C’è nel dibattito congressuale di Rifondazione comunista una sorta di separatezza tra presente e futuro, tra realtà e virtualità, quando la discussione si concentra sulla forma Partito. Una sorta di fuga in avanti, che senza fare un bilancio sull’esistente non tiene conto di quanto è stato costruito in dieci anni di resistenza e ipotizza il superamento del suo attuale aspetto organizzativo, come se un decennio di impegno militante e di sacrifici sia stato del tutto marginale alla nostra storia.
Eppure, otto cittadini su dieci affermano che in Italia l’unica formazione politica che abbia le caratteristiche di partito è proprio Rifondazione comunista!
Eppure siamo stati in grado di portare in piazza decine di migliaia di nostri militanti dieci giorni dopo la scissione di ottobre e, di lì a qualche mese, il Prc è stata l’unica forza politica in Italia ad organizzare la mobilitazione contro la guerra in Jugoslavia.
Siamo il Partito che, superando le difficoltà del voto utile e del maggioritario, ha costruito una rete di eletti negli enti locali, di consiglieri regionali e ha raggiunto il 5 per cento nelle ultime politiche, eleggendo i suoi parlamentari, che sarebbero stati in numero maggiore senza le liste civetta. Siamo il Partito che in forma diffusa e locale organizza ogni anno le feste di Liberazione, il Partito che con la sua cultura organizzativa, con i suoi giovani, con le sue compagne, sta dentro tutti i movimenti e in ogni conflitto.
Il V Congresso, dunque, è chiamato ad affrontare la discussione sulla riforma del Partito, raccogliendo in particolare i messaggi di alcuni compagni del CPN lanciati, subito dopo le elezioni di maggio in conseguenza della dislocazione di alcuni autorevoli dirigenti nella delegazione parlamentare, i quali in più occasioni hanno affondato la loro critica all’attuale modello organizzativo verticale e alla struttura Circolo.
Concordo con la necessità di una discussione, di merito e profonda, sullo stato e sulla forma Partito, e sono tra i firmatari, insieme ai compagni Grassi, Pegolo, Braccitorsi, Cappelloni ed altri, della Tesi 56 alternativa Partire dalle fondamenta: potenziare il Partito.
In questo senso avverto come primo e centrale problema quello della formazione dei gruppi dirigenti, soprattutto per accorciare la distanza tra apparato dirigente nazionale e gruppi dirigenti periferici, sia nell’intreccio tra elaborazione e inchiesta locale, che tra presenza nei movimenti e iniziative di massa nella messa in campo di vertenze specificamente locali.
La dicotomia territoriale
Da questo nodo, a mio avviso non del tutto al centro della discussione congressuale, sfugge la dicotomia tra Partito insediato nelle aree metropolitane e Partito insediato in territori (che per comodità chiamiamo periferie territoriali) tipizzati in piccole città e tantissimi comuni o villaggi, come il Sud e la Calabria, escluse alcune grandi città a connotazione metropolitana come Napoli, Palermo, Catania e Bari.
Da ciò nasce il dibattito: più Partito o più movimento, partito leggero o partito pesante di massa, gruppi dirigenti ristretti senza legami territoriali oppure larghi con forte connotazioni di rappresentanza di base.? Senza il superamento di questi nodi, continueremo ad avvitarci su noi stessi, in una inutile ed astratta querelle.
Se questo è il dibattito, il primo interrogativo che dobbiamo porci è questo: è possibile costruire un Partito comunista di massa senza la dovuta attenzione alle periferie territoriali? Non è forse in queste aree che il radicamento del Partito ha consentito la nostra sopravvivenza? La risposta è nei dati elettorali, soprattutto quelli nazionali, che hanno consentito la delegazione parlamentare e quindi la presenza nella geografia politica; lo è ancora di più se osserviamo lo stato del tesseramento nel rapporto popolazione-iscritti. Facendo un po’ di calcoli, in testa alla graduatoria nazionale ritroviamo tra le prime regioni l’Umbria, l’Emilia, la Toscana e la Calabria, tutte regioni appartenenti a quella tipologia di insediamento urbano, mentre le regioni delle grandi aree metropolitane si trovano nella parte inferiore della classifica. Se questo sfizio statistico può avere un valore indicativo, dobbiamo confermare che il nostro è un Partito che per cultura organizzativa è proteso al radicamento capillare nel territorio. Proprio in quelle realtà, dove non sempre è facile organizzare la struttura organizzativa, l’iniziativa politica o il conflitto sociale.
Spinta federale e riorganizzazione della politica
Secondo punto di riflessione necessario è lo stato della riorganizzazione della politica, non solo istituzionale, degli ultimi dieci anni. Con il referendum sul titolo V della Costituzione si è completato il processo di riorganizzazione dello Stato e della pubblica amministrazione. I Comuni, le Province, gli enti locali otterranno le deleghe sulla gestione del territorio e potranno essere soggetti attivi nella costituzione di imprese e aziende per la gestione dei servizi. Le regioni, a loro volta, avranno potestà legislativa su molte materie importanti che prima erano di pura competenza statale.
Un partito che si pone l’obiettivo di essere di massa non può trascurare questi nuovi compiti, soprattutto alla luce dello smantellamento dello stato sociale e della volontà di negazione dei diritti fondamentali; senza trascurare il fatto che l’introduzione del principio della sussidiarietà orizzontale potrà avere sbocchi speculativi impensabili proprio sul terreno del lavoro dipendente in quelle aziende che andranno a sostituirsi allo stato nella gestione dei servizi. Se si ambisce a rappresentare i bisogni sociali, sia nelle aree metropolitane che in quelle periferiche, è del tutto evidente che, in nessun modo, si può ignorare o trascurare il sistema legislativo, il quale, comunque, determina la vita di milioni di cittadini. Anche perché, mentre nel nostro dibattito congressuale si discute tanto sul superamento degli stati nazionali, è proprio la differenziazione della legislazione decentrata, che pur nascendo dalle deliberazioni europee e con diverse modalità di applicazioni, sancisce la loro esistenza e il loro rafforzamento.
Il Circolo quale luogo fisico dell’azione dei comunisti
Partendo da queste semplici considerazioni preliminari, evito la tentazione di calarmi nel dibattito generale, che potrebbe diventare generico e poco interessante per la sua ripetitività, per portare nella discussione sulla forma Partito un contributo di esperienza concreta, nella speranza di essere in questo modo più costruttivo.
Chi come me, insieme a tanti altri compagni, è impegnato in una regione come la Calabria ad organizzare il consolidamento e l’estensione dei livelli organizzativi, sa che in primo luogo deve costruire un progetto di resistenza all’infinita crisi sociale, alla negazione dei diritti fondamentali, alla frantumazione del sistema economico e produttivo, alla nascita di ceti politici familisti ed ereditari; e sa anche che, per avere risultati tangibili, deve estendere il conflitto sociale in ogni angolo di questa realtà, frastagliata in tanti campanili che si innalzano dal mare alla montagna.
Operando in questa regione si ha subito la consapevolezza che, al di là degli impegni nazionali e generali, diremmo verticali, sui quali vengono chiamati i compagni, la costruzione del partito comunista di massa è anche determinata dal livello di progetto alternativo locale che si è in grado di proporre alla società dei bisogni.
Progetto che per essere perseguito deve dispiegarsi capillarmente in tutto il territorio, attrezzando il corpo del Partito e l’azione dei suoi quadri di un adeguato supporto formativo e conoscitivo da una parte, e, dall’altra, che gli stessi gruppi dirigenti che sappiano esercitare direzione politica si pongano l’obiettivo della verifica dei risultati. In questo modo, inchiesta, vertenzialità e pratica dell’obiettivo diventano strumenti quotidiani di conflitto sociale che nascono da quello che dovrebbe essere il luogo fisico dell’azione dei comunisti: il Circolo.
Senza il Circolo, come struttura di base, non c’è perseguimento del progetto, e da lì bisogna partire per trovare le risposte che ci attendiamo sulle innovazioni della forma Partito. Stando attenti che, prima di liquidare ciò che ha permesso la sopravvivenza, ciò richiede non solo una attenta disamina sul terreno organizzativo, ma ancor più richiede la verifica sul lavoro dei gruppi dirigenti, anche alla luce dei seminari di Chianciano.
Rispetto al problema del turn-over, qualcuno, con molto pressappochismo, tende a ridurre la scarsa crescita degli iscritti come effetto della eccessiva litigiosità del Partito meridionale o per l’affermarsi di un ceto politico iperelettoralista che limita o ne condiziona le iscrizioni, per autotutela e autoreferenzialità.
Non nascondo che anche in Calabria ci siano fenomeni di questo tipo, anzi sono pronto a sottoscrivere che essi sono eccessivi e dai toni virulenti. Tuttavia, se si indaga sulle aree dove ciò accade, si scopre che il fenomeno è devastante ed acuto in quelle aree dove manca la formazione politica, dove il Partito è scarsamente radicato, dove non c’è esercizio di direzione politica e di verifica dei gruppi dirigenti, ma, soprattutto, laddove manca un progetto di conflitto sociale e di iniziativa alternativa e antagonista.
Tra i limiti che l’esperienza di questi anni ci consegna, c’è quello di un Partito che non ha un linguaggio comune, e che questo deficit in particolare si palesa durante le scadenze elettorali sul piano locale. Non di rado capita che, a distanza di pochi chilometri, due Circoli possano realizzare alleanze diverse su contenuti programmatici diversi, con proposte che subordinano l’interesse collettivo all’’individualismo del maggioritario, e quindi ad un processo di condizionamento della vita del Circolo per effetto del quale si riducono le sue potenzialità di luogo del conflitto e di luogo delle culture critiche. Si diluisce, in questo modo, lo stesso sentimento di appartenenza al Partito, che non rare volte sfocia in crisi di solidarietà tra i compagni, per cui quando ciò avviene, si avverte facilmente la sgradevole sensazione che il compagno del tuo Circolo è un avversario da attaccare e distruggere.
Nell’era del villaggio globale il Circolo deve diventare la sede di costruzione di una cultura comunista, e poi alternativa e antagonista, per abbattere il sistema dominante. Noi lottiamo per superare questo modello di società, altro che disubbidire. La disubbidienza riconosce un potere costituito, noi ci poniamo il compito di abbatterlo, per cui dobbiamo attrezzare le nostre sedi di conoscenze e di informazioni per evitare il rischio di farle diventare un semplice contenitore vuoto. E perché ciò accada è necessario che saperi ed elaborazione siano patrimonio collettivo e strumenti di direzione politica che si possono acquisire percorrendo necessariamente due strade: la costruzione dei circoli nei luoghi di lavoro e la formazione dei quadri dirigenti.
La costruzione dei Circoli
In Calabria il nostro è un Partito radicato nel territorio e proiettato nella piazza; quasi sempre è presente anche nel dibattito generale, in quello istituzionale e nei movimenti. Regge bene nelle tornate elettorali nelle quali, escluso il voto delle regionali del 2000, ha un andamento superiore alla media nazionale; partecipa con impegno ed entusiasmo alle battaglie generali del Paese. Tuttavia, perpetuando un limite presente anche nel vecchio Pci, siamo del tutto assenti in forma organizzata laddove si consuma il conflitto di classe tra profitto e salario: i luoghi di lavoro. È questa consapevolezza che deve indurci ad innovare la nostra modalità di costruzione delle strutture di base. Per cui, lavorare in questa direzione senza rinunciare a costruire nel territorio, non significa soltanto esaltare la centralità del lavoro come strumento di democrazia e di civiltà di un popolo, diventa una via maestra per avviare una diffusa vertenzialità territoriale sul tema del lavoro, la quale, in una regione a profonda crisi sociale come la Calabria, indirizzi la sua massima attenzione nella centralità del salario contro ogni forma di precariato e di flessibilità e concentri l’obiettivo della sua lotta contro il complesso e articolato blocco dominante calabrese, che con i suoi tentacoli avviluppa e blocca lo sviluppo di questa regione.
Indagare sul rispetto dei diritti acquisiti (busta paga, orario di lavoro, turni, straordinari, mansioni, ect.) e rilanciare la lotta per la loro difesa è fondamentale, soprattutto, per sconfiggere i collaudati meccanismi meridionali di cooptazione del conflitto sociale. Così come riappropriarsi dell’iniziativa che intacca i processi di accumulazione capitalistica e la logica del profitto sul lavoro dipendente è indispensabile per estendere l’alleanza con il magma della disoccupazione, ufficiale e sommersa, con il diffuso mondo del precariato che subisce il salario dimezzato e il lavoro nero e mal pagato.
Infine, la costruzione del Circolo nei luoghi del lavoro, l’inchiesta locale e la vertenzialità diffusa a sostegno dei diritti dei lavoratori, aiutano ad uscire dalla lettura sociale dell’emergenzialità in cui il Partito è stato coinvolto per lungo tempo. Dedicandoci solo a questa interpretazione dei conflitti sociali, lentamente al nostro osservatorio è sfuggito il processo di progressivo smantellamento del tessuto produttivo e dei livelli occupazionali, e, ritenendo quanto accadeva come il compiersi di un ineluttabile destino di subalternità e di sconfitta, abbiamo concentrato le nostre attenzioni esclusivamente alle emergenze, verso le quali nonostante un profuso e quasi totale impegno abbiamo potuto incidere pochissimo.
La formazione
La seconda strada è quella della fomazione dei quadri dirigenti e dei giovani che vogliono partecipare alla politica. Non per imbonirli di ideologismo o dogmatica, quanto invece per dare loro strumenti di criticità nella costruzione del conflitto; non per formare rivoluzionari di professione, ma per introdurli alla analisi critica marxista. La conoscenza della teoria e della storia è parte fondamentale della prassi politica, senza la quale non costruisci l’innovazione, per cui la formazione diventa un feed-back dell’agire politico, che solo nel processo dinamico di input e output forma e consolida gruppi dirigenti. Altrimenti l’innovazione, anche organizzativa, diventa una semplice enunciazione esterna che ha valore in rapporto alla carica carismatica di chi emette il messaggio, ma che perde la sua vitalità man a mano che diluisce l’intensità emotiva dell’evento o della fonte di emissione. “La crescita culturale dei militanti – specie quelli più giovani – è per il partito un patrimonio di primaria importanza, senza il quale sarebbe velleitario quell’investimento futuro che informa e giustifica il nostro impegno comune”, per come è scritto nella Tesi 56 alternativa, a firma di Grassi, Pegolo ed altri, è un fine prioritario.
In secondo luogo la formazione diventa necessaria per adeguarsi alla velocizzazione delle informazioni e alla estensione delle sedi legislative. In Calabria, come in tutto il Mezzogiorno, con l’avvento della legislazione decentrata alle regioni è sempre più difficile e problematico affrontare in forma omogenea le politiche economiche e sociali dei governi regionali, se non hai le adeguate conoscenze e aggiornamenti continui alternativi. A fronte di ciò chi informa i nostri militanti e i nostri gruppi dirigenti dell’evolversi specialistico della legislazione, regionale ed europea? Chi elabora percorsi alternativi, proposte alternative? Possiamo procedere solo nella critica oppure dobbiamo avere la capacità della proposta alternativa? Sul terreno dello Stato e degli enti locali, la rivista Le Autonomie riesce a dare più di un contributo importante, anche se ha ancora bisogno di rafforzamento. Mancano, però, nonostante l’attività dei compagni dei Dipartimenti nazionali, interventi organici sulla scuola, sulla sanità, sulla giustizia, sul lavoro, sull’economia. Temi e problemi che sono argomenti quotidiani della nostra iniziativa.
Se il quotidiano Liberazione fosse letto da tutti gli iscritti, potremmo dire di essere a buon punto, ma i dati di lettura sono scoraggianti: il nostro quotidiano è letto ancora da pochi, pochissimi compagni, mentre molti nostri iscritti formano le loro opinioni esclusivamente dalla informazione radiotelevisiva o dalla stampa padronale e di regime. Bisogna dunque rafforzare la vendita del nostro giornale, come primaria necessità di elaborazione di una produzione specialistica sulle tematiche più importanti del conflitto. E bisogna utilizzare i nostri saperi, che pur abbiamo e dobbiamo valorizzare.
La diffusione di Liberazione non serve solo per controinformare, ma anche per formare e convincere della giustezza delle nostre posizioni politiche. Quindi va organizzata la vendita del giornale e vanno valorizzate le sue feste che diventano un momento importante della vita del Partito.
Così come va organizzato il tesseramento e l’autofinanziamento che non sono attività plebee e povere della nostra iniziativa, ma modalità fondamentali dell’organizzazione e della vita di un partito senza le quali non avremo mai la possibilità di crescere.
Da ciò scaturisce il terzo elemento di un necessario processo di formazione che va dedicato al fare politica e alla cassetta degli attrezzi. È del tutto normale che crisi di militanza e turn-over degli iscritti possano avere origine da questa assenza di strumenti. Un circolo territoriale ha bisogno di stare aperto e l’iniziativa politica ha i suoi costi: sede, luce, manifesto, volantino, giornalino, assemblea pubblica, banchetto sono costi ed attività che non si inventano dal nulla e hanno bisogno delle informazioni minime perché si concretizzino. Se non si interviene su questo terreno, è facile che subentri la cultura della delega, così diffusa nel Sud e ancor di più in Calabria.
Cultura della delega che va ad intaccare lentamente l’idea della militanza e del lavoro collettivo, in un progressivo cedimento di responsabilità che dal militante si trasferisce al dirigente di partito, da questi all’eletto, e di lì a salire ai vari livelli istituzionali fino alla creazione di una vera e propria elite nella gestione del Partito.
Per concludere, solo nell’insediamento di un “partito che sappia costruire una critica teorica e pratica dell’esistente, una politica non separata dai contenuti, una partecipazione non delegata, un rapporto reale con la società e di suscitare movimenti e lotte e…..lavorare alla costruzione di una ampia e articolata sinistra di alternativa (Tesi alternativa alla 56)” è possibile superare quell’andamento dicotomico tra gruppi dirigenti nazionale e tra aree territoriali periferiche ed aree metropolitane di cui scrivevo inizialmente.