Si è riaperta la stagione delle riforme costituzionali all’insegna del rilancio del “presidenzialismo” e della “devoluzione”. Segnali inquietanti di una deriva politico-istituzionale che tende a ridimensionare le garanzie dei diritti e la possibilità di un esercizio democratico della volontà popolare. Questa nuova offensiva condotta dal governo Berlusconi non trova, tuttavia un’adeguata risposta da parte delle forze del centro-sinistra. La stessa contro-proposta del premierato in alternativa al semi-presidenzialismo alla francese o all’elezione diretta del capo del governo è assai discutibile, in quanto mal corrisponde alle caratteristiche del nostro sistema istituzionale e, in ogni caso, si muove nella prospettiva di un ulteriore rafforzamento del ruolo del capo del governo. All’origine di queste ambiguità sta un orientamento che si è affermato nel corso degli anni 90 nelle stesse forze del centro-sinistra a favore di meccanismi di tipo maggioritario e presidenzialistico, con l’obiettivo di affermare nel nostro paese un modello bipolare che contrasta palesemente con la sua storia politico istituzionale. Questa scelta ha comportato nel corso di questi anni numerosi guasti ed è necessario che venga rimessa in discussione. Per riflettere sulla nuova stagione di riforme costituzionali e soprattutto per individuare percorsi alternativi a quelli che si stanno affermando abbiamo chiesto un contributo a Gianni Ferrara, noto costituzionalista, da sempre impegnato nella difesa del dettato costituzionale contro gli stravolgimenti in senso antidemocratico.
Vorrei partire dalla riforma del Titolo V della Costituzione. Questa riforma è stata presentata come una “svolta” da parte delle forze del centro-sinistra, come il compimento di un forte decentramento dei poteri, la realizzazione di un sistema ispirato al federalismo “solidale”. Qual è il tuo giudizio?
Molto negativo perché in realtà questa riforma stravolge principi fondativi dell’ordinamento costituzionale, come quello dell’uguaglianza, in quanto introduce il criterio dei livelli “essenziali” delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali.
Il che significa che, visto che soltanto per i livelli “essenziali” è prevista una legislazione uniforme, è possibilissimo, anzi sarà fatale, che per il resto ci sarà una differenziazione a seconda delle possibilità finanziarie delle regioni, con ciò pregiudicando la solidarietà tra i cittadini di questa Repubblica, la loro uguaglianza sostanziale di fronte alla Legge.
Credo, inoltre, che sia pericolosissima la modifica introdotta all’art. 116 della Costituzione che consente a ciascuna regione di ottenere l’attribuzione di nuove materie semplicemente con Legge statale ordinaria, a maggioranza assoluta. Il che significa che, ad esempio, la Regione Lombardia potrebbe facilmente ottenere, sulla base del titolo V, l’attribuzione di chissà quali materie.
E tanto più potrebbe accadere, visto che la regione Lombardia è in condizioni di vantaggio rispetto alla Lucania, alla Calabria o alla Sicilia per quanto riguarda il gettito fiscale.
Proprio sulla parte del Titolo V che riguarda il federalismo fiscale vorrei una tua valutazione.
In un mio saggio ci sono due principi segnalati come contraddittori rispetto alla prima parte della Costituzione: la potestà tributaria riconosciuta alle regioni e il principio di sussidiarietà orizzontale che consente di trasferire funzioni ora pubbliche ai privati.
Il che è assolutamente deprecabile e non ha nulla a che fare, non solo con la cultura di sinistra, ma anche con la cultura democratica, forse anche con la cultura liberale.
Si era detto, quando fu approvata la riforma del Titolo V e successivamente quando fu indetto il referendum, che con questa riforma si sarebbe riusciti a “stoppare” la Devolution che Bossi chiedeva. In realtà, come abbiamo visto, l’offensiva sulla Devolution si è riproposta immediatamente dopo. Allora l’interrogativo che voglio porti è questo: non credi che, di fatto, la riforma del Titolo V anziché frenare la spinta verso la Devolution abbia in qualche modo aperto la strada verso quell’ipotesi?
Non ho dubbi. Soltanto un dio può salvarci dalla stupidità e forse neanche un dio può salvarci dalla stupidità mista alla furbizia.
All’interno del centro-destra è in corso una discussione fra i sostenitori del sistema semi-presidenzialista alla francese e i sostenitori dell’elezione diretta del capo di governo. Qual è la tua opinione a riguardo?
Per quanto riguarda il semi-presidenzialismo alla francese bisogna considerare che questa forma di governo, nel mondo, si è realizzata soltanto in un paese, la Francia, con De Gaulle. È stata costruita su misura per De Gaulle. A tale proposito, Mitterand disse che la riforma, per evitare l’anarchia assembleare, aveva prodotto una forma molto vicina a quella della monarchia. Sciaguratamente lo disse alla fine del suo mandato, non prima, anche perché prima gli faceva comodo avere questi poteri. È in realtà una forma di governo che ha determinato un rafforzamento incredibile dell’esecutivo. Perché se la maggioranza dell’assemblea nazionale coincide con la maggioranza che ha eletto il Presidente, allora l’esecutivo ha in mano tutto il potere. Il che è contrario a qualunque principio costituzionale che mira a distribuire il potere, anziché concentrarlo.
Se, invece, questo sistema produce la coabitazione di coalizioni diverse, rende indistinguibile la responsabilità del Presidente da quella del governo. Il che spiega come mai in Francia, dopo la coabitazione, la gente abbia alla fine scelto una soluzione extra costituzionale, antisistema, a favore di Le Pen.
E sulla proposta dell’elezione diretta dal capo del governo?
È una proposta stupida. Non viene applicata, in nessun paese del mondo.
Ma vi è stato un precedente in Israele, no?
Si, ma poi si è proceduto a modificare il sistema perché si poteva determinare una situazione in cui il presidente era differente, come orientamento, da quello della maggioranza del Parlamento.
A questa offensiva del centro-destra sul presidenzialismo, nelle sue varianti, il centro-sinistra ha riproposto recentemente l’ipotesi del “premierato”.
Diciamo le cose come stanno. Il premierato è il termine che viene attribuito al sistema parlamentare inglese. In quel sistema il leader del partito vincente diventa “premier”. Quindi chi vince è il partito, non il leader. E se il leader del partito cambia, cambia il premier, come è accaduto con il governo Thatcher e, dopo la Thatcher, con il governo Major.
Questa è la logica di quel sistema che deriva dal suo carattere bi-partitico. Voler recepire gli effetti di quel sistema in un sistema pluripartitico è un non senso.
L’Italia, non mi stancherò mai di dirlo, ha sempre avuto un sistema multi partitico fin dai tempi di Cavour. La Repubblica italiana è sorta avendo come fattori determinativi della sua esistenza le coalizioni dei partiti anti-fascisti. Ha sempre avuto, successivamente, governi di coalizione. E anche adesso abbiamo governi di coalizione. Soltanto che ora le coalizioni si formano preventivamente all’atto delle elezioni.
Vorrei chiederti, a tuo modo di vedere, che tipo di modifiche si renderebbero comunque necessarie?
Nel corso di questi anni si è avuto l’abuso della decretazione delegata, l’utilizzo massiccio della delegiferazione, l’uso maldestro e anche abnorme dei regolamenti.
Per la verità questo travisamento dell’ordine delle fonti legislative era iniziato già prima, direi con il governo Ciampi. È poi proseguito con il governo Dini, che non avendo una maggioranza ha cercato di trovare una via per poter attuare un qualche indirizzo, e con i governi che si sono succeduti dopo il ‘96, che hanno determinato il travisamento radicale dei canoni costituzionali per l’uso assolutamente illegale delle deleghe. Per cui è aumentato enormemente il potere del governo.
Per quanto riguarda la delegificazione, la Legge 400 dell’88 imponeva che essa fosse possibile a condizione che la legge che l’autorizzava contenesse le norme generali sulla materia da delegificare.
Ora queste norme generali sono diventate qualcosa di estremamente generico. Oggi di fatto non abbiamo più la delegificazione, abbiamo in realtà una proliferazione abnorme del potere regolamentare del governo.
Di qui la necessità di disporre di garanzie per quanto riguarda la funzione amministrativa, garanzie per il ruolo dell’opposizione e potenziamento della figura di garante del Presidente della Repubblica.
Non ho difficoltà a dire che l’art. 74 della Costituzione sembra essere stato dimenticato dal Presidente Ciampi.
L’Art. 74 della Costituzione, quello che consente al Presidente di rinviare alle Camere la legge, è stato dimenticato, come se fosse stato abrogato. È questo l’effetto di una certa concezione del sistema maggioritario. Quella secondo cui chi ha la maggioranza può fare tutto quello che vuole.
Per rafforzare il ruolo di garanzia del Presidente si renderebbe necessario che questi fosse eletto dal Parlamento con maggioranza qualificata, cioè una maggioranza superiore a quella assoluta, per evitare che la sola maggioranza di governo possa procedere alla sua elezione.
A proposito del sistema elettorale, è evidente la tua critica nei confronti del sistema maggioritario. Tu cosa pensi sarebbe opportuno avanzare come proposta alternativa?
Il sistema proporzionale con sbarramento. È anche possibile avere un proporzionale che incentivi le coalizioni.
Con una quota di premio di maggioranza?
Già negli anni ‘70 avevo avvertito, su Mondo Operaio, che il sistema elettorale non funzionava.
Per questo avevo avanzato la proposta di un meccanismo che premiasse la coalizione più forte, avvalendosi dell’effetto maggioritario prodotto dal metodo Dont. Insomma, un sistema proporzionale corretto. Se ne possono inventare chissà quanti altri (250 secondo qualche autore). Il sistema proporzionale è quello che consente che il voto sia veramente uguale. Il motivo per cui sono da sempre contrario al maggioritario è che l’uguaglianza nel voto viene assicurata solo in partenza, non in arrivo. Il voto di chi non indovina il candidato nel collegio è un voto nullo, non serve più.
Vorrei una tua opinione su due temi sui quali, apparentemente, c’è una convergenza tra centro-destra e centro-sinistra, relativamente ad ulteriori modifiche da apportare al sistema costituzionale.
E mi riferisco alla nomina di alcuni giudici costituzionali da parte delle Regioni e alla trasformazione del Senato in Senato delle Regioni.
Io sono del parere che sia da deprecare una modifica della Corte Costituzionale in modo tale da consentire alle Regioni di eleggere cinque giudici.Visto che il nuovo Titolo V è un testo non qualificabile come “monumento di sapienza giuridica” che alimenta un conflitto continuo fra Stato e Regioni, in particolare per quanto riguarda l’attribuzione delle competenze, avremmo che una parte dei giudici, anziché essere super partes, saranno parte in causa in tale conflitto.
Sull’altra questione, su quella cioè del Senato delle Regioni, io sono da sempre mono-cameralista. La democrazia rappresentativa non può essere spezzata in due.
D’altra parte le Regioni possono benissimo partecipare alle attività nazionali, in un sistema mono-camerale, per le iniziative che le riguardano.
Attraverso quale sistema?
Attraverso la partecipazione ai dibattiti parlamentari da parte dei Presidenti o dei rappresentanti delle Regioni.
Utilizzando la commissione Stato/Regioni?
No; basta che quando c’è una Legge che interessa le Regioni, come nel caso della Finanziaria, queste possano partecipare al dibattito, intervenire e presentare emendamenti.
Certo, non c’è il voto, ma voglio vedere cosa accadrebbe se questi emendamenti non fossero recepiti dal dibattito parlamentare.
Un’ultima domanda. Dopo l’approvazione del Titolo V si aprono problemi enormi per quanto riguarda la garanzia dei diritti. Cosa si può fare?
Ricorrere ad una Legge di attuazione del Titolo V che, con un’interpretazione conforme ai principi scritti nella prima parte della Costituzione, riduca le conseguenze eversive che possono determinarsi.