Croazia: fine di una dittatura

Le elezioni legislative del 3 gennaio 2000 hanno radicalmente modificato il quadro politico della Croazia, paese chiave per gli equilibri geostrategici dell’intera penisola balcanica. Da una parte, la pesante sconfitta subita dalla Comunità Democratica Croata (HDZ, ferma al 22% dei consensi), partito-stato fondato dal defunto presidente Tudjman, ha evitato il rischio di un’ulteriore deriva neofascista, mentre, dall’altra, la vittoria della “Coalizione Democratica” (57% dei voti), ampiamente sostenuta da Stati Uniti ed Unione Europea, potrebbe risultare funzionale ad un nuovo processo di penetrazione imperialista in Croazia. A tal proposito, non va dimenticato il sostegno incondizionato fornito dal presidente socialdemocratico Ivica Racan, ora primo ministro designato, alla guerra di aggressione della Nato contro la Repubblica Federale Jugoslava. Per contrastare la decennale egemonia politica dell’HDZ, promotore col sostegno occidentale della secessione della Croazia dalla Jugoslavia socialista nel 1991, protagonista delle atrocità in Bosnia e contro i serbi di Croazia e cardine di un regime totalitario, corrotto e revanscista che ha portato il paese sull’orlo del tracollo economico e sociale, sei partiti di opposizione si sono coalizzati secondo la formula 2+4. Da una parte, i due partiti egemoni, Socialdemocratico e Social-Liberale; dall’altra i centristi Partito Croato dei Contadini, Partito Popolare Croato, Partito Liberale e Dieta Istriana. Se si eccettua il collegio della diaspora (croati dell’Erzegovina), dove tiene l’HDZ e avanza la destra neo-ustascia, l’opposizione ha vinto ovunque. A sinistra del “fronte democratico” si è presentato con propri candidati il Partito Socialista Operaio di Croazia (SRP), guidato dal compagno Stipe Suvar, già Presidente della Lega dei Comunisti Jugoslavi e uno dei più stretti collaboratori di Tito. Al primo turno delle elezioni presidenziali (24 gennaio), la coalizione democratica si è presentata divisa, con Drazen Budisa, sostenuto da socialdemocratici e social-liberali, e Stipe Mesic, ultimo presidente della Jugoslavia socialista e capo del governo della Croazia secessionista, sostenuto dai quattro partiti centristi. Nonostante questo, il candidato dell’HDZ, Mate Granic, è uscito sconfitto (22,46%) insieme al populista di destra Slaven Letica. Il ballottaggio del 7 febbraio ha visto trionfare Mesic con oltre il 56% dei consensi su Budisa.

Quale futuro dopo Tudjman?

“L’ernesto” ha intervistato il compagno Stipe Suvar, nato in Dalmazia nel 1936, per anni Presidente della Lega dei Comunisti Jugoslavi e fondatore nel 1997 del Partito Socialista Operaio di Croazia, poco prima del secondo turno delle elezioni presidenziali.

Le elezioni legislative in Croazia hanno visto la netta vittoria della “coalizione democratica” contro il partito al potere, l’HDZ. Quali gli elementi che hanno favorito questa vittoria?

La coalizione che ha vinto le elezioni in Croazia è formata da sei partiti, due dei quali appartengono al centro-destra, vale a dire il Partito Social-Liberale (HSL) e quello Contadino (HSS). Altre tre forze della coalizione sono di ispirazione centrista, vale a dire il Partito Popolare Croato (HNS), il Partito Liberale (LS) e la Dieta Istriana (IDS), mentre solo il Partito Socialdemocratico (SDP), pur se egemone all’interno della coalizione, è collocabile nell’ambito della sinistra. La disfatta dell’HDZ, una sorta di partito-stato guidato col pugno di ferro dal suo presidente Tudjman fino alla morte, era attesa e prevista non solamente in Croazia, ma anche all’estero. Una crisi economica senza precedenti sta devastando il paese, con conseguenze pesanti in ogni settore della vita pubblica e sociale, mentre nell’ultimo periodo il governo di Tudjman e dell’HDZ ha impedito di fatto ogni apertura democratica, lasciando libero spazio alla xenofobia, all’estremismo di destra e all’isolazionismo.

Quali dovrebbero essere le priorità per il nuovo governo? E soprattutto: dovremo aspettarci un governo stabile oppure la coalizione uscita vittoriosa dalle urne potrebbe evidenziare delle divisioni al proprio interno?

A mio modo di vedere, il nuovo governo dovrebbe immediatamente rivedere l’intero meccanismo delle privatizzazioni, vale a dire il passaggio dei mezzi di produzione autogestiti al capitale privato. Fino ad ora, il patrimonio pubblico croato è stato letteralmente svenduto, in parte al capitale straniero e in parte ai protetti del regime. Partendo da questo elemento di risanamento e trasparenza, il nuovo governo dovrebbe tentare di rilanciare l’economia e gli investimenti, con l’obiettivo di limitare una disoccupazione ormai dilagante e fermare la corruzione, che ha ormai pervaso ogni settore della vita economica. Solo in questo modo sarà possibile limitare lo strapotere attuale delle mafie legate al defunto presidente Tudjman. Ma per fare tutto ciò occorre un governo forte.

Da questo punto di vista, temo che il nuovo esecutivo, all’interno del quale potrebbero ben presto evidenziarsi delle crepe, non avrà la mano abbastanza ferma nell’imporre una drastica inversione di rotta rispetto agli indirizzi di politica economica e di gestione del potere affermatisi negli anni precedenti.

Il Partito Socialista Operaio di Croazia si è presentato solo all’appuntamento elettorale. Quali le ragioni di questa scelta e quali i risultati?

Il nostro partito è stato l’unico in Croazia a pronunciarsi apertamente per il socialismo del XXI secolo e contro la brutale aggressione della Nato nei confronti della Repubblica Federale di Jugoslavia, mentre tanto a destra quanto a sinistra l’anticomunismo è ormai dilagante e si è applaudito all’intervento armato. Per questo il nostro partito, con grande coraggio, si è presentato da solo alle elezioni, alle quali hanno preso parte 64 partiti, coalizioni e liste indipendenti. Il SRP non è riuscito a raggiungere la percentuale per entrare in Parlamento, classificandosi settimo nella graduatoria dei partiti sconfitti. Un risultato, questo, tutto sommato accettabile per un partito giovane come il nostro, sorto solamente due anni fa tra enormi difficoltà. Oltre alla coalizione che ha vinto le elezioni, hanno avuto accesso alla rappresentanza parlamentari l’HDZ, l’Unione Democristiana Croata (HKDU) e il Partito del Diritto Croato (HSP), in rappresentanza della destra Ustascia.

Quanto hanno pesato sull’esito del voto il sostegno dell’Occidente alla coalizione democratica e la volontà popolare di porre fine a un decennio di dominio assoluto dell’HDZ?

Entrambi questi fattori hanno pesato enormemente. Da una parte, l’Occidente (Stati Uniti ed Europa) da un anno e mezzo ha lavorato attivamente per una rivincita delle opposizioni, fornendo ad esse un supporto logistico fondamentale. Gli Stati Uniti volevano fare di Racan un D’Alema croato e, alla fine, ci sono riusciti. Dall’altra parte, sui risultati elettorali ha inciso soprattutto lo stato d’animo della popolazione, il grande malcontento e la grande amarezza nei confronti delle politiche perseguite dal regime dell’HDZ.

La coalizione di estrema destra è riuscita a superare lo sbarramento elettorale…

Siamo tutti molto preoccupati per questo. La coalizione tra HSP e HKDU ha ottenuto il 6% dei voti, con un picco nel collegio della diaspora croata, e cinque seggi in Parlamento. Se ai voti ottenuti da questa coalizione sommiamo quelli dell’HDZ, che rimane il più grande partito della destra, e quelli di altre forze che non hanno superato lo sbarramento, si ottiene una percentuale del 35%, che non è cosa da poco.

Lunedì 24 gennaio 2000 si è svolto il primo turno delle elezioni presidenziali: fuori Matic, mentre andranno al ballottaggio Mesic e Budisa (1). Quale sarà l’atteggiamento del SRP?

Il primo turno delle elezioni per il Presidente della Repubblica ha riservato qualche sorpresa. Grane Matic, ministro degli esteri uscente e candidato dell’HDZ, ha ottenuto solamente il 22% dei consensi ed è stato escluso dal ballottaggio. Insieme a lui sono stati affondati il falso liberale Slaven Letica ed altri cinque candidati dell’estrema destra. Al ballottaggio si troveranno di fronte i due candidati della coalizione di governo, vale a dire Drazen Budisa, nazionalista rigido, e Stipe Mesic, populista senza alcuno scrupolo né coscienza. Per noi è indifferente chi dei due vincerà, soprattutto nella prospettiva possibile di una modifica della Costituzione che limiti fortemente le prerogative presidenziali a vantaggio degli organismi rappresentativi.

Come il SRP intende affrontare i prossimi appuntamenti? Quali potrebbero essere i rapporti con la coalizione di governo?

Se la coalizione uscita vittoriosa dalle elezioni non riuscirà ad imporre una svolta nel governo del paese, partendo dalla politica economica e sociale, il SRP potrebbe emergere davvero come il solo partito della sinistra che abbia veramente a cuore gli interessi delle masse lavoratrici e popolari. Noi siamo disponibili ad aiutare il nuovo governo ogniqualvolta esso mostrerà di lavorare per eliminare le conseguenze disastrose del regime tudjmaniano, ma, allo stesso tempo, saremo i suoi critici più severi se ci accorgeremo del contrario.

Note:

1) Questa intervista precede di alcuni giorni il ballottaggio del 7 febbraio u.s., che ha visto la vittoria di Mesic.

(Intervista a cura di M. G., traduzione a cura di Jasna Tkalez, membro del CC del SRP)