Nel dossier il lettore troverà ampi stralci delle otto tesi poste alla base della discussione congressuale (eccetto la tesi 7, dedicata alla stampa comunista francese, che tratta di temi molto specifici e poco significativi per il lettore italiano; mentre il punto 8, che comprende le proposte testuali di modifica allo Statuto sintetizzate nella tesi 6, è ricondotto ad una nota esplicativa inserita nella tesi 6). Ogni tesi si compone di tre paragrafi:
– nel primo (“Sintesi della discussione”) si fa cenno ai temi più controversi che sono stati oggetto della discussione precongressuale;
– nel secondo (“Osservazioni emerse nella consultazione del 4-11 febbraio”) si riportano i risultati della consultazione e si accenna alle principali osservazioni emerse;
– nel terzo (“Proposte di indirizzo”) si espongono le tesi politiche che vengono sottoposte all’approvazione del congresso.
Tutti e tre i paragrafi, non solo il terzo, sono parte integrante del documento congressuale e sono stati quindi sottoposti al voto.
Tesi 1 – Mondializzazione, quadro internazionale e azione del Partito comunista (estratti)
• Sintesi della discussione. La necessità di un nuovo internazionalismo è richiamata molto spesso, in genere come un vasto raggruppamento, a volte in termini di movimento comunista internazionale. Ma due sono, in fondo, le opzioni: per molti la mondializzazione è un processo dominato ed orientato dal capitalismo ma caratterizzato anche da contraddizioni e da pressioni delle esigenze di riavvicinamento dei popoli. Si tratta di combattere la mondializzazione capitalista e le manifestazioni dell’imperialismo nella prospettiva della mondializzazione del progresso umano. Da altri la mondializzazione è vista come iniziativa imprenditoriale del capitale di fronte alla quale occorre opporre la resistenza anti-imperialista e la difesa della sovranità nazionale.
• Osservazioni emerse nella consultazione del 4-11 febbraio. L’84,9 per cento dei votanti hanno approvato questo testo come base di discussione. Il 6 per cento ha avanzato dei rilievi che prolungano il dibattito precedente. Alcuni hanno notato una contrapposizione fra il concetto di superamento del capitalismo e quello della necessità di finirla con questo sistema.
• Proposte di indirizzo. Una idea fondamentale ci unisce, quella di costruire un’altra società, un’altra umanità, un altro mondo; vogliamo finirla col capitalismo e con tutte le forme di dominio. Il capitalismo non è la fine della storia. Non è sufficiente cercare di far correggere dagli Stati gli “eccessi” del liberalismo, come predicano i dirigenti social-democratici. È necessario trasformare, fino al suo superamento, l’economia di mercato capitalista al fine di costruire una società di progresso per tutti gli esseri umani. L’esigenza crescente di disporre delle risorse, delle attività, dei saperi, dei poteri necessita una mondializzazione dello sviluppo generalizzato, un salto in avanti della democrazia con una estensione senza precedenti dei diritti umani e delle libertà individuali. Questi processi, oggi, sono dominati dal capitalismo. Gli Stati più potenti ed i rispettivi governi giocano un ruolo attivo. La mondializzazione capitalista è caratterizzata dalla volontà egemonica degli Stati Uniti espressa soprattutto sul piano militare attraverso la Nato, le rivalità fra le grandi potenze nonostante i loro tentativi di coordinamento nel quadro delle istituzioni internazionali, la concorrenza e le alleanze dominanti delle multinazionali , la dittatura dei mercati finanziari. Il nuovo imperialismo rivendica e si attribuisce un “diritto d’ingerenza” in spregio del diritto internazionale. Ai bombardamenti della Nato sulla Jugoslavia in violazione del principi dell’Onu, che non fanno che accentuare le manifestazioni di intolleranza ed i conflitti, occorre rispondere con la solidarietà attiva ed una profonda democratizzazione delle istituzioni internazionali, con nuove regole per consentire che ovunque si raggiungano soluzioni negoziate e si possa prevenire i conflitti. La mondializzazione capitalista comporta conseguenze rivoltanti, drammatiche per i popoli. I Paesi del Sud del mondo sono i più colpiti. L’Africa è in pericolo. L’Europa dell’Est e tutta l’Asia sono minacciate. Miliardi di esseri umani sono esposti ad estrema insicurezza: disoccupazione, precarietà, miseria, crescenti disuguaglianze, epidemie, carestie, disastri ecologici, sfruttamento dei bambini, violenze, trasferimenti forzati e migrazioni di intere popolazioni, spinte nazionaliste, razziste, xenofobe, integralismi ecc. La necessaria lotta contro la mondializzazione capitalista e a favore di un’altra mondializzazione al servizio degli esseri umani può fare leva su tutti i processi positivi che stanno emergendo e sui progressi di una vera coscienza planetaria. Si tratta di finirla col capitalismo superandolo, vale a dire che occorre lavorare – in un processo di creazione e di avanzamento, secondo il ritmo delle lotte, delle conquiste e della volontà della gente – per una graduale sostituzione delle vecchie regole con quelle nuove. Noi lavoriamo per un altro tipo di mondializzazione.
Ed in modo particolare per:
– impegni di sicurezza collettiva: di fronte alle concezioni strategiche della Nato, della quale è necessario lo scioglimento, deve prevalere un principio globale e multidimensionale della sicurezza, basato sulla prevenzione, sul disarmo e sullo sganciamento dalla tutela americana;
– impegni socio-economici: sono necessarie misure per la regolamentazione dei mercati. Ma ci vogliono, prima, delle regole che consentano di eliminare l’onnipotenza del mercato: nuovi finanziamenti, nuovi poteri per i salariati, per i cittadini, per i loro rappresentanti nelle istituzioni, soprattutto per l’utilizzazione della ricchezza; nuovi scopi sociali; nuove istituzioni. La riorganizzazione del Fondo monetario internazionale, per esempio, deve mirare ad aumentare l’apertura del credito a tassi molto bassi per l’occupazione, la formazione, lo sviluppo umano, grazie alla creazione di una moneta comune mondiale di cooperazione, il che farebbe diminuire l’egemonia del dollaro e la dittatura dei mercati finanziari. Noi lavoriamo per un riorientamento in senso progressista della costruzione dell’Europa, rimettendo in discussione le regole ultraliberiste dei trattati attualmente in vigore (patto di stabilità, statuti e orientamenti della Banca centrale europea, trattati di Maastricht e di Amsterdam). Protagonista della mondializzazione capitalista, l’Europa è campo d’azione per una costruzione mondiale di altro tipo. Noi ci battiamo per un mondo e per un’Europa di nazioni e di popoli sovrani e cooperanti. Noi guardiamo alle nazioni non come residuati identitari, ma come strumenti di una costruzione europea e mondiale di cooperazione. Con tutte quelle forze che si impegnano nella lotta contro la mondializzazione capitalista, con tutti coloro che si battono per la costruzione di una alternativa al capitalismo, questa è l’ora del dialogo e dell’azione convergente per la solidarietà, per la cooperazione nelle forme più diverse: vogliamo essere protagonisti di un nuovo internazionalismo.
Tesi 2 – È il comunismo che è fallito in questo secolo? (estratti)
• Sintesi della discussione. Alcuni compagni pensano che il nostro giudizio critico sull’Urss sia troppo unilaterale. Altri ritengono che non teniamo conto a sufficienza delle circostanze, dei ritardi, dell’ostilità delle potenza capitaliste, delle guerre e della contrapposizione dei blocchi. In Urss, sostengono, il comunismo non è fallito, è stato battuto da un avversario troppo potente. La questione delle responsabilità dei comunisti francesi ha sollevato pareri molto diversi. Noi non abbiamo niente a che fare con tutto ciò – sostengono certi – e quindi perché cospargersi la testa di cenere? Se non abbiamo condannato abbastanza in tempo è perché i dirigenti hanno mentito, aggiungono altri, i militanti non sapevano niente di quello che accadeva là.
• Osservazioni emerse nella consultazione del 4-11 febbraio. L’81,9 per cento dei votanti ha approvato questo testo come base della discussione. Il 7 per cento ha avanzato dei rilievi. Parecchi rinnovano le critiche già mosse in precedenza: il testo è troppo unilaterale sui Paesi socialisti e non tiene conto dei loro successi; non valorizza abbastanza la storia del Partito comunista francese; la responsabilità dei dirigenti non è sottolineata a sufficienza. Alcuni compagni vorrebbero che trattassimo esplicitamente di Cuba, del Vietnam e della Cina. Altri, infine, approvano lo sforzo di chiarezza critica che abbiamo fatto per sbarazzarci delle vecchie concezioni; desiderebbero tuttavia che lo sforzo fosse spinto ancora più a fondo per trarre da quella esperienza tutte le lezioni possibili ed in modo particolare da quella staliniana.
• Proposte di indirizzo. Il comunismo affonda le proprie radici lontano nel passato, soprattutto in Francia. Da Babeuf a Fourier a Jaurès, dalla rivoluzione del 1848 alla Comune di Parigi, dalla creatività delle lotte popolari a quella degli scritti di Marx, è viva la tradizione che sorregge la battaglia contro le alienazioni e per la speranza nella giustizia e nel progresso umano. L’Ottobre del 1917 ha aperto una nuova fase: sono nati partiti comunisti, distinti dai partiti social-democratici, a partire dall’esperienza della Russia di Lenin. Su questa base, milioni di donne e di uomini nel mondo si sono impegnati a fondo ed hanno svolto un ruolo essenziale nelle grandi conquiste di emancipazione del secolo. Le loro battaglie hanno avuto un significato e sono state utili: in Francia, la scelta comunista fatta a Tours (di dare vita al Pcf- ndr) è stata valida: questa è la convinzione dell’immensa maggioranza dei comunisti. Dal 1920 i comunisti francesi hanno svolto un ruolo rilevante nella storia nazionale, nelle conquiste sociali e democratiche della nostra storia recente. Sono stati in prima fila nelle grandi lotte per la libertà quali l’antifascismo, la Resistenza, le lotte anticoloniali. La rivoluzione russa ha portato il sogno e la speranza di una società di uguaglianza. Le società di tipo sovietico hanno consentito importanti avanzamenti sociali, offerto un contributo decisivo alla vittoria sul nazismo, aiutato i movimenti progressisti, frenato l’imperialismo delle grandi potenze capitaliste. Ma hanno anche riprodotto sistemi di dominio favorendo la nascita di Stati oppressivi, ignorando i diritti umani e hanno causato milioni di morti, non risparmiando certo i comunisti. Non hanno favorito né l’emancipazione dell’individuo né, a conti fatti, la fine del capitalismo e l’avvento di una società comunista. In Urss e nei Paesi del “campo socialista” si è installata una società che, lungi dall’essere democratica, risultava schiacciata da uno Stato burocratico onnipresente. Ancora oggi violazioni dei diritti umani ed anche crimini sono commessi o accettati da certi partiti o regimi politici che si richiamano al comunismo. Il Partito comunista francese afferma che, per quanto lo riguarda, mai il fine può giustificare i mezzi; non si promuove la liberazione degli esseri umani, non si fa la rivoluzione restringendo, anche se provvisoriamente, le libertà. In tale evoluzione, le circostanze storiche (arretratezza, ostilità delle potenze capitalistiche, guerre e scontro tra i blocchi hanno pesato gravemente. Ma non sono state le circostanze, sono stati degli uomini, sono stati dei comunisti che hanno fatto lo stalinismo, anche contro altri comunisti. Il contesto non è quindi sufficiente a spiegare la vanificazione delle potenzialità emancipatrici dell’Ottobre né l’incapacità di queste società a riformarsi. In realtà l’evoluzione negativa è stata facilitata, non dalla rivoluzione in se stessa, ma da una concezione storica che l’ha ridotta alla presa del potere dello Stato, alla dittatura del proletariato ed alla statalizzazione dell’economia. Ha rifiutato le libertà individuali e politiche considerate come “borghesi”; ha riprodotto, ai massimi ed ai minimi livelli della società le gerarchie e la separatezza fra dominanti e dominati, fra “quelli che sanno” e “quelli che non sanno”. Il Partito comunista francese non è estraneo a tutto questo. Lo stalinismo ci ha segnato profondamente, così come ha pesato su di noi una storia francese statalista ed accentratrice. Noi abbiamo anche condiviso con i partiti comunisti al potere la stessa immagine della rivoluzione e la medesima concezione del partito che ne derivava. Abbiamo condiviso la stessa cultura politica, che ha portato il Partito a tacere o soltanto a sottostimare i crimini e le violazioni delle libertà nei Paesi socialisti ed anche, in certi momenti, ad approvarli. Siamo stati sordi alle critiche, anche quando queste critiche provenivano da comunisti. Abbiamo condannato lo stalinismo, questo è vero; a più riprese dagli anni Sessanta, abbiamo assunto decisioni importanti per rinnovare il nostro pensiero e migliorare la nostra attività. Tuttavia anche i nostri stessi progressi sono rimasti prigionieri di un modello originario che occorre superare radicalmente per poterci sbarazzare dei suoi effetti sulla nostra mentalità e sul nostro modo di agire politico. Perché noi ne vediamo i difetti, perché ha limitato ed anche deformato la nostra visione della società e del mondo; e ancora perché la realtà di oggi pone questioni alla quali il vecchio modello non è in grado di dare risposte. La storia, ma anche le esigenze del nostro tempo, ci inducono a pensare che la trasformazione della società, e quindi la concezione del partito comunista, devono obbedire a principi diversi da quelli cui si riferiva il modello bolscevico di altri tempi. È una certa concezione di comunismo che ha fatto fallimento in questo secolo, e non il comunismo in se stesso. Esso, il comunismo, che le rivoluzioni del nostro tempo rendono più necessario che mai, non può semplicemente continuare quello che è stato appena iniziato. Per promuovere una alternativa credibile al capitalismo, deve costruire, oggi, una nuova coerenza progettuale, una pratica politica ed una organizzazione adeguate: ed è questo che noi intendiamo per “nuovo partito comunista”. La nostra storia è un punto di appoggio; la nostra epoca esprime l’esigenza e le potenzialità di una nuova era del comunismo.
Tesi 3 – La società francese (estratti)
• Sintesi della discussione. Siamo quasi tutti d’accordo sul fatto che la crisi della società esprime la contraddizione fra le logiche capitaliste e le esigenze e le potenzialità della nostra epoca. Il dibattito ha come oggetto la natura e l’ampiezza delle trasformazioni della società. Alcuni compagni considerano che si tratta, prima di tutto, delle contraddizioni del capitalismo e che la questione che si pone è quindi quella di condurre, ma con maggior determinazione, una lotta di lunga durata contro il sistema. Altri sostengono che l’argomento del “nuovo” serve innanzitutto ad adattarsi all’attuale stato di cose. L’opinione che ne emerge è che l’azione politica contro il capitalismo deve condursi in situazioni affatto nuove e quindi è urgente prenderne accuratamente le misure. La struttura di classe è vista in modo non uniforme. Alcuni compagni pensano che, posta nel cuore della contraddizione capitale-lavoro, la classe operaia rimane il soggetto principale della lotta contro il capitalismo. In questa prospettiva, alcuni ritengono che (la classe operaia) si sia allargata comprendendo altri salariati, i disoccupati, i pensionati. Ma l’opinione maggioritaria è che noi abbiamo avuto ragione, nel corso dei nostri precedenti congressi, quando non abbiamo ritenuto essere la classe operaia la sola classe rivoluzionaria “fino in fondo”. Dobbiamo parlare di “classe dei salariati”? Questa idea non ha molto credito. Si tratta, come minimo, della coniazione di una denominazione più che dello studio di quello che è in movimento. Una esigenza si impone, quella di capire meglio la realtà dei movimenti sociali, perché tutti sono convinti essere essenziale il problema del rapporto fra il movimento sociale e la politica. Anche sulla crisi della politica e della cittadinanza ci sono pareri diversi. Alcuni compagni vi leggono l’opposizione alla politica attuale. Altri la considerano la conseguenza del crollo delle speranze che si è verificata in questi due ultimi decenni. Senza negare questi elementi che hanno funzionato da amplificatori, riteniamo che, in generale, il problema posto abbia radici più profonde.
• Osservazioni emerse nella consultazione del 4-11 febbraio. L’83,3 per cento dei votanti approva questo testo come base di discussione. Le osservazioni (5,4 per cento) riguardano richieste di approfondimento: sui cambiamenti nel lavoro, sulle sue nuove forme, soprattutto in collegamento con la rivoluzione informatica; sui contenuti attuali della lotta di classe che si sono profondamente trasformati per le nuove forme assunte dallo sfruttamento ed, infine, sulle attuali caratteristiche delle classi.
• Proposte di indirizzo. Per noi non ci sono frontiere di classe fra gli sfruttati, si tratti di disoccupati, di “esclusi”, di precari, di operai, e il mondo del lavoro nel suo complesso. Questo, oggi, è segnato dalla diversità e dalla intellettualizzazione anche del lavoro operaio, dalla crescente femminilizzazione, dal peso sempre più evidente della ricerca e del lavoro creativo. Questi mutamenti necessitano di un’altra concezione dell’unità e di un altro modo di guardare le classi sociali. La lotta di classe è una realtà viva ma si estende su nuovi terreni e su nuovi soggetti anche perché va assumendo dimensioni sempre più europee e mondiali. Noi rifiutiamo di arrenderci al crescente discredito dei partiti e della rappresentanza politica, come pure al massiccio astensionismo. Conosciamo i pericoli delle evoluzioni di questo tipo per la democrazia. Sono il terreno del populismo e dell’estrema destra. E siamo anche coscienti che la severità del giudizio sulla politica è l’indice della persistenza di una aspirazione di tutt’altro genere, fondata sulla capacità di rispondere alle attese del Paese, sul rispetto degli impegni presi, sull’onestà, sulla trasparenza, sul diritto dei cittadini all’intervento ed alla partecipazione. Sono questi i principi che vogliamo far vivere, dobbiamo sperimentare nuove forme di democrazia politica. Una delle iniziative tese a rispondere alla necessità di intervento sul terreno politico è la creazione di luoghi di partecipazione per i cittadini: rappresentano una esperienza di arricchimento che deve essere di lunga durata.