Cuba, Bush e l’Europa

Ogni volta che l’attualità impone di riflettere su eventi inquietanti come la tortura inferta da un esercito vincitore sui poveri cristi battuti, ti domandi perché, in questi frangenti desolanti, non solo i governi hanno taciuto, eluso, nascosto, ma anche perché buona parte dei mezzi di informazione hanno tentennato, girato la testa da un’altra parte, e molte volte ignorato, come se le azioni scellerate compiute da chi detiene il potere debbano avere per forza una giustificazione, e non essere rifiutate, anche se compiute in nome di presunti valori della nostra civiltà [quale?] o del nostro credo.
In questi giorni, per esempio, è inquietante constatare come ad una stretta feroce decisa dagli Stati Uniti per affogare, annientare definitivamente Cuba e il suo modo di essere e governarsi, non sia corrisposta non dico una indignazione, una dichiarazione di rifiuto di questi metodi assolutamente incuranti del diritto di autodeterminazione dei popoli [sarebbe chiedere troppo a un mondo ormai abituato a leccare i piedi di chi è più forte], ma almeno il dovere di informare su questa preoccupante deriva del diritto internazionale.
Il governo di George Bush jr, evidentemente per motivi di risarcimento elettorale a chi, come gli anticastristi della Florida, gli aveva fatto vincere le elezioni contro Al Gore in maniera rocambolesca e probabilmente illegale, ha dato il via, ai primi di maggio, ad una serie di provvedimenti che non solo infrangono o ignorano i diritti di Cuba, ma di molti altri paesi e degli stessi cittadini degli Stati Uniti. Le misure, ha detto il presidente, hanno l’obiettivo di accelerare il giorno in cui Cuba sarà libera.
Successivamente il piano è stato spiegato, senza alcuna remora, da Roger Noriega, sottosegretario di stato degli affari dell’emisfero occidentale e uno dei promotori, qualche anno fa, sotto Clinton, della legge Helms-Burton, un vero manuale della più sfacciata ingerenza nella vita di un altro paese e di assoluto spregio delle libertà politiche e commerciali di tutti i paesi desiderosi di avere rapporti con Cuba. In 450 pagine divise in sei capitoli, il manuale proposto al governo da una fantomatica “Commissione d’aiuto a una Cuba libera” identifica come compiti strategici per riuscire ad abbattere il governo cubano: l’incremento dell’appoggio alla controrivoluzione interna, l’aumento delle campagne internazionali contro Cuba, l’inasprimento delle azioni eversive e della disinformazione sull’isola, l’adozione di nuove misure per dannegiare l’economia cubana e “colpire alla radice i piani di successione del regime”.
In un mondo normale che non vivesse di opportunismo e avesse ancora uno straccio di morale politica, ce ne sarebbe abbastanza per una sollevazione di tutti coloro che rispettano il diritto di un popolo a scegliere come vivere, come governarsi e perfino come morire. Ma questo atteggiamento, che ha a che fare con la parola legalità, non interessa più, almeno in Italia, a molte delle forze che una volta si definivano di sinistra, e nemmeno a quelle cosiddette libertarie, tipo i radicali, che per bocca del presidente del gruppo al Parlamento Europeo, Maurizio Turco, invece di allarmarsi per le nuove misure decise dal governo di Washington e che porteranno ulteriore sofferenza, indigenza, insicurezza a migliaia e migliaia di cubani, ha trasmesso un appello urgente ai presidenti del Consiglio e della Commissione Europea sottoscritta da 124 eurodeputati che chiede “l’invio urgente, prima della fine della legislatura, di una delegazione nelle carceri dove sono detenuti i condannati nel processo sommario del 10 aprile 2003”. Ai radicali che, per esempio, non si sono mai interessati dei 12mila prigionieri politici del Perù, o dei 200 cittadini messicani scomparsi nell’ultimo anno negli uffici di polizia di quella repubblica, o delle 1500 esecuzioni ogni sei mesi compiute dai paramilitari colombiani di Carlos Castaño e Salvatore Mancuso, complici del governo Uribe, non frega nulla che, come pubblicato da autorevoli mezzi d’informazione nordamericani, Cuba, nella primavera del 2003 sia stata vittima di una stratagia, portata avanti dal nuovo incaricato d’affari nordamericani James Cason, che aveva prodotto quattro dirottamenti aerei in due settimane e il sequestro del ferry boat di Regla [nella Baia dell’Avana], sicuramente non opera di semplici “dissidenti” [veri o falsi che fossero] ma di persone ingaggiate, a migliaia di dollari, per svolgere un lavoro sporco di destabilizzazione. Questa evidenza non giustifica certo la durissima reazione del governo dell’Avana [tre fucilazioni, dopo aver rispettato, al contrario degli Stati Uniti, per quattro anni la moratoria sulla pena di morte], ma spiega il contesto e da dove nasce la tensione e il pericolo.
James Cason, per dar vita alle operazioni sopracitate e creare una opposizione consistente nell’isola, aveva avuto in dotazione più di 53 milioni di dollari, come è stato recentemente rivelato dagli stessi media nordamericani. Cosa succederebbe non dico negli Stati Uniti [dove al primo dirottamento di un aereo scatterebbe lo stato d’assedio, e al secondo si andrebbe a bombardare lo stato organizzatore di queste azioni], ma in Europa, in Italia, se succedesse qualcosa di simile. Che iniziative sarebbero prese se si scoprissero un giorno prove così esplicite che il governo di un certo paese sta tentando di abbattere, per esempio, con sequestri e intimidazioni, il governo Berlusconi?
Il progetto messo in atto il 6 maggioda Bush jr è molto più di questo, ma ai radicali, come a molti membri dell’Internazionale socialista che a Bruxelles non hanno avuto nessun problema a incontrare proprio l’inquietante presidente colombiano Uribe, questa realtà non scalfisce neanche un poco la famosa sensibilità democratica.
Non parliamo poi dell’informazione, che ha completamente ignorato la notizia della nuova campagna contro Cuba dell’attuale amministrazione nordamericana, stigmatizzata non solo da studiosi seri come Noam Chomsky o Wayne Smith, ma perfino da quasi tutti i leaders della dissidenza cubana, quelli autentici e quelli contraffatti. Gli autonominati Reporters Sans Frontières, per i quali l’Onu recentemente ha iniziato un processo di espulsione del ruolo di entità consultiva per “atti incompatibili con i principi e gli obiettivi della Carta delle Nazioni Unite” a causa il loro lavoro non sempre trasparente e non sempre da giornalisti riguardo a Cuba, hanno ignorato l’iniziativa eversiva degli Stati Uniti, così come avevano fatto, nel loro rapporto annuale, riguardo alle imprese compiute dal governo Bush nel 2003. Non hanno invece perso tempo nel richiedere in Italia un incontro urgente con Marco Tronchetti Provera [presidente del consiglio di amministrazione di Telecom Italia], che controlla il 29,3% del capitale di ETECSA, l’unico provider internet di Cuba. Per i Reporter Sans Frontiére, attenti all’esigenza di comunicazione dei dissidenti dell’isola, sarebbe forse un sogno lasciare incomunicata tutta la repubblica di Cuba? Quando dei giornalisti arrivano a un grado così alto di doppia morale, è chiaro che non fanno più il loro mestiere, eppure, se avessero ancora rispetto per questo lavoro, dovrebbero, se non allarmarsi, almeno essere interessati al fatto che, per esempio, l’ufficio di interessi Usa all’Avana avrà altri 59 milioni di dollari, nei prossimi due anni, per finanziare azioni tese alla distruzione della rivoluzione o a creare un “fondo internazionale per lo sviluppo della società civile a Cuba”. O per appoggiare quelli che chiamano “sforzi in favore nella democrazia dei giovani, delle donne e dei cubani di origine africana”, che, come i sagaci cronisti di questa associazione sanno bene, erano molto tutelati all’epoca in cui, prima della rivoluzione, gli Stati Uniti avevano a Cuba, come proconsoli, padrini di razza come Vito Genovese, Frank Costello e Lucky Luciano. E lo sono ancor di più in tutte le isole dei Caraibi dove non c’è il socialismo, come Haiti, Santo Domingo, Giamaica, o in quei paradisi come qualità della vita che sono Honduras, Nicaragua, Salvador, Guatemala. Non sono tuttavia le campagne pubbliche contro Cuba all’estero [che il governo di Washington, con 5 milioni di dollari di budget ha chiesto di incrementare, promettendo il cash], o il lavoro di delegittimazione, ripreso con più veemenza dentro l’isola, a spaventare chi ha a cuore i destini finali del paese.
La limitazione del permesso di effettuare rimesse o di inviare pacchi da parte dei parenti residenti negli Stati Uniti, la riduzione delle possibilità di viaggiare per vedere i propri parenti, limitata, ora, a una volta ogni tre anni, la diminuzione della quantità di denaro che i cubani residenti negli Usa possono portare durante le loro visite nell’isola [da 164 a 50 dollari al giorno], sono queste le preoccupazioni maggiori perchè hanno a che fare con il possibile deterioramento della vita quotidiana dei 12 milioni di cittadini. E, per decreto, sono considerati parenti autorizzati a viaggiare a Cuba solo mogli, figli o nonni, che si potranno vedere, però, come detto, solo una volta ogni tre anni. Sono cancellati per sempre zie, cugini, eventuali bisnonni. Non mancano le realtà grottesche: le rimesse e i pacchi non possono essere spediti a parenti che siano funzionari del governo o anche solo membri del partito comunista. E poiché, per scelta sincera o per conformismo, la maggior parte dei cittadini di Cuba è iscritta al partito, in teoria nessuno più riceverà aiuti dai familiari che hanno scelto il capitalismo.
Sono state reiterate anche la minacce di sanzioni per investitori stranieri che hanno interessi nell’isola, mentre il progetto prevede di neutralizzare tutte le società cubane in qualunque settore merceologico che hanno attività economica all’estero. C’è da mettersi a ridere, se tutto questo non fosse stato controfirmato dal presidente degli Stati Uniti George W. Bush.

(Dall’editoriale di Gianni Minà apparso su Latinoamerica n. 86-87,in vendita nelle librerie Feltrinelli e anche on line sul sito www.giannimina-latinoamerica.it Pubblichiamo con l’autorizzazione e il lavoro di sintesi dello stesso autore).