negli stabilimenti Fiat e di come e quanto sia necessario che torni in campo il riconoscimento della contrattazione ormai bloccata ed avviluppata dai lacci e lacciuoli di un illusorio malinteso senso della concertazione (il contratto integrativo Fiat è bloccato da oltre un anno e non c’è la capacità di forzare la situazione, e così pure sta accadendo sul Contratto Collettivo Nazionale dei Metalmeccanici che è scaduto a fine 2000). Dunque è necessario sciogliere, con pazienza ma anche con determinazione, uno dopo l’altro questi lacci e lacciuoli e riaprire lo spazio di una libera contrattazione.
A questi compiti di programmazione, di informazione e di iniziativa dovremo chiamare e formare i nostri quadri al fine di ritessere nella General Motor la stessa capacità di intervento che dovremo potere trovare anche nel tessuto cittadino.