Crisi Fiat: dal punto di vista operaio

Per chi non è di Torino può essere difficile comprendere in pieno il pesante effetto che ha la crisi della Fiat, in particolare della Fiat Auto, non solo sugli operai dell’industria automobilistica torinese o sulle decine di migliaia di lavoratori dell’indotto, ma anche su tutto il tessuto sociale e produttivo torinese.
Solo pochi anni fa, nel 1999, la Regione Piemonte, il Comune di Torino e tutti gli enti locali torinesi avevano celebrato in pompa magna il centenario della fondazione della Fiat. Le vie del centro di Torino erano addobbate con le foto della storia dello stabilimento e della città che crescevano insieme, insieme si celebrava anche il legame tra la città e una delle famiglie più potenti d’Italia, la famiglia Agnelli. Eppure già da tempo gli scricchiolii di una crisi si facevano sentire, il disimpegno della Famiglia dall’industria automobilistica e dalla città, per chi non aveva le fette di salame davanti agli occhi, erano già evidenti. Da anni la Fiom denunciava una quasi totale assenza della ricerca sui nuovi prodotti, e le forze più attente della sinistra torinese, a cominciare dal Prc, segnalavano una pericolosa riconversione degli investimenti della Famiglia, aiutata dalle amministrazioni di centro sinistra del comune e da quelle di centro destra della regione, in speculazioni immobiliari sui terreni dismessi dalle attività industriali, investimenti favoriti anche dalle grandi opere annunciate, come le Olimpiadi invernali del 2006 a Torino, l’alta velocità ferroviaria tra Lione e Torino e tra Torino e Milano, la metropolitana torinese e così via. L’accordo Fiat-GM, contrariamente a quanto era stato annunciato, alle assicurazioni fatte, non era che una fase della destrutturazione e del disimpegno dall’auto e da Torino. Dunque la crisi è arrivata: quello che alcuni paventavano da tempo, cioè la possibile chiusura della produzione di auto a Torino, è diventato purtroppo un fatto concreto e visibile a tutti.
In questi giorni si è tanto parlato e scritto su questo argomento: l’ernesto ha voluto far parlare tre operai per fornire ai lettori punti di vista espressi da angolature diverse.
Il primo è Antonio Lo Bascio, operaio delle officine meccaniche di Mirafiori, da qualche mese in pensione, segretario del circolo Prc Fiat-Mirafiori e del Coordinamento Nazionale dei S.IN. Cobas.
La seconda è Michelina Cardamone che lavora in una media azienda dell’indotto Fiat.
Il terzo è Antonio Inserra, operaio della Comau Service del gruppo Fiat , settore che a differenza dell’auto è in espansione.

A loro abbiamo posto alcune domande.

Prima di tutto vorremmo conoscere qual è lo stato d’animo in fabbrica e in famiglia. Come viene vissuta la crisi della Fiat Auto?

Lo Bascio:
Ci sarebbe molto da dire, iniziando dai primi anni 80, chiedendoci qualitativamente com’è stata la nostra vita e quella di tutti i lavoratori all’interno della Fiat.
Una vita sempre più precaria, con carichi di lavoro pressanti, nessuna rivendicazione dei diritti, il padrone sempre più arrogante e i sindacati concertativi che hanno lasciato i lavoratori senza tutele.
Siamo arrivati a dire “Sì salvi chi può!”. Abbiamo concesso tanto a questi padroni ,compresi migliaia e migliaia di miliardi concessi dallo Stato. Tutto questo grazie alla concertazione e al nuovo modo di fare sindacato.
È arrivato anche il lavoro non più a tempo indeterminato ma con contratti a termine e soprattutto la ciliegina sulla torta: “il lavoro interinale”.
Qualcuno si è mai chiesto qual è lo stato d’animo e psicologico di un lavoratore interinale, il quale la notte non riesce nemmeno a dormire pensando se a fine mese sarà o meno confermato? Ragazzi, questi, che non riescono a programmare il loro futuro.
Questa è la qualità della vita che si respira oggi all’interno della Fiat e nelle fabbriche in genere.
Quindi lo stato d’animo di cui parlavi inizialmente è di una maggiore preoccupazione per la crisi Fiat, ma non solo, perché in famiglia c’è qualcuno che lavora nell’indotto, piccole fabbriche che se chiudono mettono fuori migliaia di lavoratori e nessuno se ne accorge. Questa è una preoccupazione ancora più grave e sentita.

Cardamone:
Da sedici anni lavoro presso il settore commerciale di una media azienda metalmeccanica nel Poiri-
nese,in provincia di Torino, che produce sistemi di climatizzazione per automobili. In questi sedici anni, durante i quali sono stata anche delegata Fiom CGIL, la proprietà è passata di mano più volte: azienda padronale nel 1996, entra a far parte del gruppo Fiat nel 1987 con la vendita a Borletti, assorbita in seguito dalla Magneti Marelli, della quale la Fiat, cercando disperatamente di fare cassa, cede a luglio 2001 la totalità delle azioni dei tre stabilimenti italiani (Poiri-no/Avellino/San Salvo) dedicati alla climatizzazione alla Denso/ Toyota società giapponese.
Usciamo dallo zoo Fiat a cui però rimaniamo vincolati in quanto circa il 70% del fatturato proviene dalla stessa Fiat che è il grande cliente, ed è perciò inevitabile subire il terremoto che sta squassando il settore dell’auto (e non solo) in Italia. A fronte della Cassa integrazione generale alla Fiat, da noi parte della produzione si blocca (cassa fotocopia) mentre gli impiegati vengono caldamente invitati a mettersi in ferie / permesso. È ovvio che ognuno di noi, anche se con sensibilità e modalità differenti, vive sensazioni di forte incertezza. Lievita la paura di essere estromessi dal circuito del lavoro stabile e sprovvisti di rete di sostegno sociale. Esiste la voglia originata dal bisogno di non accettare passivamente le scelte padronali, che sempre ci costringono a pagare un prezzo altissimo. Per ogni salariato il lavoro rappresenta la sopravvivenza, e la disoccupazione ci butterebbe irrimediabilmente fuori dalla “normalità” di una vita già così difficile e pesante. Anche per questi motivi gli scioperi legati alla vicenda Fiat sono riusciti, pur senza coinvolgere la fascia di rassegnati, quelli che “tanto fanno comunque quello che vogliono, scioperare serve a nulla, lottare è inutile, tutto è già stabilito e via con altri luoghi comuni”.

Inserra:
Non essendo direttamente coinvolto come dipendente del settore auto, (faccio parte oggi di Comau Service, prima dipendente Iveco) posso dare un’opinione di chi vive questa crisi da una posizione quasi esterna. Dico quasi perché sia Co mau Service che Iveco fanno parte del gruppo Fiat. Lo stato d’animo all’interno della fabbrica è molto variegato, e condizionato da molti fattori. Buona parte dei lavoratori Iveco non si sente particolarmente coinvolta in questa crisi, perché il gruppo Iveco è uno dei settori Fiat con un mercato in espansione. Allarmano, ma non tutti, le voci di vendita. Inoltre alla Iveco di Torino è in fase d’avvio un’officina per la produzione di un nuovo motore, quindi con prospettive produttive a lungo termine. Quasi tutti i mezzi d’informazione e le istituzioni si affannano a tranquillizzare: questa crisi non sarebbe diversa dalle altre, e quindi gestibile. Questo è un altro elemento che dà motivo ad alcuni lavoratori per viverla in modo distaccato. Nel contempo, però, si ha coscienza che questa crisi riguarda non solo la Fiat, ma tutta la città di Torino ed il suo futuro. con l’aggravante della cessione alla General Motors. Altro elemento che fa vivere ai lavoratori Iveco in modo più distaccato gli esuberi Fiat è quello della gestione tramite la mobilità che accompagna i lavoratori alla pensione. Questo è sicuramente un problema, amplificato da due fattori: le politiche di Fim – Uilm – Fismic e Fiat che fanno leva sulla voglia dei lavoratori più anziani di fuggire da un mondo del lavoro ormai reso precario e insicuro dalle politiche e dalla paura di probabili riforme previdenziali. Sintetizzando, si dice: “scappiamo da qui finché siamo in tempo”. Lo abbiamo riscontrato in Comau Service con la procedura di mobilità firmata l’anno scorso.
La tecnica di gestire le crisi aziendali attraverso la mobilità è ormai prassi da alcuni anni a questa parte, quindi molti lavoratori, e anche alcuni delegati, si chiedono perché questa volta debba essere diverso. Lo stato d’animo in famiglia, nelle case dei lavoratori, non è sicuramente rilassato, perché la crisi Fiat è un ulteriore tassello della precarizzazione del lavoro, ma anche perché nell’immaginario dei lavoratori non esisteva e non esiste ancora che la Fiat si trovi nella condizione di essere prossima al fallimento.

Secondo voi, secondo i vostri compagni di lavoro, a chi vanno imputate le responsabilità di questa crisi?

Lo Bascio:
Le responsabilità? Sono di tutti: padroni, governo e sindacati. Posso escludere con molta convinzione solo i lavoratori, che in questi anni hanno dato più produttività e più qualità.
Qualsiasi interessamento da parte del governo o della Fiat o della famiglia Agnelli non risolve nulla, perché la Fiat è determinata a mettere fuori tutti quei lavoratori che sono in lista di mobilità e a diminuire la produzione.

Cardamone:
Credo che le cause di questa crisi, che da tempo si respira nell’ambiente, siano: pessima gestione aziendale, tesa sempre e solo al profitto e non alla salvaguardia del lavoro; deboli e sbagliate strategie sindacali, difensive e non rivendicative, e ultima ma non meno importante, governi che non hanno voluto e saputo costruire politiche economiche volte ad indirizzarsi anche agli interessi dei lavoratori.

Inserra:
Di questa vicenda, sui giornali, nei convegni, si è scritto e parlato molto, si sono cercate responsabilità e responsabili tra dirigenza Fiat e tra le scelte industriali della famiglia Agnelli. Parte di queste responsabilità hanno trovato un nome ed un cognome; vi sono state dimissioni più o meno volontarie, riportate su tutti i mezzi di informazione, di alcuni importanti dirigenti Fiat. Vorrei però manifestare le mie idee sulle responsabilità di questa crisi, le stesse che esprimono i lavoratori alla “macchinetta del caffè” (notoriamente il luogo in cui in fabbrica si discute di politica e non solo). Le cause che secondo i lavoratori stanno alla base di questa crisi sono molteplici e diverse fra loro. C’è chi accusa gli automobilisti italiani di poco nazionalismo, quindi di acquistare troppe auto straniere. C’è chi dice che non si riesce a tenere il confronto rispetto al rapporto qualità/prezzo con i marchi stranieri, evidenziando le scelte del gruppo Fiat che puntano alla sola riduzione dei costi, sia sulla manodopera che sulla componentistica. Quasi tutti i lavoratori concordano su almeno due punti: 1 le scelte industriali sbagliate della dirigenza Fiat (forse volute per una dismissione della Famiglia Agnelli dal settore auto), sbagliate nei tempi e nella forma; 2 la non esistenza di politiche industriali da parte dello Stato. Problema questo che parte da molto lontano e che ha già colpito altri settori e gruppi industriali italiani.

Quali interventi vi aspettare da parte della Fiat, della famiglia Agnelli e del governo?

Lo Bascio:
Non mi aspetto niente di buono: secondo me tutti e tre spingono per cedere tutto alla General Motors. La GM ha già preso una parte della Fiat come le Meccaniche e la Power Trend; dove la Gm è entrata, gli operai sono diventati carne da macello. Ad esempio in Power Trend, dove lavorano circa 2000 lavoratori, quelli messi in mobilità sono più di 700,e guarda che mobilità vuol dire che sei in lista di licenziamento. Sperare nella GM è uno sbaglio; le multinazionali quando arrivano acquistano per distruggere. Non hanno legami territoriali, non hanno governi a cui rispondere, cominciano con le terziarizzazioni, la mobilità, succhiano tutto quello che possono e poi se ne vanno.
Il governo, se volesse, potrebbe fare qualche cosa, ma dovrebbe cambiare radicalmente politica. Fino ad oggi tutti i governi hanno dato un fiume di soldi alla Fiat; in cambio cosa abbiamo ottenuto: investimenti? più occupazione? No. Il governo dovrebbe vincolare i finanziamenti o gli incentivi alla Fiat, ma anche per le altre industrie, al mantenimento e all’ aumento dell’occupazione.
La Fiat in questi giorni ha annunciato la mobilità per molti dipendenti; lo fa per dividere i lavorato-ri. A quelli più anziani, che sono vicini alla pensione, la mobilità può anche andare bene, ma per chi è giovane si tratta di una sciagura.

Cardamone:
Potrebbe essere questo il momento per cambiare percorso e rivendicare interventi non meramente assistenziali, che il padronato ha comunque sempre ottenuto. No alla mobilità con cui si mascherano i licenziamenti: occorre invece ottenere un piano industriale, la certezza di investimenti non fasulli ma mirati allo sviluppo.

Inserra:
Verso almeno uno dei tre soggetti menzionati nella domanda i lavoratori hanno poche speranze (quasi nulle) che intervengano o che cambino idea e posizione rispetto alle attuali linee: è opinione comune che la scelta della famiglia Agnelli di abbandonare il settore industriale sia definitiva, perché il capostipite orami è troppo vecchio e non vi sono eredi naturali. Fiat Auto e Stato alimentano più illusioni che speranze, perché la Fiat Auto non ha un piano industriale credibile e l’eventuale cessione a General Mo-tors non fa presagire niente di positivo. Lo Stato, ed in particolare questo governo, non è certo vissuto come un soggetto credibile per la difesa dei lavoratori.
Questo quadro negativo potrebbe essere cambiato solo da una scelta di lotta del sindacato, una scelta che non appare più inverosimile come alcuni anni fa, poiché potrebbe basarsi su di una nuova volontà conflittuale dei lavoratori.

Qual è il vostro giudizio su tutta questa vicenda?

Lo Bascio:
Il giudizio è difficile da dare… Bisognerebbe fare un giro davanti alle porte della Fiat e sentire i lavoratori, i loro giudizi contraddittori. C’è quello che aspettava la mobilità come un toccasana perché precedentemente bloccato dalla riforma pensionistica e preme che i sindacati trovino un accordo… Quelli più giovani, che sanno che il loro desti-no è in mano a padroni senza scrupoli e ad un governo di destra fatto da padroni…

Cardamone:
Dico che da sempre la Fiat ha usato a piene mani incentivi e aiuti, elargendo in cambio, a noi lavoratori, precarietà selvaggia, dure condizioni di lavoro, retribuzioni inferiori al potere d’acquisto. Una politica antioperaia supportata sempre da governi di ogni colore e non contrastata nel giusto modo dal sindacato, che ha ora l’obbligo di perseguire con forza, chiarezza e determinazione gli obiettivi posti dai lavoratori, senza tentennamenti e ipocrisie.

Inserra:
A questa domanda mi pare di aver già risposto prima, non voglio ripetermi.

Si comincia a discutere (e a dividersi) tra chi pensa che l’auto, come trasporto individuale, sia da superare valorizzando il trasporto collettivo, e chi punta a tesaurizzare l’esperienza accumulata nella produzione in Italia attraverso un progetto che vede Torino quale distretto europeo dell’auto. Qual è la vostra opinione?

Lo Bascio:
Per me la questione è semplice: siamo a Torino, dove da cent’anni si fanno auto, non a Vigevano dove invece si fanno scarpe. A Vigevano sono bravissimi a fare scarpe, noi siamo bravi a fare auto.
L’auto significa occupazione non solo per chi lavora in Fiat ma anche per tutto l’indotto, per il commercio, l’artigianato, per la ricerca scientifica.Penso che bisogna intervenire subito per garantire che produzione di auto resti a Torino, valorizzando l’esperienza accumulata in questi anni.

Cardamone:
Per quanto riguarda la questione relativa ai due percorsi, distretto auto o potenziamento trasporti collettivo, è ovvio che mi parrebbe meglio privilegiare la seconda ipotesi e per più motivi: meno inquinamento ambientale e acustico, meno traffico convulso. Inoltre, la prima ipotesi potrebbe reggere solo nel caso della presenza di un forte costruttore, che al momento non vedo all’orizzonte.

Inserra:
Sono tra quelli che pensano che il trasporto privato vada superato, almeno nel concetto attuale.
Cioè: io individuo posso essere libero di muovermi con la mia auto in qualsiasi momento e poter andare in qualsiasi luogo, ed associare questa logica alla libertà individuale e di movimento.
Questo è insostenibile, e non solo da un punto di vista ambientale, perché anche con future vetture ad idrogeno (o carburanti ecologici) che eliminerebbero l’inquinamento atmosferico, non sarebbe eliminato il traffico, che ancora avrebbe bisogno di infrastrutture e di un disegno urbanistico non per i cittadini, ma – appunto – per le auto.
Certo, la soluzione non può sicuramente essere affidata solamente al trasporto pubblico, ma ad un mix tra pubblico e privato, utilizzando eventuali forme di trasporto privato, come ad esempio la multiproprietà delle auto. L’argomento non è facilmente affrontabile con i lavoratori, perché la maggior parte di essi si rifà al concetto di liberà individuale, però è in crescita una cultura ambientale e l’accettazione dei provvedimenti di restrizione del traffico.

Un ringraziamento per l’aiuto e la collaborazione a Katiuscia Traversa, Raphael Rossi e Sergio Vallero.