Contro i padroni ciò che paga è solo la lotta

A Reggio Calabria imperversavano da due anni le squadracce dei “boia chi molla”, quando il sindacato unitario dei metalmeccanici decise di convocare, il 22 ottobre del 1972, una manifestazione nazionale proprio nella città dello Stretto. Lo scopo era di rinsaldare l’unità della classe operaia del Nord e del Sud e portare la solidarietà alle forze democratiche reggine, vittime della violenza fascista.
In un clima rovente d’intimidazione, con attentati dinamitardi sulle linee ferroviarie e innumerevoli aggressioni fisiche, una delle decisioni più delicate, per la dirigenza dell’allora Flm, fu su chi far ricadere l’onere dell’apertura del corteo. Alla fine la scelta verté, inevitabilmente, sugli operai delle Omeca, le Officine Meccaniche Calabresi, unico grande insediamento industriale di Reggio e “faro” del sindacalismo confederale tra la classe lavoratrice del luogo, in quel momento pericolosamente insidiata dal populismo della Cisnal di Ciccio Franco.
Si potrebbe dire che da allora poco, o nulla, è cambiato. Reggio, dopo una breve primavera di gestione democratica col defunto sindaco Falcomatà, è tornata nelle mani dei settori più oscurantisti della destra. Alle amministrative di maggio, Giuseppe Scopelliti, ultimo segretario nazionale del Fronte della Gioventù e “uomo forte” di An, è stato eletto alla carica di primo cittadino. Un nipote di Ciccio Franco, Antonio, è stato insignito della carica di assessore provinciale. Forza Nuova, ringalluzzita dalla presenza di una giunta amica, chiede e ottiene la concessione del Consiglio comunale per un commemorare i “moti di Reggio”. E le Omeca continuano ad essere la principale realtà produttiva del comprensorio cittadino. Un’“oasi” in un tessuto sociale falcidiato da tassi di disoccupazione – specie giovanile – da Terzo Mondo, dallo smantellamento di un numero imprecisabile di piccole e medie imprese, dalla fine del modello di sviluppo targato Fs e delle illusioni nelle “cattedrali nel deserto”.
L’azienda metalmeccanica, specializzata nella costruzione di materiale ferroviario e legata al gruppo Ansaldo-Breda, negli anni ’70 aveva superato la soglia degli ottocento dipendenti, quando sembrava concretarsi la rivendicazione del sindacato di portare lo stabilimento a duemila unità, facendone un volano di sviluppo per Reggio e un’occasione di lavoro certa per le sue giovani generazioni. Poi il lento declino, dovuto alla crisi e alla ristrutturazione del comparto, con il rischio di veder scomparire per sempre le Omeca. Ipotesi, per fortuna, scongiurata nel 1995, nel momento in cui, attorno alla parola d’ordine della salvaguardia dello stabilimento, si compattò un fronte ampissimo.
Ma se lo scampato pericolo della dismissione ormai appare come un ricordo del passato, non si può certo affermare che negli ultimi anni tutto sia filato liscio per i lavoratori delle Omeca.
Hanno dovuto fare i conti con un nemico meno visibile ma ben più temibile, che in silenzio ha sottratto la vita a tanti di loro: l’amianto. Si parla di almeno una trentina di morti “sospette” per tumori alla pleura e ai polmoni, sulle quali nessuno ha mai indagato. Neanche quando le maestranze hanno deciso di battere i pugni dinnanzi agli organi competenti, per vedersi riconosciuti i benefici economici per i decenni di lavoro a stretto contatto con il minerale killer. Altre manifestazioni, presidi, scioperi – che ancora non hanno portato a una risoluzione definitiva del contenzioso – durante i quali un ruolo egemone è stato assunto dalla rinnovata Fiom (all’ultimo congresso comprensoriale il 100% – cento percento – dei delegati ha optato per le tesi di “Lavoro Società -Cambiare rotta”). Un ruolo ricompensato durante le recenti elezioni per il rinnovo delle Rsu, nelle quali la Fiom ha riconquistato la maggioranza dei consensi.
Dell’attuale situazione delle Omeca, delle sue prospettive e delle aspirazioni dei metalmeccanici reggini, assieme alla lotta contro il governo Berlusconi, il carovita e la guerra, ne parliamo con tre operai che hanno preso parte in prima linea alle recenti mobilitazioni: Enrico Giarmoleo, 46 anni, storico delegato Rsu della Fiom e responsabile legale per la sicurezza, entrato in fabbrica nel 1978 con la mansione di saldatore; Antonio Caridi, cinquantaduenne, dal ’74 addetto ai magazzini aziendali e invalido al 65%, per via di un incidente sul lavoro che gli è costato quattro dita; Giuseppe Miduri, saldatore trentenne, anch’egli delegato della Fiom, dipendente della Cometra di Milazzo (Messina) fino al ’97, quando, in seguito alla chiusura dello stabilimento, è stato trasferito con tutti i suoi compagni di lavoro alle Omeca.
È venuta fuori una tavola rotonda dai toni franchi, in cui si è spaziato liberamente anche su problemi che riguardano da vicino le popolazioni dello Stretto, e non direttamente collegati alle attività delle Omeca, oltre a questioni d’interesse generale.

Dopo anni di stenti, le Omeca tirano un sospiro di sollievo e riprendono ad assumere. Negli ultimi mesi tanti giovani operai hanno varcato i cancelli aziendali, anche se con contratti “flessibili” e attraverso un processo di parziale esternalizzazione. Nonostante ciò, si tratta di un primo risultato tangibile, dovuto alla caparbietà e alle lotte dei lavoratori.

Giarmoleo: “Sì, le Omeca si sono finalmente riprese, dopo i vari piani di ristrutturazione susseguitisi sin dal 1988, causati anche dall’abbandono della Fiat di questo comparto. Negli ultimi tempi spesso quest’azienda è stata definita “un’oasi felice”, e in parte è vero, se si tiene conto della desertificazione industriale che ha subito la provincia di Reggio Calabria. Non ci facciamo illusioni, ma prendiamo atto che stiamo assistendo a un parziale cambiamento in senso positivo. Adesso operiamo prevalentemente sul mercato estero: abbiamo ottime richieste dalla Spagna e dai paesi scandinavi. Ma stiamo producendo anche carrozze Etr 500 per Trenitalia. La nostra lotta, che molti consideravano persa in partenza, ha permesso tutto questo. La ripresa è merito degli operai che sono scesi in piazza, hanno picchettato lo stabilimento e hanno saputo riscuotere l’appoggio di vasti e trasversali settori della società reggina, dai partiti alla Chiesa”.

Caridi: “Grazie alle assunzioni di giovani, siamo arrivati a quattrocento unità alle dirette dipendenze delle Omeca. Poi ci sono i circa 250 lavoratori dell’indotto interno, che operano in alcune fasi di produzione. Ci sono gli elettricisti delle ditte Svem e Simmi, i saldatori e i verniciatori della Gir, gli operai in quota alle aziende Pirillo, Caridi e Sgrò. Infine, c’è un indotto esterno che impiega un altro centinaio di unità. Le Omeca restano, insomma, la principale realtà produttiva reggina, e questo mentre nelle vicinanze si parla di nuove chiusure di stabilimenti, si veda il caso clamoroso del Polo tessile di San Gregorio. Eppure restano diversi problemi da risolvere, riguardanti essenzialmente le condizioni di lavoro: non voglio apparire come un eterno brontolone, ma vi è carenza di servizi igienici, le condizioni di sicurezza non sono proprio ideali, e poi il servizio mensa lascia a desiderare…”.

Miduri: “Voglio ricordare che fanno parte dell’organico dell’azienda anche gli 80 operai ex Cometra, trasferiti da Milazzo a Reggio dopo lo smantellamento degli impianti, anche questi di proprietà dell’Ansaldo-Breda. Non è delle migliori la situazione in cui versano questi operai, i quali hanno avuto sì salvo il posto di lavoro, ma ogni giorno sono costretti a subire anche due ore di viaggio per recarsi in fabbrica, essendo tutti residenti nel Messinese. Solo una parte di queste spese vengono rimborsate, mentre l’altra grava sui già magri salari. Caridi accennava al problema della mensa e della sicurezza: in questi mesi, come Rsu, ci siamo impegnati a rivendicare servizi più efficienti e il rispetto dei diritti dei lavoratori, in particolare di quelli meno garantiti dell’indotto”.

Un contributo alla tutela delle Omeca lo ha dato anche il defunto sindaco Italo Falcomatà, che si era opposto al loro trasferimento a Saline Joniche, e amava definirle “il fiore all’occhiello della città”…

Caridi: “Falcomatà è sempre stato dalla nostra parte, non solo a parole. Come hai già detto, ha manifestato al nostro fianco quando volevano spostarci a Saline Joniche, al posto di quelle Officine Grandi Riparazioni costate miliardi e miliardi pubblici e poi abbandonate dalle Fs. Ma ci ha anche appoggiati nella vertenza contro l’amianto. Gli operai non potranno mai dimenticarlo. Assieme a lui, è morta anche una parte del nostro cuore”.

Miduri: “Italo veniva spesso a farci visita nello stabilimento. Voleva seguire di persona tutte le fasi di lavorazione sulle nuove commesse. Quando è stato rieletto lo scorso anno, la prima delegazione ad essere ricevuta a Palazzo San Giorgio (sede dell’Amministrazione comunale di Reggio Calabria, ndr) è stata proprio quella delle Omeca. Anche quando la terribile malattia lo stava logorando, non ha rinunciato ad una veloce visita ai nostri reparti per infonderci coraggio. È morto qualche settimana dopo…”.

Giarmoleo: “L’impegno di Falcomatà ha contribuito, in maniera determinante, a impedire una triste fine delle Omeca. Durante una delle tante riunioni aveva dichiarato: difendere le Omeca significa difendere la nostra città; significa resistere, dimostrando che è possibile addirittura vincere, contro chi vuole colpire una popolazione già martoriata da sottosviluppo e carenza cronica di lavoro. I nostri operai – gli stessi che una volta gli hanno regalato un leone di cristallo, simbolo della combattività – hanno avuto l’onore di picchettare la bara del sindaco il giorno dei suoi funerali. Funerali di massa, come non se ne sono mai visti da queste parti”.

Come vanno le cose con le destre al potere, al Comune e alla Provincia di Reggio, come alla Regione e al governo nazionale?

Giarmoleo: “Diplomaticamente, posso dirti che, per quanto riguarda le amministrazioni comunale e provinciale, non abbiamo ancora avuto modo di esprimere un giudizio, se non ideologico e su argomenti esterni alle Omeca, dato il breve lasso di tempo che è passato dalle elezioni. Vedremo come si comporteranno nei nostri confronti. Se t’interessa un parere sull’operato della Regione, posso essere invece molto meno diplomatico: il presidente Chiaravalloti considera le Omeca un’esperienza fallimentare, senza conoscere nulla di questa realtà, la quale anche senza il suo aiuto produce e assume. Non si è mai interessato delle nostre esigenze. Può stare tranquillo che troverà l’opposizione dura della Fiom e della Cgil”.

Miduri: “Potrei soffermarmi su tante cose che sono cambiate con la nuova situazione politica. Però intendo focalizzare un aspetto che riguarda tutti da vicino, specialmente noi lavoratori dipendenti. Col passare dei mesi la busta paga sembra sempre più leggera e, mentre i salari restano invariati, i prezzi nei negozi aumentano vertiginosamente. Se si continua di questo passo, tra non molto anche la scuola per i nostri figli e la sanità saranno considerati un lusso per pochi…”
Parliamo della vertenza per il riconoscimento del rischio amianto, il minerale killer con cui in fabbrica avete dovuto convivere per lungo tempo.

Giarmoleo: “La lotta per ottenere i benefici della legge 257/92 non è stata meno difficile. La vertenza resta ancora in piedi, perché ai lavoratori è stato riconosciuto il rischio di esposizione solo per il periodo che va dal 1968 al 1989. Ma a nostro avviso non è così. Tant’è vero che, dal 14 dicembre del 2000 al 23 novembre del 2001, quindi ben dodici anni la data ultima stabilita dalle perizie ministeriali, in fabbrica sono stati effettuati dei lavori di rimozione della copertura in eternit d’amianto”.

Caridi: “In ogni caso è gravissimo il fatto che, per interi decenni, i lavoratori siano stati costretti a vivere a contatto con l’amianto. Esso veniva impiegato in tutte le lavorazioni del ciclo produttivo, ma ha inevitabilmente contaminato, con la dispersione nell’aria delle sue fibre, anche impiegati e dirigenti. Negli ultimi tempi ci sono state morti a dir poco “strane” di colleghi affetti di tumore. Nessuno ha mai indagato, ma non vogliamo rassegnarci all’idea che siano solo delle coincidenze. E poi, io voglio denunciare che l’amianto è ancora presente dentro le Omeca, in pannelli che invece di essere rimossi sono stati ristrutturati e verniciati”.

Miduri: “Dobbiamo chiudere al più presto questa vertenza, con il migliore risultato possibile. Il riconoscimento del rischio di esposizione significa, per gli operai più anziani, la possibilità di andare in pensione anticipatamente. Questo permetterà ad altri giovani di essere assunti”.

Secondo voi, a cosa è dovuta una così netta affermazione della Fiom alle ultime elezioni per il rinnovo delle Rsu?

Miduri: “La lotta e la costanza, a mio avviso, pagano sempre. La Fiom ha raccolto i frutti dell’impegno svolto con coerenza in tutte le vertenze che hanno riguardato le Omeca”.

Giarmoleo: “Era da tredici anni che la Fiom non riusciva a raggiungere questo risultato. Ora siamo la sigla maggioritaria in termini di voti, anche se non d’iscritti. Ciò rende, comunque, più eloquente l’affermazione: significa che, nel segreto dell’urna, i nostri candidati hanno ricevuto il voto anche di iscritti ad altre sigle. Oltre all’impegno svolto dai nostri quadri locali, di certo ha influito la linea tenuta a livello nazionale dalla Fiom, che non ha accettato l’accordo firmato da Fim e Uilm ed ha contribuito alla svolta della Cgil”.

A proposito di questa “inversione di rotta”: la Cgil sembra lasciarsi alle spalle gli anni bui della concertazione e delle politiche compatibiliste, non è disposta a cedere sull’articolo 18 e, per di più, sta fungendo da collante per le forze di opposizione al governo Berlusconi. Alle Omeca come avete vissuto tale cambiamento?

Giarmoleo: “Personalmente posso vantare un atteggiamento critico di vecchia data verso il gruppo dirigente della Cgil. Come la totalità dei quadri reggini della Fiom, faccio parte dell’area di “Lavoro Società – Cambiare rotta” e non ho mai accettato quegli accordi siglati sulle teste dei lavoratori, che hanno fatto dilagare nel Paese privatizzazioni, limitazione dei diritti sociali, flessibilità e precarietà. La Cgil ha commesso gravi errori in passato, quando è stata subalterna ai governi di centro-sinistra, però ora dobbiamo guardare avanti, incoraggiando i segnali positivi che emergono al suo interno. Mentre Cisl e Uil firmano il “Patto per l’Italia”, che io amo chiamare “Patto per Forza Italia”, la Cgil sta tornando al suo ruolo naturale di strumento di lotta dei lavoratori”.

Caridi: “Per me poco è cambiato. Critico ero, e critico resto nei confronti di certi dirigenti della Cgil. Sono rimasti gli stessi: quando hai bisogno di qualcuno che risolva i tuoi problemi, non li trovi mai; ma quando si avvicinano le elezioni sono ogni giorno qui, per chiederti di votare qualcuno dei loro”.

E su Rifondazione Comunista qual è il vostro giudizio?

Miduri: “Pur essendo di sinistra, finora non ho votato per Rifondazione, anche se riconosco che si tratta di un partito che si schiera dalla parte dei deboli ed ha a cuore i problemi degli operai”.

Giarmoleo: “Ha fatto bene Rifondazione a non accettare l’inglobamento nell’Ulivo e a mantenere la propria autonomia. Le coalizioni con gli altri partiti del centro-sinistra ci possono anche stare, ma devono fondarsi su programmi chiari. Quando in questi non trovi nemmeno un accenno alle 35 ore, alla scala mobile, alla difesa delle pensioni e al rilancio dei servizi pubblici, non capisco per quale ragione debba essere criticato un partito che, fermo restando la sua disponibilità ad una battaglia comune contro le destre, decide di differenziarsi da Rutelli e company”.

Caridi: “Bertinotti ha sbagliato di grosso a far cadere il governo Prodi. Poteva comportarsi diversamente, anche non rinunciando alle proprie posizioni e “punzecchiando” continuamente la maggioranza, senza però favorire, seppur in modo indiretto, la rivincita della destra”.

Un’ultima domanda. I venti di guerra spirano forti nel mondo, e si parla insistentemente di un’ennesima aggressione all’Irak. Per Bush, Blair e Berlusconi, è una nuova “crociata” contro il terrorismo; per le forze che si battono per la pace è un attacco imperialistico che mira al controllo delle risorse petrolifere. Dove sta la verità?

Giarmoleo: “Rispondo a questa domanda ribadendo la posizione assunta dalla Fiom, ormai condivisa pure dalla maggior parte dei compagni della Cgil. È fermo il nostro “no” ad ogni guerra di aggressione e, per di più, ad una guerra “preventiva” che viola palesemente la legalità internazionale. Oltre, ovviamente, la nostra Costituzione, che bandisce questo strumento per assoggettare altri popoli. Le controversie tra stati devono risolversi nella sede più appropriata,ovvero le Nazioni Unite, non ricorrendo alla legge del taglione. I diritti devono valere per tutti, non solo per i paesi amici degli americani. L’Irak deve rispettare le risoluzioni dell’Onu, ma perché non deve fare lo stesso Israele, che occupa la terra palestinese e massacra giorno dopo giorno decine di innocenti? Perché non deve fare lo stesso la Turchia, con le mani macchiate del sangue kurdo? Perché non devono fare lo stesso l’India e il Pakistan, i quali sono veramente in possesso di armi per lo sterminio di massa e, cosa più grave, dichiarano di essere disposti a usarle? Il terrorismo va condannato, quello di Bin Laden come quello di Bush, che poi sono figli della stessa madre”.

Miduri: “Le guerre vanno sempre condannate. A rimetterci è la povera gente: mentre personaggi come Bush pensano ai pozzi di petrolio, donne, bambini e anziani muoiono sotto le bombe. L’Italia farebbe meglio a tenersi a debita distanza da tali azioni, le quali, inoltre, sottraggono risorse alla nostra popolazione. Tanti miliardi saranno stanziati per comprare armi micidiali. Mi chiedo: non sarebbe più utile spendere questi soldi per il Meridione, per farlo uscire dalla miseria, oppure per costruire case, scuole, ospedali e promuovere posti di lavoro?”.

Caridi: “Queste guerre servono solo ad arricchire i petrolieri e le imprese che producono armi. Si fanno profitti sulla morte degli innocenti. È stato così in Jugoslavia e in Afghanistan. Sarà così in Irak”.

Giarmoleo: Posso aggiungere ancora una battuta, che riguarda un’altra “guerra” che ci riguarda più da vicino? Mi riferisco a noi reggini…

Di cosa vuoi parlare?

Giarmoleo: “Del ponte che intendono costruire sullo Stretto; un’altra “guerra” imposta ai cittadini calabresi e siciliani. Un mostro di cemento e acciaio che viene spacciato per una moderna meraviglia. Un’opera che devasterà l’ambiente, che sottrarrà risorse pubbliche e non migliorerà affatto la situazione dei trasporti. I mass-media promettono che grazie ad essa si creerà nuova occupazione, che si darà impulso al turismo. Ma quali posti di lavoro? Per costruire ci sarà bisogno soprattutto di manodopera superspecializzata, da reperire al Nord o all’estero. Al Sud resteranno solo le briciole. Allora, a che serve quest’opera? Anzi, a chi serve? Forse a chi ha interessi poco puliti, non ai cittadini”.