Dal documento del 22° Congresso del Partito Comunista Giapponese

Il nostro punto di vista sul XX secolo

Noi ci troviamo sulla soglia di un nuovo secolo, il XXI, e in questa fase di passaggio è per noi importante comprendere le dinamiche storiche e sviluppare una nostra idea generale circa il futuro.
Il Programma del Partito Comunista Giapponese (PCG) sottolinea quanto segue: “Con l’avvento del XX secolo, il capitalismo mondiale è entrato nella fase monopolistica e imperialistica di sviluppo. Nel corso del secolo, le richieste di pace su scala mondiale, di autodeterminazione nazionale e di progresso sociale sono senza dubbio avanzate, nonostante i numerosi elementi di regressione e torsione”.
I movimenti popolari per il progresso e la trasformazione sociale hanno sviluppato quale obiettivo prioritario, sia nei paesi a capitalismo avanzato sia in quelli in via di sviluppo, la costruzione delle condizioni per determinare la sconfitta del governo reazionario del capitalismo monopolistico e dell’imperialismo al fine di salvaguardare gli interessi della maggioranza della popolazione.
Se questo è il contesto, non è possibile non richiamare “numerosi elementi di regressione e torsione”: le due guerre mondiali causate dalla strategia imperialista di espansione territoriale hanno richiesto sacrifici umani senza precedenti, mentre le atrocità commesse dal fascismo, sotto la guida di Giappone, Germania e Italia, hanno lasciato una profonda ferita nel XX secolo. Allo stesso modo, l’apparizione di armi nucleari, che hanno distrutto Hiroshima e Nagasaki, minaccia ancora oggi la sopravvivenza stessa dell’umanità. La rivoluzione socialista di Russia, che nelle sue prime fasi di sviluppo ha determinato un grande impulso al progresso sociale nel mondo, in un secondo tempo ha prodotto grandi danni, nel momento in cui l’Unione Sovietica, sotto la guida di Stalin, ha perseguito l’obiettivo dell’egemonia nelle relazioni internazionali e il dispotismo nel paese, elementi questi che non hanno nulla in comune con il socialismo.
Nonostante questi elementi di regressione, i popoli in molti paesi hanno intrapreso battaglie importanti, sfidando i fattori avversi e contribuendo in questo modo al progresso storico nel XX secolo.

Democrazia e diritti umani. Il XX secolo si è caratterizzato in generale per il passaggio graduale dai sistemi di governo monarchici a quelli democratico-repubblicani. Attualmente, la maggioranza dei paesi che compongono le Nazioni Unite adotta il sistema di governo repubblicano a partire dal principio che la sovranità risiede nel popolo e, contemporaneamente, sono stati prodotti avanzamenti epocali in materia di protezione dei diritti umani. Questo, non solamente dal punto di vista dei diritti politici, ma anche di quelli sociali: il diritto all’esistenza, al lavoro, all’uguaglianza per le donne e all’educazione. I diritti sociali hanno trovato una formulazione a livello internazionale nella “Dichiarazione Universale dei Diritti Umani”(1948), nelle “Convenzioni Internazionali dei Diritti Umani” (1966), nella “Convenzione per l’Eliminazione di Tutte le Forme di Discriminazione contro le Donne” (1985) e nella “Convenzione per i Diritti del Bambino” (1944).

Indipendenza Nazionale. Diversi stati nazionali, oppressi come colonie da parte di un ristretto numero di grandi potenze, sono stati protagonisti di una dura lotta per il raggiungimento dell’indipendenza e dell’autodeterminazione. Se dopo la Seconda Guerra Mondiale, il sistema coloniale è entrato in una fase di collasso su scala mondiale, oggi i paesi in via di sviluppo, pur se indipendenti dal punto di vista formale, stanno ancora lottando per una indipendenza sostanziale, tanto dal punto di vista economico quanto politico, dando vita a un processo di non-allineamento e neutralità; in questo modo, essi stanno acquisendo sempre maggiore forza, elemento questo che è destinato ad incidere sulle dinamiche in atto a livello internazionale. In questo contesto, l’Asia è divenuta il nuovo battistrada nella lotta per il raggiungimento dell’indipendenza e dell’autodeterminazione.

Pace. Dopo due guerre mondiali, sono stati fatti maggiori progressi in direzione della pace: se nei primi anni del XX secolo la guerra è stata riconosciuta come un diritto legittimo degli stati, già nel 1919 i Regolamenti della Lega delle Nazioni hanno tentato di disciplinare questa materia e nel 1928 la Convenzione contro la Guerra di Parigi contiene una messa al bando complessiva delle guerre. Così la Carta delle Nazioni Unite, approvata nel 1945 al termine della Seconda Guerra Mondiale, ha proibito l’uso della forza o anche, semplicemente, la minaccia stessa di utilizzo della forza. Tutto questo dimostra la crescente volontà a livello internazionale di contrastare la guerra. E, da questo punto di vista, l’Articolo 9 della Costituzione Giapponese costituisce il risultato più avanzato di questi sforzi, del quale andiamo orgogliosi.

Meccanismi di regolazione del capitalismo. Nel XIX secolo veniva generalmente praticato il capitalismo “laissez-faire”, mentre la ”economia di mercato senza vincoli” ha gradualmente perduto la propria centralità nel corso del XX, fino a divenire per certi versi irrilevante. I movimenti popolari, facendo uso di tutta la propria forza, hanno elaborato diversi metodi per controllare gli eccessi del capitalismo monopolistico, a partire, ad esempio, da alcuni meccanismi di disciplina delle ore di lavoro, introdotti, grazie alle lotte operaie, in Gran Bretagna ed in alcuni altri paesi sviluppati già a partire dalla seconda metà del XIX secolo. Una volta estese su scala mondiale, tali limitazioni hanno raggiunto ulteriori avanzamenti nel corso del XX secolo. La Russia rivoluzionaria, sorta grazie alla Rivoluzione d’Ottobre, ha proclamato la giornata lavorativa di 8 ore e questa rivendicazione è divenuta un elemento trainante per la costituzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, che ha introdotto la giornata lavorativa di 8 ore nella sua prima risoluzione.
Nel corso del XX secolo, poi, ha avuto luogo un altro importante cambiamento: l’intervento dello stato, fin dall’epoca del primo conflitto mondiale, come elemento di regolazione dei processi economici a sostegno degli interessi legati al capitalismo monopolistico. Esso si è fortificato durante la ripresa che ha fatto seguito alla Grande Depressione del 1929 ed è maturato ulteriormente dopo la Seconda Guerra Mondiale. Il capitalismo monopolistico di stato è servito per rafforzare l’oppressione a danno dei lavoratori, ma allo stesso tempo ha mostrato chiaramente che gli elementi di regolazione sociale della produzione e della distribuzione costituiscono una necessità imprescindibile.

Socialismo. Nel 1917 è esploso in Russia il primo processo rivoluzionario volto alla trasformazione del sistema socio-economico e politico nella direzione del socialismo. Questo processo rivoluzionario ha cominciato ad incamminarsi lungo la via della ricerca dell’egemonia e del dispotismo quando Stalin ne è divenuto la guida, terminando con il collasso dell’Unione Sovietica nel 1991. Nonostante questo, i risultati che la Rivoluzione Russa ha strappato in ambiti quali l’indipendenza nazionale, la pace e i diritti dei lavoratori non possono essere cancellati dalla storia ed è anche grazie ad essa se oggi un quarto della popolazione mondiale vive in paesi dove il sistema capitalistico non è egemone.

Fase storica e dinamiche opposte

Se tutto questo rappresenta il processo storico fondamentale che si è sviluppato a livello mondiale nel corso del XX secolo, il Giappone, dove il XX secolo è stato un periodo di enormi cambiamenti, nonha fatto eccezione: il regime politico prebellico, nel quale il potere sovrano risiedeva nell’imperatore, è stato sostituito da una democrazia nella quale è il popolo ad essere sovrano. Il popolo giapponese, che si era visto privato di tutti i basilari diritti sotto il precedente governo dispotico, ha vinto la propria battaglia.
Nel corso dei 78 anni dalla sua fondazione, il PCG, nonostante alcune difficoltà, si è opposto con fermezza alle guerre di aggressione e schierato a sostegno della sovranità popolare, dell’indipendenza nazionale, della democrazia, di migliori condizioni di vita, dell’uguaglianza per le donne e contro ogni forma di egemonismo. Il PCG, unendosi alle masse popolari in lotta, ha dimostrato tutto il proprio valore quale elemento trainante del processo storico sopra richiamato. Per questo dobbiamo essere orgogliosi della nostra storia.
Noi ci troviamo di fronte anche ad una dinamica opposta al progresso sociale guidata dagli Stati Uniti, un sistema di dominazione globale costituito da alleanze militari, corporazioni multinazionali e capitale finanziario internazionale. Questo sistema ha minacciato i diritti umani e la democrazia in molti paesi; ha prima ostacolato e poi soppresso i movimenti di indipendenza nazionale; ha imposto l’egemonia attraverso l’uso della forza militare, grazie anche al monopolio di alcuni paesi sulle armi nucleari; ha privilegiato la ricerca di profitti su scala globale da parte delle corporazioni multinazionali e del capitale finanziario in nome dell’economia di mercato come soluzione di tutti i mali. Il Partito Liberal Democratico Giapponese ha sempre accettato e sostenuto le politiche statunitensi volte a potenziare queste dinamiche negative.
Dato il contesto storico che ha caratterizzato il XX secolo, ad ogni buon conto, risulta del tutto evidente che tali processi negativi non possono continuare ad esistere nel XXI, dove il nostro futuro sarà migliore e i desideri dei popoli realizzati. Il PCG sarà in testa nello sforzo per accelerare questo processo storico.[…]

Due ordini mondiali a confronto: interventismo e aggressione o pace

1) L’anno passato, sono state approvate le Leggi sulla Guerra nel contesto dell’attuazione delle Linee Guida per la Cooperazione Difensiva Giappone-Stati Uniti all’interno del Trattato di Sicurezza nippo-statunitense e, contemporaneamente, la Nato ha adottato una Nuova Concezione Strategica. Queste due misure hanno determinato il rischio di un nuovo interventismo da parte delle due alleanze militari guidate dagli Usa.
Primo, queste alleanze militari hanno superato la dimensione originaria della difesa comune contro eventuali attacchi per trasformarsi apertamente in alleanze di intervento militare, all’interno delle quali i singoli componenti rimangono schiacciati.
Sulla base dell’Articolo 6 del Trattato per la Sicurezza Giappone-Usa, il nostro paese è tenuto a concedere l’utilizzo delle basi militari alle forze di Washington che operano ufficialmente per la pace e la sicurezza internazionali nell’Estremo Oriente, mentre le operazioni militari congiunte sono limitate ad azioni nel contesto di eventuali attacchi armati contro il Giappone (Articolo 5). Ma le Linee Guida e le Leggi sulla Guerra hanno aperto la possibilità per il Giappone di essere coinvolto in guerre di intervento insieme alle forze Usa in risposta a “particolari esigenze nelle aree che circondano il Giappone, anche se quest’ultimo non si trova sotto attacco”.
Se l’obiettivo iniziale della Nato era la comune difesa in caso di attacchi armati sferrati contro ciascun dei paesi membri (Articolo 5), ora la Nuova Concezione Strategica consente alla Nato di avviare operazioni militari congiunte di intervento nelle singole aree di crisi regionali all’interno del continente euro-atlantico e nelle zone circostanti, anche se nessuno dei paesi membri è stato fatto oggetto di attacchi. La campagna di bombardamenti aerei contro la Jugoslavia dell’anno passato costituisce il primo banco di prova di questa nuova strategia.
Secondo, esiste ormai una prassi quasi consolidata in base alla quale l’alleanza militare guidata dagli Usa potrebbe realizzare attacchi armati contro paesi terzi anche senza l’autorizzazione delle Nazioni Unite. A metà degli anni ’90, gli Usa hanno chiarito di voler utilizzare l’Onu solamente quando fosse loro conveniente, nel contesto di una strategia generale volta a rendersi sempre più autonomi per poter decidere unilateralmente eventuali azioni militari. Gli attacchi del 1996 contro l’Iraq, del 1998 contro Afghanistan e Sudan, e ancora contro l’Iraq del 1998-1999, uniti ai bombardamenti aerei contro la Jugoslavia, sono stati decisi ignorando le Nazioni Unite.
Alla Dieta, il PCG ha chiesto al governo se le Linee Guida e le Leggi sulla Guerra potranno essere utilizzate anche nel caso in cui le forze Usa fossero impegnate in operazioni militari illegali ed il governo, da questo punto di vista, non ha detto “no”. Quando la Nato era sul punto di adottare la Nuova Concezione Strategica, alcuni funzionari del governo Usa hanno sottolineato pubblicamente la non sottomissione di questa alleanza militare al comando Onu. Virtualmente, secondo questa dichiarazione, la Nato potrà continuare ad agire prescindendo dall’Onu. Questo cambiamento strutturale all’interno delle alleanze militari rovescia completamente l’ordinamento per la pace mondiale stabilito nella Carta delle Nazioni Unite, fondato principalmente sulla non-ingerenza negli affari interni, sul non utilizzo della forza senza una preventiva autorizzazione dell’Onu e su un’azione militare unilaterale volta solamente a respingere in chiave difensiva eventuali attacchi. Il rischio è che questo cambiamento rafforzi un’egemonia degli Usa svincolata dall’Onu come nuovo principio costitutivo dell’ordine mondiale. Noi dobbiamo capire che questa è la minaccia più grande alla pace mondiale nel XXI secolo.
2) E’ importante notare, a tal proposito, che l’egemonismo e l’interventismo sono largamente isolati all’interno di quell’opinione pubblica mondiale che si richiama alla democrazia. I bombardamenti aerei contro la Jugoslavia sono stati compiuti in nome di un “intervento umanitario”. Questa azione è stata talmente oltraggiosa, da essere sottoposta a critica da parte di ampi settori dell’opinione pubblica internazionale.
Nel settembre 1999, i paesi non-allineati, che rappresentano una schiacciante maggioranza della popolazione mondiale, hanno respinto fermamente il cosiddetto diritto all’intervento umanitario, sostenendo che esso non è basato né sulla Carta dell’Onu né sui principi generali del diritto internazionale. Nello stesso mese, la delegazione del PCG in visita nei paesi del sud-est asiatico ha potuto verificare una comune opposizione all’egemonismo e interventismo statunitensi, che si mascherano dietro un “umanitarismo” di copertura. Nell’Assemblea Generale dell’Onu, i bombardamenti aerei contro la Jugoslavia sono stati severamente criticati da Cina e Russia, mentre anche alcuni paesi Nato, incluse Francia e Germania, hanno espresso preoccupazioni e sostenuto la non riproducibilità di una simile esperienza. Un rapporto recentemente pubblicato dal Comitato per gli Affari Esteri della Camera dei Comuni britannica è stato costretto ad ammettere, pur sostenendo l’azione Nato, che la campagna di bombardamenti aerei è stata realizzata in violazione della carta dell’Onu.
A partire dal collasso dell’Unione Sovietica, la strategia degli Usa su scala mondiale è stata quella di imporre sfacciatamente sanzioni economiche e militari unilaterali nei confronti di quei paesi definiti “canaglia”, vale a dire quelli che non si sottomettono all’egemonia Usa.
Di più, nell’applicazione delle sanzioni contro Cuba, Libia e Iraq, gli Stati Uniti hanno anche preteso un’uniformità di atteggiamento da parte dei propri alleati, arrivando al punto di penalizzare quei paesi e quelle compagnie che si mostravano riluttanti. Ma questo elemento ha solamente favorito l’emergere di contraddizioni e contrasti tra gli Usa ed i loro alleati. In seguito all’incontro tra Corea del Nord e del Sud, la prima, che era stata classificata dagli Usa come “stato canaglia”, ha cominciato a partecipare al processo di pace come una delle due parti coinvolte, e questo costituisce senza dubbio un significativo cambiamento.
In tali circostanze, il governo statunitense è stato costretto ad abbandonare ufficialmente il concetto di “stati canaglia”, sostituendolo con il termine generale di “stati preoccupanti”, anche se questo non significa affatto che gli Usa abbiano abbandonato la dottrina dell’egemonia e dell’interferenza. Questo episodio indica, ad ogni buon conto, che questa strategia globale è stretta tra contraddizioni crescenti.
Due ordini internazionali in conflitto tra loro si stanno dunque scontrando rispetto a quello che dovrà essere il mondo nel XXI secolo.
Uno è un ordinamento di guerra ed oppressione conforme alla politica di dominazione tirannica degli Usa; l’altro è un ordine di pace all’interno della Carta dell’Onu. Il genere umano si trova di fronte ad una scelta tra questi due ordini. I tentativi di rovesciare la processualità storica caratteristica del XX secolo volta a rendere illegale la guerra non avranno successo. Noi siamo determinati a produrre ogni sforzo possibile per estendere la solidarietà internazionale in vista della costruzione di un ordine mondiale pacifico.

Le armi nucleari

1) Negli anni recenti, sono stati prodotti a livello internazionale significativi progressi verso l’abolizione degli armamenti nucleari.
Gli Stati Uniti ed altri paesi possessori di questi sistemi d’arma sono stati protagonisti di un atto di forza nel 1995, dilazionando l’applicazione del Trattato sulla Non Proliferazione delle Armi Nucleari (NPT). Contrariamente a quanto si potesse presumere, diverse contraddizioni si stanno allargando all’interno del sistema discriminatorio dell’NPT, dal momento che solo un manipolo di paesi rispetto alla stragrande maggioranza sono autorizzati a possedere armi nucleari. Le sperimentazioni nucleari da parte di India e Pakistan nel 1998 hanno dimostrato l’incapacità da parte del regime monopolistico nucleare di prevenire, con la ragione o la morale, la proliferazione di questi sistemi d’arma ed oggi il mondo si trova di fronte ad una scelta tra la riproduzione degli attuali e contraddittori equilibri e il movimento per l’abolizione di tali armamenti.
La dichiarazione finale delle Conferenza per la Revisione del NPT, comprendente i paesi sottoscrittori del Trattato, contiene “un impegno senza equivoci da parte degli stati possessori di armamenti nucleari a portarne a termine la totale eliminazione dai loro arsenali” (maggio 2000).
E’ interessante sottolineare che la conferenza ha raggiunto un accordo annullando una posizione, sostenuta soprattutto dagli Usa, favorevole alla “eliminazione in ultima istanza degli armamenti nucleari”, vale a dire un rinvio temporalmente indefinito. I paesi non-allineati, insieme alla Coalizione per una Nuova Agenda, organizzazione che racchiude un gruppo di paesi in lotta per l’eliminazione delle armi nucleari, hanno sostenuto che la totale messa al bando di queste armi costituisce un obbligo ed una priorità, non lo scopo finale, cogliendo il cuore del problema. Alla fine, gli Stati Uniti, per timore di rimanere isolati a causa delle crescenti critiche internazionali, sono stati obbligati ad accettare la rimozione del termine “in ultima istanza”.. Gli avvenimenti dimostrano che l’obiettivo dell’abolizione degli armamenti nucleari è un compito urgente, costantemente perseguito dal movimento antinucleare giapponese, oltre ad essere divenuto un punto di discussione fermo a livello di opinione pubblica e movimenti internazionali. Questa è una conquista storica, che dimostra anche la possibilità di porre le basi per l’abolizione delle armi nucleari nel corso del XXI secolo ed accrescere la diplomazia basata sulla ragione e sul rafforzamento dei movimenti popolari.
2) Certamente, il contrasto relativo alla scelta tra l’abolizione o la continuazione del monopolio degli armamenti nucleari non è terminata. Per rendere effettivo quanto contenuto nel documento, le misure previste per il disarmo nucleare devono essere sostanziate da una proposta definita tanto rispetto alla dimensione temporale quanto ai passi concreti che devono essere intrapresi.
Gli Stati Uniti, nel contempo, sono impegnati nel tentativo di mantenere la propria superiorità assoluta a livello di armamenti nucleari, così come nel mantenere la propria dottrina del colpire per primi. Quest’ultima è strettamente connessa ai progetti NMD (Difesa Missilistica Nazionale) e TMD (Difesa Missilistica Generale) che, se realizzati, dovrebbero essere in grado di neutralizzare i missili nemici, rafforzando in questo modo la strategia egemonica statunitense. Gli Usa non hanno ratificato il CTBT (Trattato per la reciproca messa al bando dei test nucleari) e continuano nel percorso di sviluppo e miglioramento del loro arsenale nucleare attraverso ripetuti esperimenti, condizione che sta provocando critiche e preoccupazioni non solamente da parte dell’opinione pubblica internazionale, ma anche delle altre potenze nucleari e degli alleati Usa.
L’atteggiamento del governo giapponese, il solo paese ad essere stato bombardato con bombe A, è su questo singolare. Se fino a pochi anni or sono esso si è astenuto dal votare nell’Assemblea Generale dell’Onu le risoluzioni dei paesi non-allineati relative all’abolizione degli armamenti nucleari in tempi definiti e limitati, alla Conferenza per la Revisione del NPT ha tentato di sostenere sfacciatamente la tesi del “disarmo nucleare come ultima istanza”. Questa è un’ulteriore dimostrazione dell’incapacità mostrata dal governo guidato dal Partito Liberal Democratico di trovare una via per uscire dallo stallo e di unirsi al movimento per il disarmo nucleare.
E’ sempre più importante per i governi nazionali e locali, per le organizzazioni non-governative e per i movimenti pacifisti la comune collaborazione per rafforzare il movimento con lo scopo comune di abolire gli armamenti nucleari. A questo fine, il movimento giapponese, con la sua storia ormai cinquantennale, è chiamato ad accrescere i propri sforzi per sconfiggere la politica pro-nucleare del governo di Tokyo.

Confronto tra due concezioni relative della “globalizzazione” economica

1) Come dovrebbe essere identificata e valutata la crescente globalizzazione dell’economia? Questo costituisce un argomento di importanza significativa rispetto agli equilibri mondiali nel XXI secolo.
L’internazionalizzazione del commercio e la speculazione valutaria, oltre al mercato, costituiscono una caratteristica peculiare del sistema economico capitalistico. Il problema attuale risiede nel tipo di ordinamento economico che sta avanzando sotto il nome di “globalizzazione”, incardinato sulla smisurata ricerca del profitto da parte degli Usa, delle altre corporazioni multinazionali e del capitale finanziario internazionale. Di conseguenza, il capitalismo nella sua fase di sviluppo globalizzata evidenzia crescenti contraddizioni al proprio interno che potrebbero minacciarne l’esistenza stessa.

Crescente divario tra ricchezza e povertà. Nel Rapporto sullo Sviluppo Umano del 1999, il Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP) ha evidenziato che la disuguaglianza di reddito e di condizioni di vita nel mondo è cresciuta fino a livelli insostenibili; lo scarto di reddito tra 1/5 della popolazione che vive nelle nazioni più ricche e 1/5 di quella che vive nei paesi più poveri è cresciuto dal 30:1 del 1960 al 60:1 del 1990, fino al 74:1 del 1997; i beni dei tre individui più ricchi del mondo uniti tra loro superano il totale del PNL di tutte le nazioni più piccole in via di sviluppo e dei loro popoli uniti. Oltre a questo, si è determinata una crescente disparità di reddito anche all’interno dei paesi dell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Svilppo in Europa) a partire dagli anni ’80.

Processi monopolistici su scala internazionale. I processi di fusione ed acquisizione stanno accelerando la formazione di oligopoli. Il primo ministro della Malaysia, Mohamad Mahathir, ha sottolineato che quanto sta avvenendo come conseguenza della globalizzazione è un tentativo da parte di poche, gigantesche corporazioni, ubicate soprattutto nei paesi occidentali, di monopolizzare l’intera economia mondiale. Egli ha sostenuto che, se questo tentativo avrà succcesso, nel prossimo futuro sopravviveranno solamente cinque banche, fabbriche automobilistiche, compagnie di distribuzione e catene di alberghi e che questi soggetti sono destinati a dominare l’economia mondiale. I sistemi produttivi e commerciali di medie dimensioni saranno assorbiti da gigantesche corporazioni. Questo è il mondo sognato dai grandi capitalisti.

Speculazioni finanziarie. In anni recenti, si sono verificati flussi esterni di capitali speculativi nei singoli paesi, che hanno portato a svalutazioni delle valute nazionali e distruzione delle economie locali. I responsabili principali della crisi finanziaria verificatasi in Asia tra il 1997 e il 1999 sono stati i gruppi di affari speculativi concentrati in fondi di copertura come anche il capitale finanziario internazionale. Mentre l’ammontare complessivo delle esportazioni mondiali annue di merci è 5,3 trilioni di dollari, quello delle transazioni di cambio è 325 trilioni di dollari e, di conseguenza, l’ammontare del valore di quattro giorni di scambio corrisponde a quello dell’esportazione annuale di beni. Queste cifre dimostrano quanto siano cresciuti gli affari finanziari e speculativi rispetto all’economia reale.

2) Fino ad ora, gli Stati Uniti (insieme agli altri paesi componenti del G7) hanno utilizzato le istituzioni internazionali come il FMI (Fondo Monetario Internazionale), la Banca Mondiale, OCSE e OMC (Organizzazione Mondiale del Commercio, WTO) come uno strumento per imporre la globalizzazione economica a proprio esclusivo vantaggio. Ad ogni modo, tali pratiche stanno creando contrasti con le economie nazionali, attirando critiche dal mondo interno e, di conseguenza, questa modalità di condurre gli affari si trova sul punto del fallimento.
A partire dalla crisi economica messicana nel 1982, il FMI ha adottato la cosiddetta politica degli aggiustamenti strutturali, che consiste nell’imposizione ai singoli paesi di politiche fondate sull’austerità finanziaria e la deregolamentazione, in cambio di finanziamenti di emergenza, nonostante il conseguente peggioramento delle condizioni di vita della gente e la perdita della sovranità in materia di sviluppo economico. La stessa impostazione politica è stata utilizzata durante le crisi economiche in Russia ed Asia, dove il piano del FMI ha assestato un duro colpo alle economie e ai popoli che lo hanno subito. E si è dimostrato oltretutto fallimentare in diverse parti del mondo. Nel sud-est asiatico e in Malaysia esso è stato respinto in pieno e questi paesi hanno ottenuto successi nell’autonoma ricostruzione di una propria economia, come ammesso dagli stessi funzionari del FMI.
Le contraddizioni interne alla OMC si stanno puntualmente allargando: la Conferenza svoltasi a Seattle nel novembre 1999 non è stata in grado di raggiungere alcun accordo. La maggiore causa del fallimento è stato l’atteggiamento oltraggioso tenuto dagli Usa nel tentativo di imporre la priorità assoluta degli interessi commerciali delle proprie corporazioni multinazionali nel campo dei diritti di proprietà agricola e culturale, elemento questo che ha determinato uno scontro non solamente con i paesi in via di sviluppo, ma anche con quelli sviluppati. Un influente quotidiano europeo ha descritto questo avvenimento come una vittoria dei paesi poveri e dei movimenti dei cittadini. E’ chiaro che l’egemonia economica degli Usa trova sempre maggiori opposizioni nel mondo.
3) Al centro delle contraddizioni determinatesi come conseguenza della “globalizzazione”, vi è un movimento crescente che rivendica la creazione di una sovranità economica nazionale e un nuovo ordine economico internazionale basato sull’uguaglianza di tutte le nazioni.
Lo scorso aprile, il Gruppo dei 77 (che comprende 133 paesi in via di sviluppo) ha tenuto il Summit del Sud, la cui “Dichiarazione” ha sollecitato la comunità internazionale a stabilire relazioni economiche basate sull’equità e l’uguaglianza ed ha posto particolare enfasi sulla necessità di rovesciare la divaricazione tra poveri e ricchi all’interno di ciascun paese e tra le nazioni. Queste sono le ragioni che hanno portato il Summit a confermare un ampio accordo in modo da affrontare collettivamente la globalizzazione dell’economia.
Le rappresentanze Onu non stanno solamente condannando gli effetti negativi della globalizzazione, ma stanno altresì sottolineando la necessità di regolamentare a livello internazionale le corporazioni multinazionali ed il capitale finanziario. Il rapporto elaborato dal Programma di Sviluppo nel 1999 ha evidenziato la necessità di unire gli sforzi per costruire una struttura socio-economica a livello globale in grado di proteggere i deboli e limitare i forti. Il rapporto della Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo nel 1999 ha richiamato i governi nazionali ad assumere misure in grado di assicurare che le corporazioni multinazionali non causassero danni all’ambiente, o danneggiassero gli interessi nazionali e le prospettive delle piccole imprese interne.
I ministri delle finanze ed i governatori delle banche centrali del Gruppo dei Sette (G-7) si sono trovati costretti a valutare la possibilità di regolare gruppi di investimento speculativo, quali i fondi di copertura. Persino alcuni funzionari del FMI hanno cominciato a rivendicare sforzi per risolvere il problema della povertà. Tutto questo dimostra che anche i sostenitori della globalizzazione si stanno rendendo conto del fatto che le contraddizioni emergenti e continuamente crescenti possono minacciare lo stesso capitalismo su scala mondiale. Da qui la richiesta di regole democratiche su scala internazionale. In particolare, si rende urgente e necessario cacciare gli speculatori dalle transazioni di capitale internazionale e procedere ad una riforma democratica del FMI e del WTO.

Solidarietà internazionale: nuova richiesta e sviluppo. Il mondo di oggi esprime un forte richiamo alla solidarietà internazionale e alla cooperazione su quei problemi che hanno bisogno di urgenti soluzioni, quali la battaglia per un ordine internazionale di pace basato sulla Carta dell’Onu, la lotta per ottenere l’immediata eliminazione degli armamenti nucleari, e quella per un nuovo ordinamento economico internazionale.
Il PCG produrrà il massimo sforzo possibile nel tentativo di agevolare rapporti diplomatici e scambi internazionali per la causa della pace mondiale e del progresso sociale.
Nei suoi rapporti con partiti politici stranieri, il PCG svilupperà scambi e relazioni di amicizia con diverse forze politiche, anche non omogenee dal punto di vista ideologico. Noi ci rapporteremo con qualsiasi partito, sia esso di governo o di opposizione, nel momento in cui valuteremo interessante l’apertura di reciproche relazioni. Partendo dai nostri tre punti di principio, vale a dire l’indipendenza sovrana, uguali diritti e la reciproca non interferenza negli affari interni, noi scambieremo opinioni e uniremo gli sforzi ovunque possibile. […]

La costruzione del partito: verso i 500.000 iscritti

Il tesseramento costituisce il perno per la costruzione di un partito più forte. Questo presuppone che le attività del partito, quali le risposte alle esigenze delle masse popolari, le campagne politiche esterne e quelle elettorali, le attività nelle assemblee locali e nel giornale del partito, si possono realizzare grazie al lavoro militante di coloro che volontariamente hanno aderito al PCG.
Il lavoro per rendere più grande e forte questo pilastro della costruzione del partito richiede uno sforzo incessante di lungo periodo. Ad ogni modo, per circa un decennio, a partire dalla metà degli anni ’80, lo sforzo consapevole per il rafforzamento della nostra struttura organizzata è venuto meno, elemento questo che va ad aggiungersi ad un declino più generale del partito nel suo complesso. A partire dal 20° Congresso del PCG del 1994, questo sforzo è stato ripreso e da allora diversi progressi sono stati fatti, anche se ci troviamo solamente nella fase iniziale. La lentezza del processo ha indebolito la vitalità del partito, causando difficoltà ed ostacoli nel raggiungimento di buoni risultati nelle diverse attività. Risulta particolarmente preoccupante il fatto che il partito manifesti le proprie maggiori debolezze strutturali tra i giovani e gli studenti. Nei luoghi di produzione, diverse cellule stanno lottando per sopravvivere causa l’incapacità a coinvolgere nuove forze, mentre molte altre evidenziano difficoltà nella diffusione di Akahata e nella raccolta di sottoscrizioni causa l’età elevata dei componenti.
Il 22° Congresso richiede al partito di approntare un “piano quinquennale per accrescere il numero di iscritti al PCG” con l’obiettivo di raggiungere i 500.000 e di impegnarsi in uno sforzo sistematico in quella direzione.
Tutte le strutture locali del partito dovrebbero lavorare per raggiungere i propri obiettivi in materia di reclutamento di nuovi iscritti rispetto alla percentuale della popolazione nelle località, nei luoghi di lavoro e nelle scuole. Una lezione comune impartita dalle organizzazioni che hanno avuto successo in questo duro lavoro è stata la consapevolezza dell’obiettivo politico, vale a dire del coinvolgimento dei diversi compagni nei luoghi di lavoro, nelle località e nelle scuole attraverso una discussione su “quale tipo di partito abbiamo bisogno per rispondere ai bisogni della comunità” oppure su “quale tipo di struttura vogliamo creare per sviluppare il movimento di lotta nei luoghi di lavoro”.. Sulla base di questi elementi di discussione politica, essi hanno lavorato con coscienza su un obiettivo realistico e un relativo piano di reclutamento di nuovi membri.
Il PCG non possiede una presenza organizzata nel 10,8% delle municipalità.. Allo stesso modo, non esistono organizzazioni di partito in un grande numero di luoghi di lavoro e di scuole. Il superamento di queste carenze costituisce il primo compito che il partito sta affrontando per rafforzare nell’intero paese il movimento a sostegno del governo democratico. I nostri organismi dirigenti e le strutture di base devono elaborare un piano per costruire una presenza diretta del partito in tutte le località, oltre al reclutamento di nuovi componenti.
L’Articolo 8 della bozza del nuovo Statuto del PCG recita testualmente: “Una organizzazione di partito, anelando alla propria crescita dimensionale, dovrebbe assegnare la priorità alla cura dei nuovi iscritti attraverso il lavoro formativo, in modo tale da agevolare il processo di apprendimento delle nozioni basilari necessarie alla partecipazione alle diverse attività in qualità di iscritti al partito, includendo in questo contesto il Programma e lo Statuto del PCG”. Questo è lo spirito che dovrebbe guidare l’approccio del partito rispetto ai nuovi iscritti.[…]

La qualità nel lavoro di partito. Per fare del nostro partito una forza politica sempre più in grado di partecipare al potere politico a partire dai primi anni del XXI secolo, tutti i suoi componenti sono chiamati, per prima cosa, a mostrarsi in grado di discutere proficuamente del programma, della storia e della linea politica del PCG, ciascuno con le proprie parole ed attitudini personali.
La base per raggiungere questo obiettivo è data dalla capacità del partito di trasformarsi in un soggetto all’interno del quale tutti i suoi componenti abbiano pienamente assimilato le decisioni assunte dal Congresso e dalle sessioni plenarie del Comitato Centrale, elaborate collettivamente, a partire dall’attuazione della linea politica del partito. La percentuale di iscritti che ha letto integralmente i documenti del 21° Congresso è del 55%, mentre quella di coloro che hanno letto le decisioni di ogni sessione plenaria del CC si aggira tra il 30 ed il 40%. Noi dobbiamo aumentare drasticamente queste percentuali… Tre sono le aree dove rafforzare lo studio degli iscritti: 1) completa assimilazione dei nodi relativi alla storia del partito; 2) studio dell’attuale linea politica del partito; 3) studio della teoria del socialismo scientifico. […]

Convinti dell’ineluttabilità di un futuro socialista

Nel XXI secolo verranno a maturazione le condizioni per il superamento del capitalismo e per la costruzione di un nuovo sistema.
1) Nell’elaborazione dei piani immediati per un “nuovo Giappone”, il PCG ha posto particolare enfasi sugli sforzi per costruire una democrazia partecipata, pur se all’interno di una struttura capitalistica, nella quale il popolo possa svolgere un ruolo chiave in ogni campo.
Allo stesso tempo, il PCG non ritiene il capitalismo un regime economico permanente: mentre stiamo realizzando ogni sforzo per determinare i necessari cambiamenti, noi abbiamo una grande immagine futura di un mondo e di un Giappone non confinati all’interno della struttura capitalistica. Noi ci sforziamo di realizzare una società socialista, che costituisce la nostra idealità e che determini una cesura con il sistema capitalistico.
2) Il secolo XXI costituirà un’epoca nella quale il popolo sarà chiamato a decidere se il capitalismo sia o meno compatibile con lo sviluppo su scala globale.
Il corso degli eventi che hanno caratterizzato il XX secolo ha preparato la strada alla creazione di un nuovo sistema, fondato sull’avanzamento della vera democrazia, l’indipendenza nazionale e la pace mondiale, elementi che costituiranno un potente trampolino per l’umanità verso un nuovo sistema sociale. Le diverse forme di intervento e di regolazione dell’economia introdotte nel corso dello sviluppo capitalistico costituiranno un importante elemento a disposizione della nuova società, unito ad un ulteriore sviluppo delle forze di produzione.
L’attuale assetto mondiale del capitalismo rivela grandi contraddizioni e limiti: l’alto tasso di disoccupazione senza precedenti, la sempre più ampia divaricazione dei redditi, ricchezza e povertà, i rapporti Nord-Sud del mondo, la devastazione ambientale e le speculazioni finanziarie sono la logica conseguenza a livello mondiale di un sistema incardinato sul profitto. La lode del capitalismo vittorioso ha attraversato il mondo all’epoca della disgregazione dell’Unione Sovietica e dei regimi dell’Europa Orientale. Oggi, però, questo argomento non regge più alla prova dei fatti: analisti di diversi orientamenti cominciano a porsi questioni fondamentali quali “è il capitalismo compatibile con la democrazia?” oppure “è la coesistenza pacifica possibile con il capitalismo?”.
Ponete rapidamente lo sguardo alle possibilità di miglioramento sociale nel XXI secolo e vi convincerete che il nuovo secolo vedrà le condizioni mature per porre le basi di una transizione verso un nuovo sistema socio-economico, destinato a scalzare il capitalismo su scala mondiale.
3) L’Asia è divenuta un importante centro dei nuovi movimenti per la pace ed il progresso sociale. Allo stesso tempo, essa si caratterizza come la maggiore vittima del sistema incentrato sul profitto. La popolazione dell’Asia costituisce il 55% di quella mondiale e questa percentuale è in crescita: anche per questo essa diventerà una regione molto importante per la causa del progresso sociale e per l’avanzamento verso il socialismo.
Il Giappone è uno dei paesi a capitalismo avanzato all’interno del G7, ma esso si trova anche in una posizione subordinata rispetto agli Stati Uniti ed alle proprie maggiori corporazioni, servendo gli interessi delle quali si creano anomalie e distorsioni all’interno della società.. Se il Giappone cominciasse a correggere tali anomalie attraverso cambiamenti democratici nella direzione del progresso sociale, questo elemento avrebbe grande influenza sugli equilibri dell’Asia e del mondo intero.

Il Partito Comunista Giapponese e il socialismo

Il Programma del partito non fornisce una descrizione dettagliata di un futuro Giappone socialista, per il semplice fatto che la realizzazione dei compiti immediati relativi ad un cambiamento democratico all’interno della struttura capitalistica costituisce il solo contesto nel quale sarà possibile plasmare una nuova fase dello sviluppo sociale giapponese che abbia come base di partenza quelle che sono le nostre esperienze.
1) Noi non siamo disposti a tollerare alcuna soppressione dei diritti umani da parte di un sistema politico e socio-economico sul modello sovietico, che utilizza la definizione di “socialismo” solamente come copertura. A tal proposito, il Programma del PCG sottolinea che: “Il collasso del regime in Unione Sovietica e nei consimili paesi dell’Europa Orientale non segna il fallimento del socialismo scientifico, ma la bancarotta dell’idea di egemonismo, burocratismo e dispotismo che ha deviato da esso. Al principio della fase rivoluzionaria, questi paesi anelavano al socialismo come fine supremo, ma causa l’errata impostazione delle rispettive classi dirigenti, essi si sono sgretolati prima di poter raggiungere una sostanziale società socialista. Da un punto di vista ampio di analisi, la fine del danno storico colossale determinato dall’egemonismo sovietico ha aperto nuove possibilità per un sano sviluppo del movimento rivoluzionario mondiale”.
Il nostro partito ha raggiunto questa conclusione come risultato della propria ferma posizione a sostegno dell’indipendenza nazionale e della propria trentennale battaglia contro l’egemonismo sovietico. La posizione del PCG di non accettazione della tirannia insita in una società impostata sul modello sovietico, fortemente limitante anche rispetto ai diritti umani, è basata su quegli elementi di analisi che anche la storia ha confermato.
2) Il vero socialismo al quale anelare è quello che assumerà per poi sviluppare ulteriormente gli apprezzabili risultati ottenuti in tutti i campi (economico, politico e socio-culturale) durante l’epoca capitalistica. In particolare, sarà nostro dovere tentare di sviluppare ulteriormente la libertà e la democrazia in ogni campo. A tal proposito, il Programma del partito stabilisce che: “i miglioramenti ottenuti dal popolo giapponese in materia di libertà e democrazia saranno ulteriormente approfonditi, arricchiti e sviluppati in tre ambiti: libertà civile e politica, libertà di esistenza e libertà nazionale”.
Anche se la società ha sviluppato la propria economia e forza produttiva attraverso l’aumento della ricchezza materiale, non è possibile assicurare alcun progresso sociale senza la piena realizzazione delle libertà umane e della democrazia, elementi che costituiscono dei veri e propri parametri in base ai quali misurare passi in avanti o arretramenti del progresso storico e sociale. Il PCG si colloca stabilmente su una posizione volta a favorire l’avanzamento della libertà e della democrazia, non permettendo alcun arretramento rispetto alle conquiste fino ad ora ottenute.
3) Per quanto concerne una nuova società da crearsi in seguito al superamento del capitalismo, noi ipotizziamo un modello in cui “sia abolito lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo”.
Nello sforzo volto al raggiungimento del cambiamento a livello strutturale, noi stiamo tentando di imporre una democrazia sul piano economico, nel tentativo di proteggere gli interessi delle masse popolari dalla tirannia delle grandi corporazioni, attente alla sola realizzazione del profitto. Se tali cambiamenti avranno successo nello spronare le grandi corporazioni ad adempiere alle proprie responsabilità sociali, ciò contribuirà ad un miglioramento nelle condizioni di vita delle masse popolari.
Ma tali cambiamenti economici non saranno sufficienti ad eliminare le contraddizioni emerse all’interno del sistema capitalistico incardinato sul profitto, quali lo sfruttamento, la disoccupazione, la divaricazione tra ricchi e poveri, la depressione, l’utilizzo sconsiderato delle risorse e la rovina dell’ambiente. Per risolvere queste contraddizioni sarà necessario superare il principio del profitto e muovere verso una società socialista e un sistema sociale nel quale l’obiettivo immediato dell’attività economica sia il miglioramento delle condizioni di vita delle masse. Questa costituisce una richiesta che ci viene dalla storia. Il programma del PCG esprime anche la convinzione che “una società caratterizzata da relazioni davvero uguali e libere tra gli individui” potrà essere costruita solamente come risultato di una concezione del futuro seperata dalla logica del profitto.
Il nome “Partito Comunista Giapponese” incarna l’indomita lotta dei nostri predecessori nei giorni prebellici contro la guerra di aggressione e per la creazione del principio che il potere sovrano risiede nel popolo, come stabilito anche dalla Costituzione. Esso esprime anche la nostra volontà di operare nella direzione della costruzione graduale di una società futura senza rassegnarci a vivere nella fase di sviluppo capitalistico. Il nome di Partito Comunista Giapponese rappresenta altresì la nostra posizione che si poggia sulle responsabilità rispetto al passato, al presente ed al futuro.
Nessun paese a capitalismo avanzato ha mai imboccato la via della transizione al socialismo: questo costituisce un terreno di nuova esplorazione e sforzo mai intrapresi dal genere umano. Noi entreremo nel XXI secolo tenendo alta la bandiera del Partito Comunista Giapponese e producendo il massimo sforzo per realizzare il nostro obiettivo immediato, vale a dire il raggiungimento di “cambiamenti democratici all’interno della struttura capitalistica”, pur ipotizzando la costruzione di una società ideale nella quale gli esseri umani siano i maggiori protagonisti.