Elezioni in Svezia

Sono ancora in corso in Svezia (siamo al 26 settembre 2002-ndt) trattative serrate per la formazione del nuovo governo, che sarebbe ancora guidato dal primo ministro socialdemocratico Persson, al potere dal 1994 ed il cui partito ha vinto le elezioni legislative del 15 settembre con circa il 40% dei suffragi, risultato che fa del suo partito il primo partito del Paese, ma non gli dà la maggioranza. Stranamente il sistema politico svedese non prevede che il primo ministro in carica rassegni le sue dimissioni dopo le elezioni, né egli deve necessariamente disporre di una maggioranza stabile per rimanere al suo posto; quello che deve fare è semplicemente di evitare un voto di sfiducia.
Persson si è impegnato in negoziazioni accanite con i partiti che lo sostenevano nella precedente legislatura: il Partito della Sinistra (VP), diretto da Gudrun Schyman (v. di seguito la nostra intervista) ed il Partito dei Verdi (Miljopartiet), anch’esso diretto da una donna, Maria Wetterstrand. Persson si augura di continuare il sistema che vedeva questi due partiti dargli l’appoggio in Parlamento, ma senza partecipare direttamente al governo. Tanto più che il suo partito è l’unico, dei tre, ad avere guadagnato dei seggi (13), mentre il Partito della Sinistra ne ha perduti 13 e i Verdi ne hanno preso uno in più senza però aumentare la loro percentuale (4,4%). Ma i Verdi non ci sentono da quest’orecchio, e pretendono di avere ministri nel prossimo governo, altrimenti minacciano di offrire il loro appoggio al Partito Liberale, passato al 13,2% dei voti (contro il 4,7% del 1998) grazie ad una campagna populista basata sul tema di un controllo più severo dell’immigrazione. Con i liberali sono già iniziati i negoziati e Maria Wetterstrand afferma: “Se Persson si ostina nel suo rifiuto di associarci al potere, parteciperemo ad una coalizione alternativa”. Questa potrebbe essere composta dai liberali, dai cristiano-democratici e dagli agrari, a quanto afferma il nuovo deputato verde Gustav Fridolin, uno dei più giovani deputati del mondo, dato che ha appena terminato il liceo ed ha diciannove anni. “Non è quello che noi ci auguriamo, ammette, ed oltre tutto questo non è il desiderio dei nostri elettori, ma Persson deve capire che non può decidere eternamente da solo”.
“Esiste un comandamento divino secondo il quale la Svezia dove essere eternamente governata dai social-democratici?”, s’indigna un giovane elettore, che li considera “troppo conservatori” e che ritiene che il Paese ha “bisogno di nuove teste e di nuove idee”.
E’ questo un punto di vista condiviso da alcuni appartenenti allo stesso Partito Social-democratico: “Il nostro Partito continua ad essere il primo partito del Paese, ma più per motivi storici che per altro; il nostro risultato elettorale è infatti non è soddisfacente ed io penso che sia arrivato il momento di cooperare più a fondo con i nostri alleati, dichiara Greider, scrittore e poeta, direttore del giornale Dala Démocraten. “Noi governiamo la Svezia da quasi un secolo, con il sostegno dei sindacati che restano molto legati al Partito, ma il loro appoggio sta diminuendo. Io penso che Persson dovrebbe consentire ai Verdi ed al Partito della Sinistra di entrare nel governo. Ciò renderebbe possibile un rinnovamento delle idee e del Partito, che comincia ad ansimare, ed inoltre consentirebbe un rinnovamento nella politica estera. Quella di Persson è troppo filo-americana, troppo accondiscendente nei confronti di Bruxelles ed è molto criticata anche all’interno dello stesso Partito. Secondo una recente inchiesta, il 45% degli iscritti al Partito è contro l’ Euro, mentre Persson ne è tenacemente a favore, e la percentuale sale al 65% se si considerano i solo sindacalisti. E’ la stessa cosa riguardo alla sua posizione verso il problema del Medio Oriente, posizione che è diventata piuttosto filo-israeliana. D’altro canto bisogna riconoscere che egli è riuscito a mantenere il “welfare system” malgrado la grave crisi degli anni ’90. Ormai neanche le classi medie mettono in discussione questo sistema, che alla fine va bene a tutti quanti”.
Il Partito della Sinistra, per quanto lo riguarda, ritiene che è sopratutto grazie alla sua azione ed alla sua influenza che la Svezia non è scivolata verso un social-liberalismo alla Blair, ma che questo non è scontato per gli anni prossimi. Al suo interno si sta svolgendo un ampio dibattito (V. di seguito) sulla posizione da prendere nella nuova legislatura. Ma non ci si spaventa troppo del ricatto esercitato dai Verdi e si pensa che alla fine essi resteranno con la Sinistra e che la coalizione verrà ricostituita. Con una prospettiva: un’ aspra battaglia per l’Euro, nei prossimi mesi, in vista del referendum del 2003.

Una intervista a Gudrun Schyman

Gudrun Schyman, presidente del Partito della Sinistra1 in Svezia non nasconde la sua delusione. Questa grande donna, sottile, ma da una potente stretta di mano, che sa di essere popolare, si aspettava un risultato migliore dell’ 8,3% dei voti raccolto dal suo Partito il 15 settembre. Una diminuzione del 3,7% e 13 seggi in meno rispetto al 1998, 13 seggi che sono andati al gruppo socialdemocratico del Primo Ministro Persson.
L’abbiamo incontrata il giorno successivo ad una riunione della direzione del suo partito, durante la quale è stata criticata per aver parlato di “vittoria della sinistra” la sera delle elezioni. Un punto di vista che essa mantiene nonostante le critiche2. “Noi speravamo di consolidare le nostre posizioni ed è normale che siamo delusi visto l’arretramento che abbiamo subito, ma nonostante ciò abbiamo raggiunto i nostri principali obiettivi”.

Quali erano i vostri obiettivi?

Ne avevamo due. Il primo era di impedire alla destra di vincere ed il secondo di impedire che i socialdemocratici slittassero ulteriormente verso la destra. Entrambi gli obiettivi sono stati raggiunti. Siamo riusciti a spingere i socialdemocratici a sinistra durante la campagna elettorale – alla fine essi aveva addirittura fatto proprio il nostro programma: nessuna riduzione delle imposte – cosi come proponeva la destra – senza aver prima aumentato i salari e diminuita la disoccupazione, messo fine alla discriminazione contro le donne e costruito gli alloggi a buon mercato che mancano a molte delle famiglie a basso reddito. Il risultato è che gli elettori socialdemocratici che avevano votato per noi nel 1998 a causa della politica di destra portata avanti allora da Persson sono ritornati all’ovile e noi ne abbiamo pagato le spese.
Ma l’analisi del voto dimostra che gli elettori sono più a sinistra oggi che nel 1998. Quelli che hanno più votato i nostri candidati sono state le donne e soprattutto i giovani che votavano per la prima volta, e questo è molto incoraggiante. Essi hanno dimostrato di apprezzare la nostra posizione di politica internazionale, nella quale la nostra differenza rispetto ai socialdemocratici è massima: l’opposizione all’ Euro, il Medio Oriente, la guerra contro l’Irak e la solidarietà internazionale.

Siete disposti a continuare a sostenere il governo Persson senza parteciparvi direttamente, o intendete, come i Verdi, esigere incarichi ministeriali?

Per quanto ci riguarda, l’importante è metterci d’accordo sul programma politico ed è su questo campo che verteranno i negoziati. Noi abbiamo una lista di riforme di cui esigiamo la realizzazione: discuteremo sui mezzi dopo esserci messi d’accordo sui fini, mentre i Verdi per prima cosa pensano ai posti ministeriali.
I Verdi stanno trattando anche con i liberali, che promettono loro posti ministeriali. Che cosa ne pensa lei?
È una tattica per fare pressione sul primo ministro: un governo dei Verdi con i Liberali non è possibile, sarebbe contro natura.

Come pensate di arrivare ad un accordo con Persson dal momento che avete divergenze così forti in politica estera, a partire dall’ Euro?

La questione dell’adesione del nostro paese all’Euro sarà risolta con un referendum l’anno prossimo. Naturalmente noi lavoriamo affinché la risposta sia negativa. Questo non ci impedisce di sederci ad un tavolo con i socialdemocratici per discutere di altre questioni che sono in agenda per i prossimi quattro anni, come il non allineamento, l’adesione alla Nato, il Medio Oriente o la guerra contro l’Irak. La nostra principale critica è che non si tiene più conto che la Svezia è sempre più allineata all’Unione Europea ed agli Stati Uniti. Ed è questo che noi vogliamo contribuire a cambiare.

Partecipare o no?

Flamman, giornale della sinistra svedese, ha organizzato il 21-22 settembre scorsi a Stoccolma un seminario internazionale dedicato alla partecipazione dei partiti comunisti – o ex-comunisti- ai governi di coalizione. Una questione molto attuale in Svezia, paese nel quale sono in corso trattative, dopo le elezioni legislative del 15 settembre, per la formazione del nuovo governo. Hanno partecipato a questo seminario i giornalisti Jana Frielinghaus del “Junge Velt” (Germania), Ida Dominijanni del “Manifesto” (Italia), Antro Eerola del “Kansen Uutiset” (Finlandia), Francoise Germain-Robin dell’ “Humanité”, Emil Persson, redattore capo di Flamman, Lars Backstrom, presidente del gruppo parlamentare del Partito della Sinistra svedese, Aron Etzler, autore di un saggio sulle unioni della sinistra in Europa intitolato “Riprendetelo”.
L’analisi delle esperienze condotte nei diversi paesi non porta all’ottimismo; dovunque i partiti, comunisti o no, situati alla sinistra della socialdemocrazia, che hanno fatto parte di governi in questi ultimi anni, hanno subito pesanti perdite elettorali. Questo fatto si è talvolta unito, come in Francia o in Italia, ad una crescita impetuosa della destra populista. Da per tutto si è notato un disinteresse inquietante dei cittadini nei confronti della politica. Da questo a pensare che la soluzione consista nel rifugiarsi in un ruolo di opposizione, di resistenza allo slittamento neoliberale e populista che sta conoscendo l’Europa, non c’è che un passo, che peraltro i partecipanti al dibattito non hanno varcato. “Dall’inizio degli anni ottanta si è assistito ad uno slittamento costante verso la destra, incoraggiato dall’Unione Europea, e bisogna prendere atto che i comunisti ed i social-democratici si sono lasciati trasportare da questa corrente”, ha dichiarato Aron Etzler. “Ora è venuto il momento o di sparire o di condurre una politica di forte offensiva contro il capitalismo”. Traendo le conclusioni Emil Persson ha dichiarato che “la partecipazione o no della sinistra della sinistra” al governo dipende dai rapporti di forza e che questi dipendono meno dal numero di ministri al governo e più dall’esistenza di un movimento sociale attivo ed organizzato che abbia la funzione di sprone per la sinistra stessa. E si è augurato che questa riflessione comune avviata a Stoccolma abbia un seguito.3

Note

1 Il Partito della Sinistra (VP) è “ l’erede ” dello storico Partito comunista svedese, collocatosi negli anni ’70 nel filone “eurocomunista”. Tradizionalmente, negli ultimi decenni, tale partito ha più o meno sempre mantenuto una collocazione parlamentare di sostegno esterno ai governi socialdemocratici. Negli anni ‘80 il partito, non senza un profondo travaglio interno, ha cambiato il suo nome in “Partito della sinistra-comunisti”, per assumere poi, dopo il 1989 e il crollo dei regimi dell’Est, il nome attuale di “Partito della sinistra”, dopo un congresso assai combattuto, in cui tale scelta è passata di strettissima misura.
Oggi in tale partito convivono comunisti, socialdemocratici di sinistra, ecologisti, femministe (come Gudrun Schyman)… ed esso si considera parte di una “Sinistra verde nordica”, assieme all’Alleanza di sinistra finlandese, al Partito socialista popolare danese e al Partito della sinistra socialista di Norvegia : tutti partiti facenti parte o collegati al Gue, il Gruppo parlamentare europeo della “sinistra unitaria” (che include anche Rifondazione comunista e il PdCI, insieme agli altri partiti comunisti dei paesi dell’Unione europea rappresentati nel Parlamento europeo) e che non a caso si definisce “Gue – Sinistra verde nordica” (nota redazionale de l’ernesto).

2 Un settore del partito (dove si riconoscono anche i comunisti che continuano a ritenersi tali) valuta che non si possa parlare di “spostamento a sinistra”, ma più realisticamente di contenimento difensivo di una forte offensiva della destra, con una socialdemocrazia che si è comunque spostata al centro, sia in tema di privatizzazioni e flessibilità del lavoro, sia in politica estera : più filo-americana e filo-israeliana, più incline ad accettare le logiche di guerra, più vicina alla Nato e sempre più lontana da suggestioni pacifiste, neutraliste e di attenzione alle problematiche del sottosviluppo, che in passato avevano fatto della socialdemocrazia svedese (nella fase ad esempio di Olof Palme) una delle componenti più avanzate della socialdemocrazia europea e su cui si erano realizzate in passato convergenze con l’ex Partito comunista. Questo settore del partito ritiene che, il progressivo appannamento dell’identità comunista, anticapitalistica e classista del Partito della Sinistra, il suo essere sempre più percepito come variante un po’ più a sinistra della socialdemocrazia maggioritaria e di governo, che resta più radicata socialmente e organizzata nel tradizionale elettorato operaio e nei sindacati, rispetto ad un Partito della Sinistra più assimilabile a un partito d’opinione dalle forti suggestioni rosso-verdi e radicali (più sentite nella piccola borghesia intellettuale che nella classe operaia), abbia indotto una parte dell’elettorato popolare del VP a preferire il voto alla socialdemocrazia più classica.
Vista anche come “diga” più forte e rassicurante nei confronti del pericolo di una maggioranza e di un governo di centro-destra, secondo dinamiche “bipolarizzanti” e di “voto utile” ormai note. Una problematica questa che, mutatis mutandis, e tutto concesso alla diversità dei contesti nazionali, riguarda anche il dibattito di Rifondazione, dei comunisti e delle sinistre italiane tutte (nota redazionale de l’ernesto).

3 I successivi sviluppi (metà ottobre) delle trattative per la formazione del nuovo governo svedese vedono la riconferma di un governo di soli socialdemocratici, con una maggioranza di programma che, come la precedente, ha il sostegno dei verdi (che avrebbero ottenuto alcune concessioni in materia ambientale) e del Partito della Sinistra che, al pari dei verdi, otterrebbe alcune concessioni programmatiche in politica interna e alcune posizioni di “sottogoverno” (paragonabili ai nostri direttori generali…), ma non ministri. La politica estera è stata considerata dal Partito socialdemocratico come “non trattabile” (prendere o lasciare) e si è fatto capire, soprattutto al VP, che una richiesta di correzione avrebbe reso impossibile ogni accordo di maggioranza. Miracoli del “welfare” in salsa svedese…Meditate gente, meditate! (nota redazionale de l’ernesto).