Elezioni in Germania e Portogallo. Un primo commento

Domenica 27 settembre sia portoghesi che tedeschi si sono recati alle urne per le elezioni politiche. Quello che ne esce fuori è un quadro assolutamente interessante, con una buona affermazione delle forse comuniste e di sinistra anticapitalista. Questo smentisce quindi la tesi secondo cui la crisi delle forze di sinistra (che ha investito e travolto quelle italiane) sia europea. Contemporaneamente si acutizza, invece, la crisi ed il calo di consensi per le forze socialdemocratiche.

In Germania sono stati eletti i membri del 17esimo Bundestag, la camera bassa del Parlamento tedesco. Gli elettori sono 62,2 milioni, di cui 3,5 per la prima volta alle urne, mentre le circoscrizioni elettorali sono 299: il Land più piccolo è quello di Brema con 2 circoscrizioni, quello più esteso è il Nordreno-Westfalia, con 64. Il sistema elettorale in vigore è proporzionale con una soglia di sbarramento al 5%. Dei 598 seggi di cui è composta la camera bassa, una parte viene assegnata col sistema proporzionale e sulla base di liste concorrenti, l’altra viene decisa nei 299 collegi uninominali.

Dal dopoguerra in avanti la Germania è stata governata da alleanze tra i conservatori cristiani della Cdu e i liberali della Fdp, oppure da alleanze tra la Spd ed i liberali, oppure ancora da coalizioni rosso-verdi, con i socialdemocratici appoggiati dai verdi. Negli ultimi 4 anni i due grandi partiti perno del sistema politico, Cdu e Spd, si sono invece coalizzati dando vita alla Grosse Koalition. I quattro anni di questa esperienza sono stati contrassegnati da deludenti risultati elettorali sia per la Cdu che per la Spd. Nelle elezioni regionali la Cdu è arretrata in tutte le consultazioni, pur mantenendo la gran parte dei governi che aveva acquisito, e questo grazie al salasso subito dalla Spd. Tendenzialmente, dalla riunificazione, la Germania ha avuto uno spostamento elettorale determinato dall’Est, dalla crescita della scolarizzazione e dai figli degli immigrati, a vantaggio delle forze progressiste. Generalmente l’Spd è un partito forte tra i giovani, gli operai e i disoccupati; la Cdu tra anziani, pensionati, imprenditori e grazie alla sorella bavarese Csu è il partito di riferimento per cattolici ed agricoltori. I Verdi traggono la loro forza nella fascia più istruita della popolazione, un dato che li accomuna ai liberali della Fdp, rappresentati dei professionisti e dei lavoratori autonomi. La Linke invece è cresciuta grazie alla peculiarità che caratterizza la sua storia. Originariamente traeva forza esclusivamente nei Land orientali ma oggi, grazie all’erosione dell’elettorato socialdemocratico ed al consenso che gli viene tra i senza lavoro e gli operai, è un partito presente in tutta la Germania. A partire dal Nord protestante, dalle zone ad alto tasso di sindacalizzazione (come il bacino della Ruhr) oppure nelle grandi città, tanto nel progressista Nord quanto nel conservatore Sud.

Alla vigilia del voto non era chiaro se la Merkel dovesse ricorrere ancora ad un governo di Grande Coalizione per governare, ma il responso è stato inequivocabile: la Gross Koalition è stata bocciata, a tutto vantaggio per le componenti moderate, mandando il crisi il partito socialdemocratico. La Merkel infatti è riuscita a conservare la Cancelleria, ma con il 33,8% la sua Cdu/Csu è rimasta poco al di sopra del peggior risultato storico del 31%, fatto registrare nel 1949. Ancora più disastroso il risultato del partito socialdemocratico che, con il 23,1% ottiene il peggior risultato storico del dopoguerra, oltre cinque punti sotto il 28,8% portato a casa da Erich Ollenhauer nel 1953. La Linke di Oskar Lafontaine è salita al 12,9% rispetto all’8,7% delle elezioni precedenti ed i Verdi hanno messo a segno il 10,2%, in linea con le previsioni della vigilia e in aumento rispetto all’8,1% del 2005.

Va sottolineato come il risultato importante registrato dalla Linke, forza radicale di sinistra, sia anche il frutto di un processo di radicamento in tutto il paese, ed è un risultato che fa ben sperare anche in Europa. Purché però non si confonda la peculiarità di questo partito, nel contesto specifico della politica tedesca, come un dato esportabile in modo automatico in altri contesti socio-politici. Del resto la Linke è l’espressione di un processo di unificazione di due partiti che avviene all’interno del processo di unificazione di due paesi che, fino a vent’anni fa, erano due Stati “frontiera” di un mondo diviso in blocchi. E non solo i due stati appartenevano a due blocchi contrapposti, ma gli stessi partiti di origine che hanno dato vita alla Linke hanno una storia particolare: basti pensare al fatto che i socialdemocratici dell’Ovest (dove va ricordato che il partito comunista era de facto fuorilegge) rompono con l’Spd per dare vita ad una formazione di sinistra radicale, che partecipa ai movimenti antiglobalizzazione – caso unico in Europa – e che abbraccia la Pds post-comunista dentro un processo vincente (per la Germania) ma certo non esportabile.

A maggior ragione sarebbe sbagliato e scorretto se, seppur in perfetta buona fede, si pensasse di guardare al “modello tedesco” per cercare delle risposte alla crisi del contesto italiano. Non solo per le peculiarità nazionali e per le caratteristiche dei partiti fondatori (Pds e Wasg), a cui abbiamo brevemente accennato. Il punto sta nel fatto che questo partito di sinistra riformista non fornisce alcuna risposta o chiave di interpretazione alla questione comunista, che è invece il tema che in Italia è oggetto – dentro e fuori il Prc ed il Pdci – di discussione e ricerca. Un conto quindi è dar vita ad una fusione di soggetti socialdemocratici di sinistra e post-comunisti e mettere in campo – nel panorama politico e sociale tedesco – ad una forza a sinistra dell’Spd, altro è la problematica della rifondazione di un partito comunista. Che, in un contesto sempre più spostato a destra, ha in questa fase il compito di resistere, accumulare forze e consensi e recuperare un proprio radicamento sociale, evitando così una auto dissoluzione o inutilità e marginalità sociale.

Puoi consultare i risultati delle elezioni tedesche qui:
http://www.bundeswahlleiter.de/en/bundestagswahlen/BTW_BUND_09/ergebnisse/bundesergebnisse/index.html

In Portogallo invece erano circa 9,5 milioni i cittadini chiamati alle urne per eleggere i 230 rappresentanti del parlamento ed il nuovo governo che, innanzitutto, dovrà fare i conti con l’esplosiva situazione sociale: il Portogallo è infatti il paese più povero dell’Europa occidentale, dove si registra il tasso di disoccupazione più alto degli ultimi 20 anni.

Le urne riconfermano il socialista Jose Socrates alla guida del paese, ma all’interno di un’altra sconfitta di un partito socialista che perde la maggioranza assoluta. Importante l’avanzata delle forze a sinistra del Ps con il Blocco di Sinistra (Be) che passa dal 6,4% delle precedenti elezioni politiche al 9,85%, 16 deputati, ed il Partito Comunista Portoghese che passa –assieme ai Verdi nella coalizione Cdu – dal 7,6% al 7,88%, 15 deputati a fronte dei 14 precedenti, 30.000 voti in più. Il Be, ma sopratutto la Cdu, sono stati però vampirizzati nelle urne dagli appelli al voto utile per impedire il ritorno della destra al potere. I sondaggi infatti li davano con un consenso elettorale maggiore. La risalita degli ultimi giorni nei sondaggi del Ps sembra legata anche all’effetto boomerang dello scandalo del presunto spionaggio ai danni del capo dello stato, il conservatore Anibal Cavaco Silva, vicino a Ferreira Leite, candidata dei conservatori. La vicenda, gestita in maniera contraddittoria dal presidente, sembra avere giocato a vantaggio di Socrates.

Non c’è dubbio che la forte esposizione mediatica del Be ha permesso a questa formazione di capitalizzare i voti in uscita dal Ps. Del resto lo stesso profilo politico –di sinistra radicale, ma non sempre antigovernista e di “rottura” col Ps- lo pone in condizione di capitalizzare meglio il voto di chi, storicamente legato al Ps, decide di votare a sinistra come segnale di malcontento per le politiche fin qui adottate. Del resto diversi commentatori della stampa portoghese non escludono la possibilità di un governo che veda la partecipazione del Be, la qualcosa ci pare però –allo stato delle cose- da escludere. Di sicuro Socrates, se darà vita ad un governo di minoranza (di solo Ps), dovrà trovare in parlamento, di volta in volta, alleati che gli permettano di avere una maggioranza stabile. Non a caso le prime dichiarazioni sono tese a lanciare segnali all’elettorato ed ai partiti di sinistra, promettendo una legislatura con riforme sociali e civili paragonabili a quelle “della Spagna di Zapatero”, un chiaro segnale di apertura, quindi, al Be.

Il caso portoghese è assolutamente interessante. Non solo perché c’è una fascia di elettorato che vota, al 18% a sinistra del Partito Socialista, ma perché l’avanzata complessiva e simultanea delle forze dei sinistra (Pcp e Be) avviene senza pasticci, diluizioni o minacce all’autonomia e all’identità dei diversi soggetti in campo. Anzi avviene in un contesto che, seppur caratterizzato da una oggettiva competizione elettorale, vede una interessante capacità di tenuta delle forze tradizionalmente organizzate e la capacità di intercettare quelle in uscita dalla crisi della socialdemocrazia. Il che sposta quindi complessivamente più a sinistra il baricentro politico del paese. Sarebbe del tutto normale, in una fase di riflusso come questa e con una campagna internazionale contro il comunismo –basti pensare alle risoluzioni votate dai vari parlamenti nazionali ed in ambito europeo-, che le forze comuniste venissero penalizzate a scapito di formazioni di sinistra. Eppure il risultato del Pcp smentisce questa tendenza e queste previsioni. La tenuta di consensi elettorali dimostra infatti che un partito organizzato, presente tra il popolo e nelle lotte e rappresentante di un pezzo reale della società, riesce a mantenere il suo consenso anche in una fase di arretramento e difficoltà come questa. Anche nella società portoghese c’è una fascia mobile di elettorato, non fidelizzato, in fuga dal Ps e la capacità del Bloco, unito ad una sovraesposizione mediatica oggettiva, a tutto svantaggio del Pcp, descritto come partito “vetero”, ha permesso di intercettare quel malcontento. Ma la tenuta dei consensi elettorali in termini assoluti da parte del Pcp, una tenuta che oramai dura da 20 anni e che quindi non ha una natura episodica, è il segno di una capacità di resistenza e di rinnovamento, in grado di attirare nuove forze ed energie tra le giovani generazioni.

Per i risultati elettorali consulta: http://jn.sapo.pt/eleicoes/legislativas2009/

I risultati delle precedenti consultazioni li puoi trovare qui:
http://www.parlamento.pt/DeputadoGP/Paginas/resultadoseleitorais.aspx

Anche in questo caso, paragoni e trasposizioni con il “caso italiano” sarebbero sbagliati e fuorvianti. Pur tuttavia, a differenza del caso tedesco, un insegnamento possiamo trarlo. E cioè che la crescita delle forze comuniste e della così detta sinistra di alternativa è possibile anche in un paese dell’Europa occidentale, in questa fase storica e che di fronte alla crisi che investe la politica (e che si vede nel tasso di astensionismo sempre crescente) e la socialdemocrazia, c’è spazio per “un’altra politica”. Ma proprio il caso portoghese mette in mostra due aspetti:

1) Che è del tutto infondata la tesi di una irrilevanza storica per un partito comunista, in questa parte del mondo ed in questa fase. La crescita del Pcp (e non è certo l’unico caso in Europa), dimostra invece che lo spazio per una forza comunista che sia espressione conseguente di una politica “di rottura e cambiamento” –come recita lo slogan elettorale della Cdu- quindi di una politica antisistemica, esiste. E sta anche alla volontà delle comuniste e dei comunisti percorrerla, sapendo ovviamente fare i conti con una società profondamente cambiata e con un contesto sociale e politico che si sposta sempre più a destra. La questione comunista, quindi, non è archiviata “dalla storia e dalle sconfitte” ed i partiti comunisti non sono affatto destinati ineluttabilmente al declino.

2) Che è possibile far convivere un progetto comunista e la costruzione di un partito rivoluzionario, accanto a quello di una forza di sinistra. Quello che non si può fare è commettere l’errore di pensare che una soluzione ibrida (ambigua sulla questione comunista, ma non dichiaratamente “oltrista”) sia in grado contemporaneamente di organizzare un pezzo radicale della società (che esiste e spesso non ha rappresentanza politica) o di intercettare un voto più moderato in uscita dalla socialdemocrazia e dalla sua crisi di rappresentatività e politica.

Siamo convinti quindi che ogni paese, ed ogni forza politica, abbia le proprie caratteristiche che è giusto comprendere e rispettare e che non esistono modelli. A maggior ragione modelli validi per il “caso italiano” la cui peculiarità (e la cui crisi delle forze comuniste) ha radici specifiche e profonde, che andrebbero indagate con meno superficialità ed ambiguità. Non esistono altre strade che non quelle della ricerca. In questo, le elezioni di domenica scorsa, forniscono spunti interessanti per avviare, tra i comunisti di questo paese, una riflessione comune. Per queste ragioni chiediamo che chiunque lavori ed abbia a cuore la ricostruzione di una forza comunista, rivoluzionaria, che respinga ogni suggestione socialdemocratizzante, governista ed adattativa avvii una riflessione seria su queste tematiche, convinti che, rimuovendo il problema, si perpetui negli errori che ci hanno portati alla crisi che, impietosamente, stiamo vivendo.