Dopo la NEP la modernizzazione socialista

“Le leggi della loro attività sociale,
che sino allora stavano di fronte agli uomini
come leggi di natura estranee e che li dominavano,
vengono ora applicate dagli uomini
con piena cognizione di causa e quindi dominate”
F. Engels, “Antiduhring”

E’ difficile riprendere le fila di un discorso sull’ esperienza del socialismo realizzato in tempi di oscurantismo culturale, di “liquidazionismo” della gloriosa storia del movimento operaio, socialista e comunista del XX° secolo; in una fase in cui si sta realizzando un vero e proprio “apartheid politico e culturale” contro il pensiero marxista, arrivando addirittura al punto di proclamare la fuoriuscita delle teorie marxiane dalla “cittadinanza” scientifica ed accademica. Siamo in presenza di un tentativo volto ad attuare un progetto di annientamento dell’identità marxista nel suo insieme a partire dalla stessa appartenenza delle teorie marxiane, e con essa degli studiosi marxisti, alla scienza. Certo il marxismo non ha le caratteristiche tipiche delle cosiddette “scienze borghesi”, il marxismo interpreta le leggi delle scienze naturali, sociali ed economiche come un aspetto concreto, reale e indipendente dalla volontà dei singoli uomini, aspetti strettamente connessi alle relazioni, ai rapporti di forza tra le classi in quel determinato periodo storico. E ciò è ancora più vero per le leggi dello sviluppo economico. Sostiene Engels nel suo Antiduhring che con il superamento del capitalismo e l’abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione, passata questa in mano ai lavoratori porterà loro la libertà dal giogo delle rivelazioni economico-sociali, perché avranno così preso coscienza delle leggi oggettive, applicandole in piena coscienza nell’interesse di tutta la società.
È per questo che compito di uno studioso marxista, categoria alla quale mi onoro di appartenere, è quello di riaffermare con forza il punto di vista di classe e la validità e attualità del pensiero di Marx e della sua attuazione pratica. Si può così riprendere un dibattito in positivo e non soltanto attuare un’operazione politica e culturale dei marxisti in termini difensivi; lanciando, in definitiva, una vera e propria “offensiva” scientifica, ideologica, culturale che sappia riappropriarsi con forza, anche se con elementi di critica ma sempre in positivo, della teoria marxiana, della nostra storia, della storia dei comunisti, delle esperienze del socialismo realizzato, di quelle dei movimenti di liberazione, del movimento operaio, analizzando e studiando oggettivamente tutto ciò che nel mondo i comunisti hanno saputo realizzare in termini di opposizione al capitalismo e di costruzione anche delle democrazie occidentali, migliorando le condizioni di vita materiali e culturali di tutti i lavoratori.
Mi sembra allora importante, per rispondere alle giuste sollecitazioni editoriali dei compagni dell’Ernesto, riprendere il dibattito anche per capire la validità del modello di socialismo realizzato in Unione Sovietica. A tal fine è allora indispensabile analizzare il passaggio che, alla fine degli anni ’20, Stalin ha voluto per imporre al paese la strada della modernizzazione socialista.
Voglio inizialmente ricordare che la NEP fu interpretata dal partito come un arretramento ideologico prima che materiale, e tale rifiuto venne espresso soprattutto dalla base. La grande carestia del 1921-22 fu probabilmente uno degli effetti non tanto e non solo del cosiddetto “comunismo di guerra”, quanto la causa dell’accerchiamento ideologico ed economico che l’imperialismo, nelle sue diverse modalità e dimensioni, impose nei confronti dell’Unione Sovietica. Nel 1921 venne introdotto il pagamento in grano, la tassa in natura, anticipando così l’avvento delle tasse in moneta nel momento in cui il rublo si fosse riequilibrato in maniera stabile; nel 1922 l’esplosione della domanda di prodotti agricoli porta a forti aumenti dei prezzi, ma i contadini non accettano di comprare poiché non soddisfatti dei beni industriali loro offerti. Se, come Lenin dichiarò, erano solo i contadini che potevano portare avanti una campagna per la sopravvivenza e difendere la rivoluzione socialista in Russia, era altrettanto vero che la disoccupazione aumentava diminuendo fortemente il peso del lavoro operaio.
Nel 1923 la situazione muta, i trust aziendali impongono la fissazione dei prezzi, l’industria viene riorganizzata secondo i principi classici del commercio e della produzione su basi capitalistiche con forti compressioni salariali. Trockij e i suoi sostenitori firmano la cosiddetta “Piattaforma dei 46” e addossano la colpa della cosiddetta “crisi delle forbici” (l’andamento tendenziale dei prezzi agricoli e industriali) alla inefficienza e incompetenza del Comitato Centrale.
Effettivamente l’URSS è ancora in ritardo nella sua economia, e in particolare l’industria pesante occupava un ruolo assolutamente secon dario così come carente era l’assetto complessivo del commercio estero e dei servizi; non era aumentata significativamente la produttività, non realizzando l’attesa rapida ascesa dell’agricoltura. Ciò anche perché l’unica industria che fu in qualche modo sostenuta dalla NEP era quella leggera. È solo nel 1924 che il rapporto tra prezzi dei beni agricoli e quelli industriali ritorna approssimativamente ai livelli antecedenti la prima guerra mondiale e riparte il commercio estero con una buona propensione alle esportazioni. Ma la crisi e il ritardo dell’URSS continuano, tanto che nel 1927 forti si fanno le voci di un diretto intervento economico straniero. Molti trust industriali falliscono e l’industria in genere, in particolare quella pesante, subisce una crisi senza precedenti; solo nel 1928 si raggiunge il livello della produzione in URSS pari a quello precedente la grande guerra.
È così che Stalin nel 1928, in base a considerazioni sia economiche ma soprattutto politiche, comincia il superamento della politica della NEP, affrontando la questione della rottura con i tecnici e gli esperti, cioè con gli specialisti borghesi, non accettando neppure la posizione di Bucharin sulla cosiddetta “modernizzazione graduale”, che di fatto significava proseguire la politica della NEP. Si cerca la strada di una gigantesca opera di modernizzazione socialista, con un piano di industrializzazione rapida e con un’agricoltura basata sui Kolchoz e i Sovchoz (le grandi imprese agricole collettive). Stalin giustamente sceglie di puntare sull’industria pesante, sulla collettivizzazione nelle campagne, anche per poter far fronte alle innumerevoli cospirazioni diversificate e su vasta scala e alle continue minacce di intervento non solo militare ma soprattutto sul piano economico che il capitale straniero aveva sferrato e attuato.
L’idea della pianificazione economica era già presente all’inizio degli anni ’20, ma è proprio nel dicembre del 1929, in concomitanza della grande depressione dei paesi a capitalismo avanzato, che Stalin decise di mettere in pratica un’economia fortemente regolata da strumenti scientifici, in modo da garantire uno sviluppo equilibrato e moderno nell’interesse generale del popolo sovietico e del socialismo. Nasce così il Primo Piano Quinquenna- le studiato già nel 1926 dal Gosplan (Comitato statale per la Pianificazione) e dal Consiglio Supremo dell’economia nazionale, per il periodo 1 ottobre 1928 – 31 dicem bre 1932. Proprio mentre è in atto la più grande crisi che il capitalismo abbia attraversato, il Primo Piano prevede un’espansione economica mai realizzata in quell’epoca in nessuna parte del mondo. Era previsto un incremento della produzione industriale del 180%, quella dell’impiantistica del 230%, quella agricola del 55%; l’incremento del reddito nazionale doveva essere del 103%, con un aumento dei redditi operai del 71%, dei contadini del 67% e con un aumento generale della produttività del lavoro del 110%.
È su tali obiettivi che si può leggere il primato della politica su ogni considerazione di ordine economico; è ovvio che la realizzazione di tali obiettivi presuppone condizioni che non potevano essere in mano e determinate da Stalin e dai bolscevichi (come ad esempio buone condizioni climatiche per un raccolto abbondante, una situazione internazionale stabile e tranquilla, in modo da poter contenere le spese militari, miglioramento degli scambi con l’estero, con la contestuale riduzione dei costi di produzione).
Queste sono invece le condizioni macroeconomiche internazionali che Stalin non poteva controllare né tanto meno determinare.
Da dati presenti in E. Zalescki (“Stalinist planning for economic growth”, 1933-1952, London Macmillan 1980) risulta che l’industria pesante è quella che ha raggiunto i risultati più soddisfacenti, superando largamente, secondo le stime ufficiali sovietiche e anche quelle di varie fonti occidentali, quanto programmato, mentre i beni di consumo, la cosiddetta industria leggera, aveva raggiunto solo l’80% di quanto previsto nel Piano quinquennale. Era ovvio che i risultati nell’agricoltura fossero inferiori alle previsioni, anche perché molti contadini costituirono la nuova forza-lavoro operaia nella città, annullando di fatto il tasso di disoccupazione; viene inoltre realizzato un monte-salari addirittura del 144% (salario medio) rispetto a quanto previsto dal Piano quinquennale. La produzione industriale fu più alta di quella pianificata, anche se la produttività del lavoro fu di quasi un terzo più bassa del previsto. Il programma di investimenti fu completato soltanto per il 54% di quanto previsto e portato a termine nel 1934-35 con un forte rinnovo dell’impiantistica; ciò fu dovuto anche al fatto che si dovette far fronte con molte risorse agli scarsi raccolti del ’32 che provocarono la carestia del 1933. Anche successivamente Stalin terrà sempre conto della stretta relazione fra produzione industriale e produzione agricola: “Questo sistema (cioè la “smercantilizzazione” o “scambio dei prodotti”) richiederà un gigantesco aumento della produzione fornita dalla città alla campagna; perciò dovrà essere introdotto senza una fretta particolare, nella misura che si accumulano i prodotti della città (…) Questo sistema, restringendo il campo d’azione della circolazione mercantile, favorirà il passaggio dal socialismo al comunismo (…)
Questo sarà appunto un mezzo concreto e decisivo per elevare la proprietà colcosiana al livello di proprietà di tutto il popolo nelle nostre attuali condizioni” (Stalin: Risposta ai compagni A.V. Sanina e V.C. Vensger”, 1952).
In definitiva, se alcuni risultati del Primo Piano non furono del tutto raggiunti, anche e soprattutto per fattori politici e macroeconomici esterni collegati oltre che all’attacco politico ed economico sull’ Unione Sovietica ma anche alla congiuntura internazionale, rimane comunque il fatto che il Primo Piano Quinquennale porta alla ribalta l’Unione Sovietica come grande potenza mondiale, indipendente da un punto di vista tecnologico e capace di realizzare impiantistica, industria meccanica, industria chimica, industria metallurgica e automobilistica e anche beni di consumo. Il tutto non solo modifica l’organizzazione economica dell’URSS, ma ha un’imponente effetto di coesione sull’intera società sovietica.
Per concludere, mi sembrano, in questo caso particolarmente appropriate le parole di Stalin in Problemi economici del socialismo in URSS :
“Una delle particolarità dell’economia politica sta nel fatto che le sue leggi, a differenza delle leggi delle scienze naturali, non sono eterne, che esse, o per lo meno la maggior parte di esse, vigono nel corso di un determinato periodo storico, dopo di che cedono il posto a leggi nuove. Ma esse, queste leggi, non si distruggono; bensì perdono la loro forza a causa delle nuove condizioni economiche e scompaiono dalla scena per lasciare il posto a nuove leggi, che non si creano per volontà degli uomini, ma sorgono sulla base di nuove condizioni economiche(…) Si dice che le leggi economiche rivestano un carattere elementare, che le azioni di queste leggi siano irreparabili, che la società sia impotente di fronte ad esse. Ciò non è vero.
Questo significa fare delle leggi dei feticci, rendersi schiavi delle leggi. È provato che la società non è impotente di fronte alle leggi, che la società può, dopo aver conosciuto le leggi economiche e basandosi su di esse, limitare la sfera della loro azione, utilizzarle nell’interesse della società e “mettere loro il morso”, come succede per quanto riguarda le forze della natura e le loro leggi, come succede nell’esempio dato sopra dello straripamento dei grandi fiumi”.
Quindi, come sosterrà sempre Stalin “Non si tratta di studiare l’economia, ma di trasformarla; non siamo legati da nessuna legge; non ci sono fortezze che i bolscevichi non possano conquistare: sono gli uomini a risolvere il problema dei tempi!”. Un passo definitivo sulla strada della costruzione del socialismo era stato certamente fatto!
È per questo che il marxismo è una scienza vera e completa al servizio dell’umanità, perché vuole leggere ed interpretare i fenomeni sociali, politici ed economici, le loro tendenze per trasformarle in movimento capace di superare radicalmente lo stato presente delle cose.

Riferimenti bibliografici

Carr E.H., La rivoluzione russa. Da Lenin a Stalin, (1917-1929), Torino, Einaudi, 1980
Mc. Cauley M., Stalin e lo stalinismo, Bologna, Il Mulino, 2000
Mongili A., Stalin e l’impero sovietico, Firenze, Giunti ed.,1995
Nove A., Storia economica dell’Unione Sovietica, Torino, UTET, 1970
Stalin G., Opere scelte, Milano, ed. Movimento studentesco s.r.l., 1973.
Zalescki E., Stalinist planning for economic growth, 1933-1952, London Macmillan 1980