Cosa rossa giù nei sondaggi ecco perché il Pd spinge per il sistema tedesco

I dati parlano chiaro. E Walter li conosce meglio di tutti. Innanzitutto perché sono stati consegnati dai sondaggisti dell’Ipsos ai vertici del Partito democratico proprio nel giorno in cui lui, Veltroni, ha parlato da neosegretario davanti alla costituente. Su quei numeri che spingono il Pd fino alla soglia del 39 per cento, per giunta, Veltroni è tornato a ragionare nelle riunioni immediatamente successive al 27 ottobre. E ha dovuto prendere atto che con un sistema proporzionale puro, alla tedesca appunto, i vantaggi per il suo partito sarebbero enormi. È infatti sulla base del modello elettorale adottato in Germania che l’Ipsos ha svolto la simulazione. E a questo punto la via alla riforma elettorale, per gli ulivisti, sembra segnata. Non a caso ieri Veltroni ha incontrato Fausto Bertinotti nello studio presidenziale di Montecitorio per parlare di riforme e legge elettorale. Non a caso, oltre al leader democratico, al suo vice Dario Franceschi-ni e al ministro dell’Interno Giuliano Amato c’era anche il segretario di Rifondazione Franco Giordano: il Prc è tra i partiti più affezionati all’idea del proporzionale con sbarramento. Adesso la marcia verso quel modello sembra subire una decisa accelerazione. Tanto da provocare tensioni anche nel centrodestra: ieri a Palazzo Madama le quattro assenze tra i banchi dell’Udc sono risultate decisive per salvare il governo su un ordine del giono della Lega che avrebbe dimezzato da gennaio il numero dei ministri. E le nuove aperture di Lorenzo Cesa alla maggioranza sul sistema di voto («facciano una proposta concreta e saremo disponibili al dialogo») hanno accentuato i sospetti degli alleati, del Carroccio in particolare Certo è che tutte le valutazioni sembrano incoraggiare il Pd a cercare l’intesa con il partito di Pier Ferdinando Casini per far passare il proporzionale alla tedesca. Soprattutto nel citato sondaggio dell’Ipsos ci sono dati inequivocabili: con quel modello il partito nato dalla fusione tra Ds e DL arriverebbe al 38,8 e ruberebbe un mare di voti a una futura Cosa rossa, ferma a un misero 6,3 per cento. Pagnoncelli interpreta così il fenomeno: «Lo sbarramento più alto produrrebbe una notevole semplificazione, con 6 sole liste, e farebbe ridurre molto l’area del non voto. Dall’attuale 33-35 per cento si scenderebbe al 19. In quell’area ci sono molti potenziali elettori, oggi delusi, del Pd, che sarebbero rassicurati dal vedere il loro partito presentarsi autonomamente dalla sinistra radicale». A questa va aggiunta un’altra, decisiva considerazione: «Con il modello tedesco la competizione è di fatto tra i primi due partiti. Nello specifico, tra la possibile federazione An-FI e appunto il Pd: per questo molti di quelli che oggi voterebbero per le sigle della sinistra radicale sceglierebbero di dare più forza al simbolo che può impedire la vittoria del centrodestra, dunque a Veltroni». Al neoeletto segretario queste valutazioni sono note da tempo. Probabilmente gli sono arrivati anche i dati raccolti da altri istituti demoscopici come quello di Nicola Piepoli, che spiega: «A prescindere dal sistema di voto, la Cosa rossa oggi perderebbe almeno un quinto dei consensi rispetto a quelli che complessivamente andrebbero ai singoli partiti dell’ala radicale. Parte di quegli elettori diserterebbero le urne». Non varrebbe dunque la pena, per il Pd, affidarsi a un sistema rigidamente bipolare e all’attuale coalizione, destinata a una ancora più grave sconfitta. Sarebbe assai più sensato pensare alle cosiddette alleanze di nuovo conio, dice Piepoli, «visto che un partito nuovo ha un vantaggio enorme: mentre quelli che già esistono sono collocati in un certo campo e perdono consensi se passano dall’altra parte, il Pd non ha ancora un’immagine consolidata e può scegliere collocazione ed alleanze con più libertà». Serve altro per capire che la via tedesca, seppur con varianti spagnole, è la migliore?