Corea: una riunificazione possibile?

L’incontro avvenuto alla metà di giugno tra i presidenti della Corea del Nord e della Corea del Sud, ha segnato indubbiamente una significativa svolta nelle relazioni internazionali dell’area asiatica.

La visita del presidente della Corea del Sud Kim Dae Jung a Pyongyang ha rappresentato una accelerazione di un processo che era latente da tempo anche se caratterizzato da bruschi e continui stop and go.

La ripresa del dialogo tra i due Stati in cui la guerra fredda e il conflitto del ‘50-’53 avevano diviso la penisola coreana, era una esigenza assai sentita dalla società coreana in entrambi i paesi. Nella Repubblica Popolare Democratica di Corea (il Nord) l’obiettivo della riunificazione è stato da anni al centro delle relazioni internazionali.

Dagli anni ‘60 in poi, Comitati per la Riunificazione della Corea sono nati un po’ in tutto il mondo. I più solidi sono sorti in Giappone (dove vive una grossa comunità coreana). Altri sono nati negli Usa e in Europa, soprattutto in Francia.

Negli anni ‘90 l’obiettivo della riunificazione aveva visto crescere la sua centralità proprio sulla spinta degli avvenimenti che avevano portato alla dissoluzione dei paesi socialisti nell’Europa dell’Est. Paradossalmente e al contrario di quanto sostenuto dalla maggioranza degli osservatori occidentali, la Corea del Nord aveva trovato proprio nel crollo del socialismo reale una ragione in più per rafforzare il carattere nazionale della propria esperienza politica e statuale. I nordcoreani sintetizzano questa ambizione nel quadro del pensiero Juche che può essere riassunto in un concetto molto semplice: “contare sulle proprie forze”.

Il leader nordcoreano Kim Il Sung prima di morire nel 1994, aveva dedicato gran parte del proprio programma all’obiettivo della riunificazione della Corea. La piattaforma dei Dieci punti per la riunificazione della Patria può essere considerato il suo testamento politico.

Nel gruppo dirigente nordcoreano è sempre stata forte la consapevolezza che la Corea rischiava di essere stritolata dalla sua posizione geopolitica che la colloca in mezzo ad almeno quattro grandi potenze (Cina, Russia, Stati Uniti e Giappone) e da una storia che ha visto proprio questi grandi stati affrontarsi militarmente nella penisola coreana (guerra russo-giapponese; occupazione giapponese, la guerra del ‘50-’53 e poi occupazione statunitense permanente nel sud).

La tensione militare nella penisola coreana negli anni ‘90 è stata altissima e in due occasioni ha rischiato di esplodere in conflitto aperto. Fonti statunitensi hanno rivelato che nel 1994 e nel 1999 si è rischiata la guerra (1).

Ma l’incontro dei due Presidenti a giugno di quest’anno sembra aver aperto una nuova fase.

Nel corso dei colloqui tra Kim Jong Il e Kim Dae Jung, è stato sottoscritto un comunicato congiunto su cinque punti:

1) impegno a cercare la riunificazione “indipendentemente e con gli sforzi del popolo coreano, padrone dei destini del paese”, cioè trattando bilateralmente da soli e “senza ingerenze” di altre potenze;

2) lavorare ad una confederazione o ad una federazione tra i due paesi;

3) adoperarsi per riunire le famiglie separate a seguito della divisione del paese e per scarcerare i prigionieri di guerra che sono ancora in carcere nella Corea del Sud dopo ben 47 anni;

4) consolidare la fiducia con la cooperazione economica e con scambi culturali e sportivi;

5) mantenere un dialogo costante tra i due paesi.

Il comunicato evita di esprimersi su due punti che la Corea del Nord ritiene tuttora fondamentali: il ritiro dei 36.000 soldati americani dalla Corea del Sud e l’abrogazione della “Legge sulla Sicurezza Nazionale” che fino ad oggi ha criminalizzato e perseguito con pene pesantissime ogni contatto tra Nord e Sud. Ma nel complesso i primi risultati ottenuti appaiono piuttosto importanti per avviare un processo più avanzato di dialogo con l’obiettivo della riunificazione.

Sul carattere della riunificazione, i nordcoreani pensano al modello federale che mantenga i due diversi sistemi sociali con due governi e due parlamenti autonomi.

I diplomatici della Corea del Nord hanno più volte sottolineato come guardino con interesse all’esperienza istituzionale dell’Unione Europea.

I nemici della riunificazione della Corea

Ma tutto questo non significa che la strada della riunificazione della Corea sia in discesa. Nessuno può nascondersi che una Corea unificata inquieta i sonni di più di qualche cancelleria.

È sufficiente notare le reazioni giapponesi ed americane al vertice di Pyon gyang per avere una idea.

“Il Giappone teme molte cose” commenta un buon osservatore come Alessandro Corneli “teme il nazionalismo antinipponico, una corsa agli armamenti in tutta la regione, un ritorno nella penisola interna sotto l’influenza della Cina, una pressione per il ritiro delle truppe americane da Okinawa o, viceversa, richieste di maggiori impegni da parte di Washin gton” (2).

Ma anche gli Stati Uniti, al di là delle dichiarazioni di prammatica e della promessa di allentare le sanzioni economiche contro la Corea del Nord, vedono emergere posizioni affatto lusinghiere sull’esito del vertice tra le due Coree. Richard Boucher portavoce del Dipartimento di Stato ha dichiarato testualmente che “non abbiamo visto né sentito nulla che rassicuri sulla questione delle minacce missilistiche”. Più recentemente gli Stati Uniti hanno posto una condizione difficilmente accettabile e cioè che i lanci missilistici per i satelliti (cosa che viene fatta sistematicamente sia dagli Usa che dal Giappone e dai paesi europei) non avvengano dal territorio coreano ma da altri paesi (3).

Giappone e Stati Uniti più che una improbabile minaccia missilistica sembrano temere l’indipendenza con cui le leadership delle due Coree intendono gestire il processo di dialogo e il progetto di riunificazione. Tale progetto andrebbe tra l’altro in controtendenza rispetto alla disgregazione a cui vengono sottoposti tutti gli Stati non integrati nella triade imperialista Usa-Unione Europea-Giappone. Le vicende dei Balcani, dell’ex Urss o della stessa Indonesia sembrerebbero dimostrare che tale processo disgregativo sia uno dei perni vitali della “globalizzazione imperialista”.

Il ruolo svolto dall’Italia

L’apertura delle relazioni diplomatiche tra l’Italia e la Repubblica Popolare Democratica di Corea, è stato senza dubbio un segnale importante. Il passaggio qualitativo nelle relazioni tra i due paesi (fino ad oggi in Italia la Corea del Nord aveva solo un’ambasciata presso la Fao mentre oggi ha assunto lo status di Ambasciata presso lo Stato Italiano) è da considerare un ottimo risultato internazionale della diplomazia coreana, ma anche di chi in questi anni ha lavorato per rimuovere dalle relazioni bilaterali tra i nostri due paesi ogni eredità della guerra fredda.

Incontrando l’Ambasciatore Kim Hung Rim abbiamo verificato una soddisfazione palpabile. “L’apertura delle relazioni tra noi e l’Italia, è il risultato della politica di indipendenza dei nostri due paesi” ci ha detto Kim Hung Rim. Abbiamo chiesto come questo risultato potrà influire sul progetto di riunificazione delle due Coree al quale la Corea del Nord non ha mai rinunciato “Quella di una confederazione rimane il modello più realista per riunificare la Corea ed impedire che una delle due parti imponga all’altra il proprio sistema”. Abbiamo chiesto a Kim Hung Rim quando avesse avuto la percezione che la politica estera italiana verso la Corea del Nord stesse cambiando e come mai l’Italia avesse preso a suo avviso questa decisione. Negli ultimi tre anni si erano intensificati i contatti diplomatici a livello di alti funzionari della Farnesina.

“Ma soprattutto ab biamo dimostrato di essere un paese indipendente che non si è mai piegato alle minacce dell’imperialismo”.

Alla luce dei fatti occorre riconoscere che la politica della Rpd di Corea si è rivelata vincente nelle relazioni in ter nazionali. A nessuno sfugge che anche in questo caso l’Italia farà da apripista all’apertura delle relazioni diplomatiche con gli altri paesi del l’Unione Europea. Se è vero che la competizione tra Eu ropa e Stati Uniti è destinata a crescere, il fatto che la Corea del Nord ab bia tenuto duro in un’area egemonizzata dagli Usa, non potevano che crearsi le condizioni per normalizzare le relazioni con l’Europa. Dal canto suo l’Unione Euro pea sta cercando di recuperare rapidamente il tempo perduto nella sua presenza economica e politica in Asia, dove per decenni ha lasciato che gli Stati Uniti esercitassero la loro egemonia indisturbati.

Le dichiarazioni rilasciate da Dini in merito all’incontro dei due presidenti coreani – “Mi pare che avevamo giusto” – confermano un ruolo non certo secondario svolto dalla nuova politica estera italiana in uno scacchiere complesso e del tutto nuovo per la Farnesina come quello asiatico. Dini ha cercato di leggere questo risultato nella direzione di una rinegoziazione del trattato Abm sui sistemi antimissili che spunti i tentativi americani di procedere alla realizzazione di un sistema antibalistico che rischia di innescare una nuova corsa al riarmo nucleare e missilistico (4).

Alla luce di queste considerazioni appare quasi scontato come la politica internazionale della sinistra italiana non possa che seguire con maggiore attenzione di quanto fatto fino ad oggi gli sviluppi della situazione nella penisola coreana.

NOTE:

(1) Per una ricostruzione storica e politica della tensione nella penisola coreana negli anni ‘90 vedi Corea: il secondo fronte (edizioni Quaderni di Contropiano).

(2) A. Corneli: Lo sguardo interessato delle grandi potenze, in Sole 24 Ore del 10 giugno 2000.

(3) Nell’agosto del 1998 la Corea del Nord ha effettivamente effettuato un test missilistico per il lancio di un satellite che ha sorvolato il Giappone seminando il panico tra gli esperti militari statunitensi e giapponesi. Ma la Corea del Nord ha anche bloccato il test sul nuovo vettore “Taepong 2” per evitare una escalation che poteva sfociare in conflitto dimostrando però di avere a disposizione la tecnologia per effettuare lanci missilistici.

(4) Dichiarazioni riprese dal Corriere della Sera del 10 giugno 2000.