Crisi, resistenze, guerra imperialista. Necessità dei comunisti.

La grande crisi capitalistica in cui siamo tuttora immersi, non può lasciare immutati, ad onta del conservatorismo delle classi dominanti, i rapporti di forza tra le classi. Quando parliamo di classi ci riferiamo non solo ai rapporti interni al singolo stato nazionale, ma anche ai rapporti su scala mondiale, tra stati imperialistici dominanti e stati dominati, tra “centro” e “periferie” del mondo. La grande crisi esplosa nel 2007 può segnare una svolta decisiva nel “lungo ‘900” capitalisticamente dominato dagli USA (cfr. il saggio di Vl. Giacché), può segnare il declino dell’impero statunitense, rispetto ad altri soggetti che sono emersi prorompentemente sulla scena mondiale – si pensi prima di tutto alla Repubblica Popolare Cinese – le cui economie in questi anni di crisi hanno continuato a svilupparsi a ritmi elevati e sostanzialmente inalterati e il cui peso e ruolo nell’economia mondiale non può essere trascurato da nessuno.

Questo processo, in cui si ridisegnano i rapporti di forza mondiali, può provocare terremoti e tsunami ben più sconvolgenti di quelli che hanno colpito ora il Giappone, come suggerisce Fidel Castro (Los dos terremotos). Se la grande crisi è irrisolta, se le enormi iniezioni di liquidità nel sistema hanno solo spostato e rinviato il problema, trasferendolo al debito sovrano e aggravandolo, allora l’instabilità è la cifra del nostro tempo. Con tutto ciò che essa implica, di possibili cambiamenti sociali radicali e di politiche reazionarie violente, di sviluppo progressivo della civiltà o di barbarie, di rivoluzione o di guerra.

Ciò che sta accadendo in queste settimane in Nord Africa è lo specchio della duplicità contraddittoria di questo tornante della storia: si muovono qui ribellioni popolari che potrebbero avere – dipende dalla direzione politica e dal livello di organizzazione cosciente delle masse – un esito rivoluzionario, “democratico-nazionale”, antimperialista (cfr. Hammami), come in Tunisia, ma si muovono anche forze imperialiste che, proprio nel centesimo anniversario dell’invasione italiana, operano consapevolmente – tutti insieme e in concorrenza tra loro, nella migliore tradizione imperialista – per squartare la Libia, paese centrale per il Mediterraneo, ma anche “terrazza sull’Africa”, il continente che, per la ricchezza delle risorse, da un lato, e per la fragilità politica di gran parte dei suoi stati (disegnati dal colonialismo) è ora, e sarà sempre più, al centro della lotta mondiale tra potenze per la sua spartizione [per una comprensione di base è ancora molto utile Geostoria dell’Africa di Manlio Dinucci, Zanichelli, 2000].

Dovrebbe essere chiaro ormai che gli “insorti” libici – quale che sia la loro coscienza soggettiva (tra essi troviamo ex ministri e alti funzionari della Jamahiriya) – sono lo strumento di cui si servono le forze imperialiste per mettere le mani sul paese, non solo per le sue importanti risorse energetiche, ma per la sua collocazione geografica strategica per il Mediterraneo e per l’Africa.

Per “ricolonizzare” la Libia, in meno di un mese è stato approntato uno strapotente apparato mediatico, diplomatico, militare, per molti versi analogo a quello che 12 anni fa, demonizzando Milosevic, bombardò a tappeto la Serbia con la “guerra umanitaria” della NATO (Diana Johnstone). Chossudovsky chiarisce i motivi dell’aggressione occidentale, nonché della contesa interimperialistica sull’Africa, in particolare tra USA e Francia, la quale non a caso è oggi in prima fila nel riconoscimento diplomatico degli insorti di Bengasi, dove dichiara di voler spostare la sua ambasciata in Libia: un sicuro passo avanti per alimentare la guerra civile in corso e balcanizzare il paese, con diverse analogie con il riconoscimento da parte di Germania e Santa Sede, delle repubbliche separatiste di Slovenia e Croazia (gennaio 1992), che dette fuoco alle polveri della carneficina in Jugoslavia.

È più che evidente che alle potenze imperialiste USA-UE-NATO non sta per nulla a cuore la sorte della popolazione, né la “democrazia” (appoggiano molti regimi reazionari, a partire dall’Arabia Saudita), e che esse stanno cinicamente soffiando per alimentare la guerra interna alla Libia – guerra civile e tribale – per poter intervenire militarmente. Non hanno degnato di uno sguardo la proposta di mediazione e soluzione pacifica del conflitto avanzata dal presidente venezuelano Hugo Chavez e dai paesi dell’ALBA, spingono invece perché vi sia la soluzione più violenta, con la richiesta intransigente che il demonizzato Gheddafi lasci il campo, con le buone o con le cattive. È questo anche un modo per derubare lo stato libico degli ingenti beni depositati nelle banche europee e USA.

La parola del compagno Fidel Castro si è levata cristallina sulla vicenda libica, con diversi e puntuali interventi (cfr. Cubadebate e lernestoonline) denunciando, sin dal 21 febbraio ciò che oggi appare chiarissimo: El plan de la OTAN es ocupar Libia.
Siamo direttamente chiamati come comunisti, che attingono dal leninismo gli strumenti fondamentali per analizzare l’imperialismo dei nostri giorni, a costruire un fronte di lotta contro l’aggressione alla Libia, contro l’uso di basi, mezzi, uomini, sotto qualsiasi forma o pretesto essi avvengano. C’è un enorme lavoro da fare controcorrente, contro la fabbrica del falso che sforna quotidianamente menzogne mediatiche per organizzare il consenso alla guerra e contro l’ideologia dell’“imperialismo umanitario”, alle quali gran parte della “sinistra” (quella che disconosce l’imperialismo, che vede la democrazia come valore astratto dal processo storico, che è antistoricista e non distingue tra “cesarismo” progressivo o regressivo, come Gramsci nei Quaderni del carcere invitava a fare) è totalmente subalterna, quando non si tratta di una vera e propria lobby amerikana in Italia.

Il comunismo moderno nasce con i bolscevichi, col rifiuto della guerra imperialista, con la rottura con la II Internazionale i cui principali partiti avevano appoggiato i rispettivi governi guerrafondai. La questione della guerra imperialista è per i comunisti una discriminante fondamentale: da un lato gli imperialisti, dall’altro i popoli oppressi. Questa discriminante appare con chiarezza sulla scena mondiale: da un lato il gruppo dell’ALBA bolivariana – e certo non a caso, per diverse analogie di questi paesi “periferici” e dipendenti sinora dagli USA, che li consideravano “cortile di casa” e i paesi del Nord-Africa; dall’altro il blocco, unito e diviso ad un tempo, USA-UE-NATO.

La grande crisi, le resistenze e opposizioni sociali, l’aggressione imperialistica alla sovranità e integrità della Libia, richiedono che si intensifichino anche in Italia – in cui l’incapacità programmatica e politica dell’opposizione parlamentare e la ancora frammentata e incerta opposizione sociale tengono in vita il governo Berlusconi – gli sforzi per la ricostruzione del partito comunista, in modo da riappropriarci dello strumento di direzione e organizzazione politica indispensabile. Come si è visto nei paesi arabi, la crisi genera resistenze e lotte, la ruota della storia non si ferma, ma la sola spontaneità, senza organizzazione consapevole – per dirla ancora con Gramsci – non porta cambiamenti sostanziali.

Il documento politico pubblicato a febbraio sul manifesto e che qui riproduciamo, ripropone la questione comunista nelle condizioni storico-concrete del nostro paese. È una necessità storica la ricostruzione nel nostro paese di una forza comunista, sono i problemi e le sfide epocali di questo tornante della storia a richiederlo. Sta ora alla volontà, all’impegno, all’abnegazione di quanti hanno piena consapevolezza della posta in gioco, alla disponibilità a superare particolarismi e piccoli tornaconti, liberandosi di pratiche opportunistiche, operare perché questo necessario strumento del partito riprenda ad operare potentemente nella società. La lezione di vita dei militanti comunisti negli anni eroici della nascita del PCdI e della lotta antifascista – cui abbiamo voluto dedicare, in questo 90° anniversario, uno speciale inserto de l’ernesto – è un salutare viatico.