Contributo del gruppo operativo nazionale dell’Appello nato a Firenze

Il Gruppo operativo ha deciso di lanciare un appello a tutto il Partito su cui raccogliere le firme in tutto il Paese, a partire dal giorno dopo le elezioni (scadenza rispetto alla quale il Partito è impegnato), per convocare subito il Congresso, per dare finalmente la parola agli iscritti/e, per salvare e rilanciare il Prc e il processo della Rifondazione Comunista.

Il Gruppo operativo ha deciso, inoltre, di convocare dopo le elezioni, entro la prima metà di maggio, un’assemblea nazionale aperta a tutti gli iscritti e le iscritte e a tutte le aree del Partito che non condividono il superamento del Prc e la sua cultura governista sviluppatasi negli ultimi anni, al fine di proporre una mozione congressuale alternativa unitaria.

Il Gruppo operativo ha elaborato un primo contributo al dibattito (che alleghiamo), in continuità con l’appello iniziale del movimento, che sarà aggiornato alla luce del risultato elettorale e della nuova situazione politica che si determinerà. A questo scopo il Gruppo operativo si riunirà subito dopo le elezioni.

Il Gruppo operativo, infine, ha deciso di invitare permanentemente alle proprie riunioni i due compagni nominati all’organizzazione, Marco Checchi e Alba Paolini.

Firenze, 2 aprile 2008.

Il Gruppo operativo nazionale dell’Appello “UN CONGRESSO PER RILANCIARE I MOVIMENTI E L’AUTONOMIA DEL PRC”.

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UN CONGRESSO PER RILANCIARE I MOVIMENTI E L’AUTONOMIA DEL PRC:
RIPRENDERE IL PERCORSO DELLA RIFONDAZIONE COMUNISTA, RIDISLOCARE IL PARTITO NELLA SOCIETA’!
( primo contributo al dibattito)

La crisi del Governo Prodi e dell’esperienza dell’Unione.

La svolta rivendicata con forza dalla grande manifestazione del 20 ottobre 2007 per la lotta alla precarietà, per un aumento generalizzato dei salari, per la tutela del sistema pensionistico pubblico e dei contratti di lavoro, elementi centrali ed unificanti per tutto un blocco sociale di giovani, anziani, lavoratori, disoccupati, donne e precari, non è avvenuta!
Il Governo Prodi ha continuato a subire la forte pressione della Confindustria e ha deluso nella sostanza le aspettative di cambiamento suscitate nella primavera 2006, non ha osato FARE scelte e azioni in grado di attivare il consenso sociale indispensabile per modificare i rapporti di forza, neutralizzare i condizionamenti imposti dai poteri forti e dalla ristretta maggioranza parlamentare, garantire continuità ed efficacia alla sua stessa azione.
IL Governo Prodi ha dimostrato di essere interprete degli interessi dei gruppi decisivi della borghesia italiana, subalterna ai poteri forti, la Nato, il Vaticano e Confindustria.
La contraddizione fra questa ispirazione di fondo e la necessità di dare qualche- limitata- soddisfazione alla classe operaia e ai ceti popolari, ovvero alla maggioranza dei suoi elettori, non poteva che risolversi nella sua caduta.
Pertanto, nonostante singoli provvedimenti e parziali risultati, che però non hanno scalfito l’impostazione liberista imposta dai poteri forti, il bilancio complessivo è stato decisamente negativo e del tutto inadeguato rispetto agli obiettivi che ci eravamo proposti: non vi è stato alcun inizio di fuoriuscita dalle politiche liberiste, ed il crescente logoramento sociale ha accresciuto la fragilità stessa del governo esponendolo ai ricatti dei settori moderati della coalizione.
La difficile fase politica che stiamo attraversando e le prossime elezioni politiche non possono cancellare una discussione vera sul fallimento del governo Prodi e sugli effetti che ha provocato nel nostro insediamento sociale (attivisti, iscritti, simpatizzanti,lavoratori e movimenti).
Quando parliamo del fallimento del governo dell’Unione non ci riferiamo solo ai singoli provvedimenti, ma alla separazione dell’attività di governo e parlamentare dalle dinamiche della società. La solitudine ed il silenzio in cui vivono gli operai, tragicamente emerse con l’omicidio alla Thyssen, l’accordo del 23 luglio incapace di superare la precarietà del lavoro, la disuguaglianza sempre più vistosa tra i redditi, che schiacciano sulla povertà strati popolari crescenti, la situazione di degrado della scuola pubblica, l’invadenza della gerarchia cattolica che ha imposto le sue visioni, i provvedimenti securitari nei confronti degli immigrati, l’incapacità di ascolto delle comunità come quella di Vicenza, la partecipazione crescente alla guerra in Afganistan, segnano una cesura profonda tra società e governo.
Questo ha fatto precipitare il consenso alla sua attività e l’ha reso facilmente vulnerabile all’azione dei settori di centro della maggioranza (vedi Mastella e Dini), ma soprattutto alla destabilizzazione prodotta dalla nascita del Partito Democratico, con la sua vocazione liberista , maggioritaria e centrista, accelerata dal tentativo di un accordo con Berlusconi sulla legge elettorale, per costruire un inaccettabile modello bipartitico, che pare costituire il presente ed il futuro del quadro politico nazionale.
Oggi non è realizzabile una politica che nega l’esistenza delle classi e la realtà della lotta di classe, come fa il PD.
Analizzando le cause di questa crisi, si può dire che:
– non c’è stata permeabilità, non ha funzionato il rapporto azione di governo/movimenti nella società, anzi vi è stata rottura proprio per le scelte di merito su questioni centrali come pensioni, precarietà, guerra, spese e basi militari, diritti civili, grandi opere…;
– vi è stata forte sottovalutazione della forza degli interessi materiali sottesi ai principali partiti dell’Unione, di Confindustria, della finanza e del Vaticano;
– è stata sopravvalutata la capacità dei movimenti di indurre significativi cambiamenti in quella che chiamiamo sinistra moderata che invece non si è mai discostata da una politica liberista (nemmeno poi tanto “temperata”) soprattutto dopo l’entrata in campo di Veltroni;
– non ha funzionato la stessa sinistra ed in particolare il PRC, in termini di capacità di inchiesta, iniziativa sociale, promozione e presenza nelle lotte, indicazione di precise discriminanti e obiettivi irrinunciabili, con una più chiara impostazione di classe. In altre parole, è mancata la coerenza tra la prospettiva politica delineata prima delle elezioni e quanto poi si è effettivamente fatto.
Questa situazione ha prodotto effetti devastanti che vanno indagati con attenzione:
– il logoramento sociale ha prevalso sulle aspettative di cambiamento, sulla attesa di provvedimenti concreti riguardanti in particolare il lavoro, i salari, la redistribuzione, la precarietà (e la sinistra ha contribuito in modo prevalente al “risanamento” dei conti);
– separazione dalla politica, crisi di partecipazione e di consenso nei confronti della sinistra ed in particolare del PRC;
– assunzione di un atteggiamento governista ed istituzionalista, non solo a livello nazionale ma anche nelle regioni e negli enti locali, al di là del merito dei contenuti, senza indicare obiettivi irrinunciabili ed assumere precisi limiti che impedissero il logoramento e la omologazione, giustificando tutti i cedimenti e le mediazioni con la logica del “meno peggio”, logica che ,peraltro, non ci eviterà, adesso e per il prossimo futuro, il “peggio”, ovvero un quadro sociale e politico ancora più tremendo, che alimenterà, in assenza di una credibile iniziativa, nuova estraniazione, astensionismo, se non addirittura più consensi alla destra;
– crisi della militanza, della iniziativa e del radicamento sociale del partito, partito diretto dalle istituzioni, crisi di democrazia, fenomeni di autoritarismo e burocrazia interna di fronte all’emergere del dissenso, autoreferenzialità dei gruppi dirigenti, politicismo ovvero pratiche e linguaggi slegati dalla concretezza di merito delle questioni, doppiezza della politica, forti contraddizioni tra dire e fare, tra mezzi e fini;
– fughe in avanti rispetto alla complessità dei problemi sociali, alla crisi del progetto dell’Unione e della linea uscita dal Congresso di Venezia con una progetto di unità a sinistra privo di contenuti politici condivisi e condivisibili e di un adeguata pratica sociale, che rischia non solo di andare in frantumi alle prime difficoltà, ma di sostituirsi allo stesso progetto della rifondazione comunista;
– l’offuscamento della linea internazionalista del Partito e la necessità della lotta per la pace, per l’abbandono della Nato e per l’allontanamento di tutte le basi militari straniere;
– un atteggiamento subalterno, di accettazione o tacita rassegnazione alla politica dell’Unione Europea, che si è rivelata essere una unione degli esponenti del grande capitale industriale e finanziario, nel loro esclusivo interesse e non dei popoli che dichiarano di rappresentare.

Lo stato del partito.

Diversamente dalle indicazioni scaturite dalla Conferenza di Organizzazione di Carrara, la situazione interna del partito si sta caratterizzando per crisi della militanza e dello stesso tesseramento, crisi della iniziativa, della capacità di fare inchiesta dei circoli e delle zone nei luoghi di lavoro, sul territorio e nelle scuole, minore presenza nei movimenti, mentre cresce la separatezza e l’autoreferenzialità dei gruppi dirigenti, la tendenza all’appiattimento istituzionale e a privilegiare la “governabilità”, il deficit di democrazia, caratterizzato da preoccupanti fenomeni di autoritarismo e di risposta burocratica all’emergere del dissenso, considerato non di rado come elemento di disturbo da tenere sotto controllo ed emarginare, quasi ci fosse alla base una sorta di incapacità a vivere il conflitto e la dialettica interna come ricchezza e opportunità per tutto il partito (come invece teorizziamo per la società!).
Priorità ai contenuti, centralità dei conflitti, autonomia dei movimenti e della stessa azione del partito rispetto alle istituzioni, governo come mezzo e non come fine, sviluppo dell’inchiesta e dei nostri rapporti sociali, coerenza tra mezzi e fini, critica alla doppiezza della politica, rottura della “legge del pendolo” dovevano essere gli antidoti che il partito si dava per affrontare la sfida difficilissima del governo.
Già da vari mesi sosteniamo che quegli antidoti non hanno funzionato e che il partito è stato attaccato da molti virus, perché, aldilà dei comportamenti personali, è la linea politica che ci siamo dati che è fallita..
Insomma la sfida per cambiare le forme del potere ed aprire un nuovo spazio pubblico, si è rovesciata contro di noi, producendo fenomeni negativi al nostro interno e nei rapporti con la società: gli sviluppi della situazione politica e la conclusione anticipata della legislatura confermano drammaticamente i problemi sollevati nei mesi scorsi dall’Appello e dall’autoconvocazione di Firenze, mentre la situazione sociale si sta aggravando sempre più. La tempesta finanziaria internazionale e la recessione che si avvicinano al nostro Paese fanno presagire una ulteriore precipitazione verso il basso dei salari e determinano crescenti aggressività e autoritarismo da parte della borghesia italiana.
Le statistiche ufficiali dicono che a fronte della percentuale di disoccupazione più bassa degli ultimi 20 anni, aumenta il lavoro precario, l’insicurezza sui luoghi di lavoro con stragi quotidiane, diminuiscono i salari e le donne rimangono comunque al primo posto per disoccupazione. Ciò significa che le aziende aumentano i loro profitti, che i lavoratori e le lavoratrici non hanno alcun beneficio salariale dall’aumento della produttività, che i salari diminuiscono per l’aumento del lavoro precario, che indebolisce complessivamente il potere contrattuale su tutti gli aspetti del lavoro dipendente (orari, organizzazione del lavoro, contratto nazionale, nocività, sistema pensionistico…).

Fallimento dell’Unione e prospettive. Che fare?

L’evidente fallimento dell’esperienza dell’Unione impone di indagarne le cause e gli effetti, di analizzare criticamente le scelte degli ultimi anni, di avviare una riflessione profonda sulle prospettive della nostra azione politica, sul ruolo della sinistra e del nostro partito: per questo è urgente subito dopo le elezioni avviare il congresso del partito non solo per restituire a tutti i compagni e le compagne la sovranità delle future scelte, dopo le tante e importanti decisioni prese senza alcuna consultazione democratica, ma anche per criticare e battere una diffusa pratica politicista che non ha risolto, ma aggravato tutte le nostre difficoltà.

1. Ricollocare e rafforzare il partito nella base della società, in previsione di una fase non breve di opposizione politica e sociale; affrontare la questione sindacale e la politica sindacale del Partito; promuovere e praticare nuovamente l’internità ai movimenti e alle lotte dei lavoratori, “guardando in basso ed a sinistra”, valorizzando anche alcune proposte scaturite dalla Conferenza di Carrara, non a caso rimaste per lo più inattuate. In particolare i circoli, struttura di base del partito, le zone, le commissioni di lavoro ed anche nuove forme di presenza viva nella società debbono recuperare appieno la loro capacità di inchiesta, di iniziativa ed il loro ruolo nel partito, limitando e controllando con criteri di rotazione il funzionariato e l’attività politico-istituzionale come professione, anche riducendone la dimensione di privilegio a partire da un intervento su retribuzioni e indennità.

2. Rilanciare e riqualificare in questo modo il progetto della rifondazione comunista come elemento necessario, anche se non autosufficiente, per la costruzione di un ampio schieramento sociale e politico anticapitalista, nettamente alternativo al Partito Democratico, oltrechè antagonista alle destre populiste, al neofascismo ed a tutte le forme di classismo e di razzismo.

3. Ritenere conclusa e fallita l’esperienza dell’Unione significa rimuovere anche tutta la cultura “governista” che essa ha prodotto al nostro interno, una pericolosa e illusoria scorciatoia rispetto alla complessità del processo di trasformazione sociale, che si sta rivelando in queste settimane in tutta la sua fragilità di fronte alle rotture drastiche del Partito Democratico nei confronti della sinistra.

4. Verificare quindi in modo rigoroso alla luce dei contenuti, dei risultati e dei rapporti sociali tutte le alleanze, le coalizioni, le presenze nelle giunte con il Partito Democratico, tracciando un bilancio impietoso dell’esperienza svolta e rompendo con diffuse pratiche “governiste” del nostro partito ben al di là delle questioni di merito, pratiche che hanno contribuito spesso a logorare l’immagine di diversità del PRC (vedi regione Campania e Calabria, ma non solo!) ed a formare un ceto politico autoreferenziale con forte potere nel partito e che ha fissato il baricentro della nostra azione dalla società alle istituzioni. Questa verifica intende subordinare qualsiasi genere di alleanza a scelte, contenuti precisi e verificabili con percorsi di democrazia partecipata, capaci di arginare la destra e di avviare processi di cambiamento, riaffermando così la coerenza tra mezzi e fini e la critica alla doppiezza della politica.
I rapporti di forza esistenti escludono comunque, nel breve e medio periodo, che tali eventuali accordi possano comportare una partecipazione al governo nazionale.

5. Ridefinire sulla base di una discussione sulla prospettiva politica generale, dei contenuti, delle pratiche comuni da sviluppare nella società i percorsi, le modalità, i tempi e le forme dell’unità a sinistra, rifuggire da illusorie scorciatoie organizzative e di immagine mutuate per lo più dalla “americanizzazione” della politica e dal PD, valorizzare e non sciogliere le diverse identità.
Tale unità, comunque, non può in nssun caso risolversi nello scioglimento del Prc, nè in qualunque altra ipotesi organizzativa che comporti una qualsiasi cessione o limitazione di sovranità.
In questo senso le modalità di presentazione elettorale sono state decise da ristretti gruppi dirigenti dei quattro partiti della sinistra, senza una adeguata consultazione democratica, praticabile nonostante i tempi obbligati dal precipitare della crisi politica: la scelta dell’autonomia dal PD è stata imposta da Veltroni, ma non corrisponde ad una effettiva rimozione e rimessa in discussione nella sinistra-arcobaleno delle alleanze di governo con il centrosinistra, il simbolo unitario senza falce e martello oltrechè criticabile sul piano della tattica elettorale, non è solo un aspetto formale, ma strettamente legato ai contenuti ed alla prospettiva.
La cancellazione della falce e martello sembra infatti prefigurare, anche nella sostanza, la scelta preannunciata da autorevoli dirigenti di partito di andare verso la costituzione del nuovo soggetto della sinistra ed il superamento di Rifondazione Comunista. Non è ovviamente in discussione il bisogno di promuovere un processo di unità d’azione delle sinistre, ma il profilo politico complessivo, apparso finora tutto interno ad una logica di riunificazione elettorale della sinistra di governo.

Ruolo, autonomia del PRC e sinistra di alternativa.

Siamo convinti che il ruolo e l’autonomia di un partito comunista rifondato non siano affatto in alternativa con lo sviluppo dei movimenti e l’esigenza di unità, rilanciata peraltro dalla straordinaria manifestazione del 20 ottobre e poi da tutta la accelerazione del quadro politico e dello scontro sociale in atto.
Non si tratta di una scelta di autosufficienza o autoreferenzialità, ma elemento necessario, motore indispensabile di un ampio e variegato schieramento di sinistra anticapitalista. Naturalmente questo ruolo non è dato per definizione, ma occorre conquistarlo sul campo, nel merito dei contenuti, con la presenza nei movimenti e nelle lotte, con una forte relazione con i soggetti sociali, con la capacità di fare proposta e sintesi politica, come del resto il PRC ha sempre cercato di praticare, almeno nei suoi momenti migliori.
In questa situazione, di fronte alle attuali, innegabili difficoltà, alla necessità di prepararsi ad un periodo non breve di opposizione politica e sociale nei confronti di un possibile Governo Berlusconi e/o di Veltroni, occorre tracciare un bilancio rigoroso dell’esperienza fatta ed aprire una riflessione critica sulla linea politica, senza d’altra parte illudersi che la soluzione stia nel rilancio di un patriottismo di partito, identitario e chiuso.
Ma non possiamo accettare che si cerchi di eludere i problemi e le difficoltà reali con fughe in avanti e limitazioni di sovranità,sia nell’ipotesi del Partito unico che nelle ipotesi Federative, pur senza sottovalutare la spinta diffusa e la richiesta forte di unire la sinistra per l’alternativa in lotta per obiettivi comuni e condivisi, perché da sempre abbiamo lavorato per questo.
Diffidiamo di tutte le scorciatoie organizzative ed elettorali che prescindono da un processo reale di lavoro comune, perché non risolvono i problemi che abbiamo oggi nei rapporti con la base e nei conflitti sociali; c’è bisogno di valorizzare le diverse storie ed identità, non di scioglierle.
Ripetiamo per chiarezza che le forme e le pratiche di una nuova unità a sinistra – sicuramente tutte da inventare, approfondire e verificare – capace di coinvolgere le diverse realtà sociali, politiche e sindacali, debbono procedere di pari passo e non possono essere separate o indipendenti dal confronto sui contenuti e dallo sviluppo di una comune pratica sociale. Questa deve essere in grado di superare le diversità tuttora esistenti, rilanciare il conflitto e costruire una chiara alternativa al Partito Democratico. E soprattutto di riguadagnare le relazioni logorate o del tutto recise in due anni di partecipazione al governo Prodi. Sicuramente la questione dell’unità a sinistra non ci sembra aver trovato risposte adeguate nella lista “La sinistra, l’Arcobaleno”, anzi, l’operazione Arcobaleno ha finora seminato tensioni e fratture nel nostro e negli altri partito costituenti.
Senza riferimenti e relazioni sociali forti, ogni processo di unità d’azione a sinistra rischia di nascere su un asse moderato e comunque inadeguato per le esperienze più avanzate di critica alle politiche neoliberiste, di essere un semplice assemblaggio di gruppi dirigenti e di rimanere ancora prigioniero di una logica “governista”: così l’unità a sinistra è destinata a naufragare in tempi brevi, soprattutto dopo un eventuale insuccesso elettorale dopo il 13-14 aprile p.v., alimentando nuova sfiducia e crisi della politica, ovvero ulteriore separazione tra sinistra e bisogni sociali.
In particolare sui temi della precarietà, del ripudio della guerra, dei diritti sociali, del NO alle grandi opere (vedi TAV e rigassificatori) ed agli inceneritori, come su altre questioni, sappiamo che anche a sinistra ci sono posizioni e pratiche diverse che non possono essere sottovalutate e su cui c’è bisogno di approfondimento e di molto lavoro comune.
Più in generale il tentativo di cancellare una soggettività comunista ha sempre corrisposto ad una svolta moderata e non ha mai rafforzato uno schieramento anticapitalista.
Chiediamo al partito di cambiare rotta, di consultare e ascoltare i suoi iscritti oltre che i sondaggi, praticando nei fatti quella democrazia che costituisce la base di un confronto costruttivo ed inclusivo, di non cedere l’autonomia del nostro partito e salvaguardare la sua stessa esistenza, di rivolgersi al popolo del 20 ottobre, ai lavoratori, alle donne, ai migranti ed a tutti i soggetti deboli della società che devono avere una speranza anche dalle nostre scelte.

Con queste motivazioni riteniamo necessario ed urgente che immediatamente dopo le elezioni politiche, il CPN apra la fase congressuale per restituire la parola a tutti i compagni/e sul futuro del PRC e ripristinare la piena agibilità nel partito per tutte le posizioni che intendono confrontarsi: con questo primo contributo al dibattito, molto parziale e schematico, intendiamo proporre a tutte le aree critiche che si sono formate in modo trasversale nel PRC a tutti i livelli (circoli, federazioni e cpn) un confronto di merito su questi temi e sulle prospettive di Rifondazione Comunista per affrontare in modo adeguato il prossimo congresso e superare la frammentazione sulla base di una proposta politica condivisa.

Il Gruppo operativo dell’Appello “Un Congresso per rilanciare i movimenti e l’autonomia del PRC”

Firenze, 2 aprile 2008