Sconfitta catastrofica
Di colpo tutti i nodi sono giunti al pettine.
Nonostante l’impegno militante e spassionato di tante compagne e compagni, la sconfitta della Sinistra Arcobaleno è di dimensioni catastrofiche, un vero e proprio tracollo, una sconfitta storica. Con tre milioni di voti persi in soli due anni, la Sinistra Arcobaleno scende al 3% e non elegge nessun parlamentare. Senza dimenticare la vittoria del centro-destra e la crescita di una forza razzista e xenofoba come la Lega.
Rifondazione Comunista, la forza politica che più di altri ha creduto nel progetto della Sinistra Arcobaleno, ne esce distrutta nel morale e nelle prospettive. Questo è il risultato della linea collettiva di tutto il gruppo dirigente che ha gestito in questi anni il Prc, non di questo o quel singolo dirigente.
Le cause principali
La causa principale del tracollo elettorale risiede con ogni evidenza nella linea della partecipazione al governo, decisa al Congresso di Venezia con il 59% di voti contro il 41%, respingendo ogni proposta di sintesi e di gestione unitaria del partito, mettendo con supponenza e arroganza l’ampia minoranza del Prc fuori dalla segreteria nazionale e dalla gestione del partito.
La partecipazione al governo, motivata con la tesi risibile della permeabilità del centro-sinistra ai movimenti, ha deluso tutte le aspettative di cambiamento e di giustizia sociale. Il governo Prodi è stato permeabile non ai movimenti ma solo ai banchieri della Ue, alla Nato, agli Usa e al Vaticano, più aggressivi che mai. Un governo che, con la nostra partecipazione e corresponsabilità, ha tradito i lavoratori, i precari e i pensionati: invece che aumentare i salari e le pensioni e ridurre la povertà e l’insicurezza sociale crescente, ha favorito, sotto i dettami di Confindustria e del Fondo Monetario Internazionale, solo le grandi imprese, banche e assicurazioni. Ha eliminato il cuneo fiscale, regalando miliardi di euro alle imprese, e ha prodotto un accordo concertativo su pensioni e welfare, sdoganando la legge 30 senza abrogarla e aumentando ulteriormente l’età pensionabile senza abolire lo scalone Maroni, come promesso in campagna elettorale. Un governo che, con la nostra partecipazione e corresponsabilità, ha tradito gli immigrati introducendo nuove vessazioni securitarie, senza abrogare la legge Bossi-Fini e senza dare il diritto di voto. E’ venuto meno agli impegni elettorali sui diritti civili non riuscendo neanche ad approvare una legge sulle coppie di fatto, per la subalternità alle pressioni del Vaticano. Ha deluso il movimento per la pace, aumentando vertiginosamente le spese militari, proseguendo la missione di guerra italiana in Afghanistan, acconsentendo alla installazione dello scudo stellare di Bush, alla base americana di Vicenza e all’indipendenza del Kosovo, in obbedienza agli ordini della Nato e dell’imperialismo americano. Per parlare solo delle questioni principali, senza voler dire niente della Tav in Val di Susa, della vicenda dei rifiuti in Campania, dei provvedimenti securitari del centro-sinistra a Bologna, Firenze ed altre città.
Il fatto è che, come era chiaro fin dall’inizio, non vi erano i rapporti di forza nella società perché i comunisti e le sinistre potessero dal governo ottenere risultati, e quindi bisognava evitare accuratamente di confondere le proprie responsabilità con quelle delle forze riformiste e moderate, pur evitando contemporaneamente di far tornare a vincere le destre. Si poteva fare, non si è voluto fare. La profonda delusione e il crollo di fiducia, che si erano avvertiti sin dai primi provvedimenti del governo, ha prodotto l’attuale vittoria della destra ed ha colpito soprattutto le forze di sinistra e in particolare Rifondazione Comunista.
I segnali di rottura con il nostro elettorato e con i movimenti erano chiari da tempo. Già le elezioni amministrative di un anno fa avevano visto la perdita secca di due terzi del nostro elettorato rispetto al 2006, così come la riuscita manifestazione contro Bush autoconvocata dai movimenti e il contemporaneo fallimento di Piazza del Popolo erano il chiaro segnale di una rottura profonda con i movimenti. Per non parlare dell’accoglienza a Mirafiori. Fenomeni che avrebbero potuto e dovuto aprire una seria riflessione. E invece tutto il gruppo dirigente che ha gestito il Partito (quindi con una responsabilità collettiva, non attribuibile solo al presidente della Camera o al segretario del Partito) è rimasto sordo e cieco di fronte a questi fenomeni. Il vero e proprio disgusto per la politica non era riconducibile alla generica “crisi della politica”, come si è andato dicendo per due anni per sviare l’attenzione dalle cause vere, ma si trattava e si tratta di una sfiducia per la sinistra e in particolare per le forze della sinistra più radicale, che hanno dimostrato la più grande incoerenza rispetto alle promesse. Non c’è da meravigliarsi se, dopo due anni di partecipazione subalterna nel governo, i voti del Prc siano andati nell’astensione o nel voto di protesta della Lega.
Il simbolo
Se alla delusione popolare per la partecipazione al governo si aggiunge la decisione di presentare un simbolo sconosciuto, assolutamente opposto a quella connessione sentimentale col nostro popolo di cui spesso si parla a sproposito, si capisce come mai la perdita dei voti è stata così rilevante. Peraltro la decisione di presentare il simbolo della Sinistra Arcobaleno è stata presa cancellando del tutto la partecipazione degli iscritti, dei circoli e delle federazioni, con una logica autoritaria giunta persino a interrompere e rinviare il congresso già avviato, per paura del confronto democratico con la base.
Clamoroso è stato l’errore di cancellare il simbolo dei due partiti che assieme superavano nel 2006 l’8%. Che di errore non si è trattato da parte del gruppo dirigente del Prc, ma di pervicace volontà di superamento dell’identità e dell’autonomia comunista, come si è visto persino dalle continue dichiarazioni del candidato premier in piena campagna elettorale a favore della trasformazione della Sinistra Arcobaleno in un nuovo soggetto politico non più comunista e della riduzione del comunismo ad una delle tante tendenze culturali dentro la Sinistra Arcobaleno.
Le cause di lungo periodo
Tuttavia le cause di questo crollo sono di lungo periodo. Un metro di ghiaccio non si forma in una sola notte di neve. Sia la partecipazione al governo, sia la diluizione di Rifondazione Comunista nella Sinistra Arcobaleno vengono da lontano, da un lungo processo di snaturamento della natura comunista, anticapitalista e di classe del partito. La negazione della centralità della contraddizione fra capitale e lavoro e l’abbandono del radicamento sociale e nei luoghi di lavoro, l’abbandono della concezione dell’imperialismo e del sostegno ai popoli che resistono alle aggressioni imperialiste (con l’adesione ideologica alla teoria della non-violenza in ogni luogo e in ogni tempo, che ha indotto addirittura ad una riduzione dell’impegno per la causa palestinese), il disinteresse per l’organizzazione del partito, dei circoli e delle federazioni, sostituita con lo schiacciamento sulle istituzioni e con le derive leaderistiche e mass-mediatiche. Sono anni che questo gruppo dirigente, tutto, opera nei fatti in direzione del superamento dell’autonomia comunista dentro nuovi soggetti politici genericamente di sinistra, come per esempio è stata, prima della Sinistra Arcobaleno, la costruzione della Sinistra Europea. Solo di una cosa non si parla neanche più, della natura comunista del partito, del comunismo, il cui solo accenno porta ad etichettature, a sciocche accuse (“identitari”) e a discriminazioni vere e proprie.
Sulle cause per le quali un’esperienza ricca e promettente come quella originaria della rifondazione comunista sia finita nella debacle del 13 e 14 aprile, bisognerà aprire una riflessione più approfondita e collettiva.
Cambiare radicalmente linea politica, progetto e gruppi dirigenti.
Cosa fare. Innanzitutto è necessario guardare in faccia la realtà, anche se essa è molto brutta, altrimenti le soluzioni sono peggio del male. La sconfitta è pesantissima. Il morale delle compagne e dei compagni è pessimo. C’è grande sconforto, paura, rabbia. Non ce la si cava con qualche pannicello caldo. Se non c’è una rottura di continuità, se non c’è un progetto nuovo, motivante, di rilancio dell’impresa che cominciammo 18 anni fa, se non c’è un cambiamento radicale di dirigenti e di gestione del partito (da una gestione autoritaria e burocratica ad una gestione collegiale e democratica), Rifondazione Comunista rischia di morire. E per questo cambiamento radicale è necessaria una profonda autocritica, senza alcuna reticenza, l’opposto di ciò che ancora fanno tutti i dirigenti in questi giorni, che continuano a ripetere – burocraticamente, come se nulla fosse accaduto – formule vuote e astratte, le stesse formule che hanno portato alla sconfitta. La sconfitta è troppo grave perché se ne possa uscire solo polemizzando con il candidato premier, Fausto Bertinotti. La Sinistra Arcobaleno è fallita in tutte le sue formulazioni (partito unico, soggetto unitario e plurale, federazione, confederazione, eccetera), sia dal punto di vista elettorale che politico. La pesantezza della sconfitta ci dice che per risalire la china è necessario investire non nella continuità, ma nella discontinuità, nel cambiamento radicale di linea, di progetto e di gruppi dirigenti. Questa linea, questo progetto e questi dirigenti che hanno portato Rifondazione Comunista e l’intera sinistra nel baratro, nonostante fossero stati ripetutamente messi sull’avviso, non sono più credibili. Bisogna cambiare. Bisogna andare in direzione opposta alla diluizione dell’identità e dell’autonomia comunista, della natura di classe ed anticapitalista del partito. Non di meno comunismo abbiamo bisogno, ma di più comunismo.
Salvare il PRC per un nuovo partito comunista
Salvare Rifondazione Comunista è importante. Noi vogliamo contribuire a farlo assieme a tutti coloro che sono disponibili, a partire dall’imminente Congresso. Ma è del tutto evidente che questo non è in sé affatto sufficiente, soprattutto oggi dopo una disfatta di queste dimensioni. Si salva ciò che resta del patrimonio importante di Rifondazione Comunista, di militanza, di esperienze e di capacità di costruire lotte e vertenze, solo se la si ricolloca in un più vasto processo unitario a sinistra di riunificazione di tutti i comunisti in un partito comunista più grande e più forte, non autoreferenziale ma capace di parlare a tanta parte del popolo di sinistra oggi senza riferimenti, di promuovere un più vasto schieramento anticapitalistico, per riaprire una nuova stagione dei movimenti e del conflitto sociale, per una lunga fase di lotta e di opposizione (vera, non “costruttiva”) a tutte le politiche neoliberiste e di guerra, sia che vengano dalla destra sia che vengano dal Pd. Il che significa anche promuovere una verifica della nostra partecipazione alle giunte locali.
Di fronte ad una sconfitta e ad una crisi di tali dimensioni non c’è alternativa alla ripresa del progetto, con tutte le comuniste e i comunisti disponibili, anche con storie e sensibilità diverse, della rifondazione/ricostruzione di un partito comunista in Italia, com’era nel progetto originario, niente affatto conservatore o nostalgico, del 1991. Dopo la pesantissima sconfitta elettorale della sinistra, a questa strada non c’è alternativa. L’alternativa o è l’approdo verso una sorta di area di sinistra nel Partito Democratico (come sembra emergere dalla discussione che attraversa Sd, i Verdi e la Sinistra Europea) oppure l’alternativa può essere una ulteriore breve fase declinante, di esaurimento senza sbocchi in lotte intestine fra piccoli gruppi minoritari e del tutto marginali.
Invece, ritornare nella società per riavviare un processo partecipato, dal basso, di rifondazione/ricostruzione unitaria di una nuova forza comunista, con tutti coloro che anche fuori del Prc sono disponibili, non nostalgica ma adeguata ai tempi, di classe ma anche interna ai movimenti pacifisti, ambientalisti, femministi, antirazzisti: questo è l’unico progetto in grado di non disperdere del tutto il nostro patrimonio, di rigenerare entusiasmo e rimotivare migliaia di compagne e di compagni, come nei momenti migliori del nostro Partito. Sappiamo che il lavoro di ricostruzione è arduo e di lunga lena, ma la manifestazione del 20 ottobre, il milione di persone in piazza sotto la marea di bandiere rosse, promossa dai due partiti comunisti e da altre forze della sinistra alternativa e di classe, è un’esperienza che sia pure sciaguratamente dissipata in pochi mesi dal gruppo dirigente che ha gestito il Prc, ci dice che possiamo farcela.
Belletti Gilda, Benni Guido, Bettarello Claudio, Catone Andrea, D’Angelo Pasquale, Giannini Fosco, Malerba Matteo, Manocchio Antonello, Maringiò Francesco, Masella Leonardo, Merlin Vladimiro, Miniati Adriana, Orlandini Olido, Pegolo Gianluigi, Rancati Claudia, Schavecher Nadia, Sconciaforni Roberto, Sema Giuliana, Sorini Fausto, Trapassi Marco, Verruggio Marco.
Compagne e compagni provenienti dalle vecchie mozioni I, II, III e IV del Congresso di Venezia
Roma, 20 aprile 2008.