CONFERENZA DEI LAVORATORI E DELLE LAVORATRICI DEL PRC

Sabato prossimo a Torino si tiene la Conferenza dei Lavoratori di Rifondazione Comunista, cosa pensi debba essere messo al centro di questo appuntamento?
Io credo una svolta radicale rispetto alla politica sindacale di questi anni e un’autocritica da parte di Rifondazione Comunista su questi ultimi anni di governo.
La prima perché siamo di fronte ad una situazione oramai paradossale nel mondo occidentale. In tutti i paesi occidentali peggiorano le condizioni di lavoro e dei salari, ma in Italia la nostra situazione è peggiore di tutti. Negli altri paesi occidentali questo avviene con una situazione in cui c’è anche un arretramento del peso dei sindacati. Cioè se i lavoratori stanno peggio, anche i sindacati stanno peggio. In Italia abbiamo questa situazione paradossale in cui i lavoratori stanno peggio e i sindacati stanno meglio; questa è la situazione paradossale di modello concertativo che secondo me è giunto al capolinea, in cui si sono scambiati i peggioramenti delle condizioni di lavoro con il ruolo istituzionale del sindacato.
Questa critica che era presente nella nascita di Rifondazione Comunista, è stata abbandonata totalmente negli anni di governo che hanno visto il gruppo dirigente di Rifondazione Comunista schiacciato sulle più moderate posizioni sindacali. Credo che il bilancio sociale, cioè il disastro dei salari, delle condizioni di lavoro e la precarietà, deve diventare anche un bilancio politico, cioè una nuova linea che riapre la grande questione sindacale nel nostro paese, partendo dalle questioni della democrazia sindacale, affrontando la questione del salario, respingendo la questione centrale, che oggi è al centro della politica bipartisan che tende a unificare destra e sinistra moderate e cioè la questione dello scambio salario-produttività. E’ chiaro che questo implica anche una profonda autocritica sulla politica di questi anni, perché il fallimento del centro-sinistra è anche il fallimento della sinistra e di Rifondazione Comunista dentro il centro-sinistra, è il fallimento della teoria – purtroppo tanto utilizzata – del meno peggio, della riduzione del danno. Tutto ciò, sul piano sociale, ha voluto dire che noi ci troviamo oggi con Berlusconi che rischia di tornare al governo avendo ancora tutti i danni causati durante la sua legislatura: la legge 30, la legge Bossi-Fini, la legislazione sugli orari, e si prepara sia nel programma di Berlusconi ma anche nel programma del PD l’attacco al contratto nazionale in nome dello scambio tra salario e produttività.
Una conferenza operaia che non volesse essere semplicemente un’operazione propagandistica dovrebbe partire da questo punto critico e autocritico. Critica delle scelte sindacali e contrattuali di questi anni e critica della concertazione e autocritica di Rifondazione Comunista.

E’ evidente dalle tue parole, un bilancio negativo per i lavoratori di questi due anni di presenza di Rifondazione Comunista nel governo Prodi. Ma questo è ormai abbastanza scontato. Il problema vero è un altro. Secondo te, bisogna tornare ad un’opposizione di breve periodo per riprendere la via del governo in un paese come l’Italia, oppure è necessario rilanciare per un lungo periodo l’opposizione politica e il conflitto sociale? Perché questo è il punto che sarà in discussione a sinistra nei prossimi giorni.
Io credo che il gruppo dirigente di Rifondazione Comunista – capisco che sia difficile farlo sotto elezioni…- dovrebbe, per ragioni di igiene della politica, per usare una battuta che era cara nel passato a Bertinotti, fare un’analisi di un fallimento che è clamoroso. Nel senso che, ripeto, Berlusconi si trova probabilmente riconsegnato dalla sconfitta del centro-sinistra a un sistema legislativo e di relazioni che, diciamo così, è esattamente quello che ha fatto lui, in più con la spinta che è oggi evidente ad andare ad un nuovo giro di liberalizzazioni, di privatizzazioni, di riduzione dei diritti, però magari con un accordo bipartisan. Io devo dire che il bilancio di questo governo è chiarissimo, questo governo non ha cambiato la sostanza della politica precedente e la sua funzione principale è stata quella di, come si diceva una volta, “deprimere le masse”. Oggi siamo più divisi, dopo due anni di governo del centro-sinistra, più deboli, più frantumati di quando c’era Berlusconi; questo è il frutto politico negativo.
Io penso che non basta un ritorno all’opposizione che peraltro non è scelto ma che è imposto da altri. Non c’è nessuna scelta in questo, c’è semplicemente una marginalizzazione dovuta alla svolta del PD; quindi non mi pare che sia una linea di prospettiva e devo dire che ha anche poche credibilità, perché non credo che chi in questi due anni ha in tutte le sedi rotto o ridimensionato il rapporto con i movimenti e con le lotte con la teoria del meno peggio, adesso vuole improvvisamente dire: bene, scordiamoci il passato e adesso ritorniamo a lottare come prima. No, non si fa politica così. Ripeto, questi due anni sono stati un fallimento clamoroso e questo fallimento deve essere parte dell’analisi della politica. Naturalmente, implica anche scelte sulle persone, sui gruppi dirigenti; ho visto Fausto Bertinotti dichiarare che non ci sono gruppi dirigenti per tutte le stagioni e poi candidarsi subito a guidare una nuova stagione. Non so, mi pare che bisogna lasciare che si decanti un po’, diciamo così, la quantità di cose poco serie che ci sono, però ovviamente penso che non basti, anzi penso che non ci siamo proprio.

Si fa la conferenza dei lavoratori sabato e contemporaneamente si annuncia di eliminare dalla simbologia della coalizione di sinistra che va al voto, il simbolo storico del lavoro, come la falce e martello. Un tuo parere su questa questione.
Mi pare che sia una derubricazione di un problema grande come una casa perché in Italia almeno, e non stiamo parlando della Romania nè dell’Albania, ma stiamo parlando dell’Italia, la falce e martello è sempre stato uno dei simboli fondamentali dell’identità del lavoro. L’arcobaleno è un altro simbolo altrettanto importante ma neppure alternativo, ma certo non riassume l’identità del lavoro e mi pare che questa operazione sia un’operazione superficiale. Come sempre, si tenta di mascherare con un accordo elettorale, quello che secondo me è un’altra cosa, cioè il tentativo di fare con grande ritardo le operazioni che non riuscì a fare Occhetto nell’89-90, nella Bolognina. Occhetto puntò ad un superamento della Falce e Martello della tradizione comunista italiana che però non rinunciasse al conflitto etc. Il risultato finale di quell’operazione è il Partito Democratico. Io credo che c’è una logica nelle cose, poi uno può dichiarare che sta andando a Trento ma se prende il treno che va ad Ancona poi finisce lì anche se vuole andare a Trento o da un’altra parte. Ci sono cioè dei percorsi che sono obbligati dalle scelte che si fanno. D’altra parte, sappiamo tutti perfettamente che questo partito o questa federazione unitaria che sta nascendo, nasce su basi che di radicale non hanno assolutamente nulla perché non è stato in grado su nessun punto – penso ad esempio anche all’ultima grande questione del protocollo sul welfare – di incidere. Mentre nella società c’è una domanda davvero di radicalità e conflitto, questo partito nasce con un moderatismo di fondo ed all’inseguimento del partito democratico, senza un’alternativa di progetto nella società. Quindi mi pare un classico cambio di insegna di un’azienda che cambia target senza discutere delle ragioni della sua crisi.