L’attuale fase che stiamo vivendo impone alla classe operaia, di rompere il muro di paura e intimidazioni e rimettersi alla guida,come vera e unica classe dirigente, di un movimento che rimetta al centro dei processi culturali ed economici il bene collettivo avverso alla centralità del mercato inteso unicamente come mezzo di regolazione dei rapporti umani ed economici. La classe operaia deve ritornare a parlare e lottare perché la trasformazione della società sia indirizzata verso un mondo migliore e più vivibile e non solo basata sul denaro. Deve essere l’unico vero collante con i territori, ritornando ad essere guida ed ispiratrice dei processi di cambiamento.
Il progetto dei padroni di uno sfruttamento intensivo delle risorse naturali ed umane per raggiungere l’obiettivo del profitto continua senza incontrare più gli argini democratici e sociali che aveva incontrato nel passato quando erano presenti due grandi partiti di massa, PCI e DC, ed un forte ed autonomo sindacato, che vedeva nella CGIL il sindacato guida, portatore di progettualità e lotta.
Centrale in questa fase di neoliberismo è la precarizzazione del lavoro: il lavoro precario abbatte il salario garantito e rende meno sicure le condizioni di lavoro, provocando divisioni tra i lavoratori. Questa vergognosa situazione sta portando ad una progressiva precarizzazione della vita non solo dal punto di vista economico, ma anche sociale e culturale.
In questo contesto globale si inserisce il protocollo welfare, recentemente varato dal governo, che và a rafforzare il disegno della legge 30 che istituzionalizza la precarietà del mondo del lavoro.
Il protocollo, accettato da Governo, Confindustria e parti sociali, prevede, tra le altre cose, la detassazione degli straordinari a favore delle imprese. Nel panorama lavorativo italiano, con stipendi non ancorati a forme di recupero dell’inflazione come la scala mobile, si avrà nel prossimo futuro un uso massiccio di tale strumento. Tutto questo andrà a discapito non solo della sicurezza dei lavoratori, come la recente tragedia della Thyssen-Krupp, dove gli operai morti erano al lavoro da dodici ore, ha dimostrato, ma anche dei livelli occupazionali, generando un conflitto sociale tra lavoratori ipersfruttati e lavoratori esclusi dai processi produttivi. Il tema della sicurezza non può e non deve avere soltanto una timida indignazione del momento. Il sindacato deve ritornare ad essere baluardo della democrazia, incessante martello per il rispetto delle leggi e dei diritti.
L’incessante susseguirsi di morti sul lavoro, dette morti bianche, non troveranno argine in dispositivi legislativi se non verranno implementati gli organi di controllo, pubblici e liberi da pressioni da parte dei poteri forti. Bisogna inasprire le pene sulla sicurezza del lavoro e, innanzitutto, renderle certe. Non c’è sviluppo economico, sociale e culturale, se non c’è il contributo determinante della classe lavoratrice.
In tale contesto generale si inseriscono le vicende che hanno interessato il distretto industriale di Pomigliano, dalla vicenda Alfa Avio alla cessione del ramo d’azienda di Alenia ed Ansaldo (che sembra essere l’inizio di un effetto-domino che interesserà tutto il gruppo Finmeccanica), fino ai fatti più recenti riguardanti Fiat Auto.
L’accordo sul contratto dei metalmeccanici, ha dimostrato la debolezza di questo sindacato.Un sindacato che baratta aumenti salariali,che non coprono nemmeno l’inflazione programmata,con maggiori flessibilità.Passi indietro che indeboliscono i lavoratori.L’azione mediatica sta strumentalizzando tale accordo,con la complicità di questo,ormai fallimentare, governo di centro sinistra.Un accordo non frutto di una concertazione vera,tra forze in campo con pari dignità ma, un ricatto,quello padronale, di andare avanti in modo unilaterale,per cancellare il contratto nazionale e dare via libera alle gabbie salariali. Per la classe operaia e per il mondo del lavoro in generale, se non ci sarà un sussulto,inizierà un percorso definitivo di declino economico e culturale difficilmente risolvibile nei prossimi venti anni.
La stagione della concertazione, che la FIOM intendeva superare a vantaggio di una più equa ridistribuzione, è stata definitivamente accantonata, nella prassi, da una politica economica e sociale che ha prodotto precarietà, insicurezza, mortificazione sociale e culturale della classe operaia, dei lavoratori, dei cittadini.
Questa fase nuova, da riaprire urgentemente, deve essere una fase di conflitto, di rinnovamento, di rivendicazione e di democrazia sindacale che deve avere come obiettivo finale l’autonomia del sindacato (che non per forza deve significare distacco dalla politica). Il sindacato deve ritornare a dire a gran voce, con nettezza e chiarezza, che si fanno accordi, quando ci sono le condizioni e si è conflittuali quando queste condizioni non ci sono. C’è quindi l’urgenza di ristabilire regole chiare purtroppo dimenticate. Bisogna ritornare dai lavoratori, ricostruire con essi un nuovo rapporto, sviluppare una nuova coscienza di classe e ristabilire in questo modo i rapporti di forza. Il sindacato, il nuovo sindacato che vogliamo, la nuova Fiom che vogliamo deve lavorare per l’unità tra i lavoratori, e non solo all’unità delle sigle sindacali o delle loro burocrazie,essere portatrice di un progetto che dia messaggi ed indicazioni chiare. Al tavolo delle trattative vogliamo un sindacato non più subalterno, ma forte e soprattutto rappresentativo e partecipativo.I delegati di fabbrica, i primi veri rappresentanti diretti dei lavoratori , devono ritornare ad essere i protagonisti. E’ necessario, però, non delega ma partecipazione. Questa nuova fase ,quindi, non può prescindere dalla presenza di un sindacato forte, libero e con chiari processi democratici interni. In questo momento la classe operaia non può venir meno al proprio ruolo di guida nei processi di cambiamento. La richiesta di cambiamento per avere un sindacato libero e forte non può prescindere dal ritorno al voto segreto sulle piattaforme e sugli accordi, i quali vanno resi noti ai lavoratori con tutti i mezzi di comunicazione, vecchi e nuovi, dai tazebao alla e-mail ai volantini. Soltanto con un accettazione consapevole da parte dei lavoratori il sindacato può essere libero da pressioni politiche, economiche e finanziarie e costruire le basi per quel conflitto senza il quale nulla può cambiare.
Un sindacato che non fa del conflitto e della democrazia interna la sua piattaforma operativa è un sindacato destinato alla sconfitta. Per questo motivo occorre costruire una mobilitazione democratica dal basso, dagli iscritti al sindacato, che sappia spingere verso il cambiamento, difendendo sempre e comunque l’unico vero strumento a tutela dei lavoratori:il sindacato. I lavoratori vogliono discutere, essere informati. Bisogna ritornare alla formazione costante e qualificata, rimettendo al centro la progettualità e i reali bisogni del popolo degli sfruttati. Il sindacato come elemento di rivendicazione, come soggetto di emancipazione culturale, come organismo democratico di tutela e miglioramento della condizione delle lavoratrici e dei lavoratori, che non consideri il quadro politico del momento e prescinda dalle analisi economiche imperanti. Insomma, un sindacato che si interessi maggiormente dei soggetti che intende rappresentare e meno di sfoggiare teorie economiche padronali.
Alenia Pomigliano
Alfa Avio Pomigliano
Fiat Auto Pomigliano
Alenia Casoria
Ansaldo Casoria