Non mi riesce di ricordare un altro caso in cui uno Stato assediato e in guerra abbia consentito la formazione di una quinta colonna interna delle proporzioni di quella jugoslava. O un altro caso in cui l’intera opposizione – salvo alcune formazioni comuniste post-titine di scarsissimo peso numerico nazionale – si ponesse al soldo ed agli ordini di potenze straniere.
Deve essere merito della “dittatura” di Slobodan Milosevic, sotto la cui ferula han no potuto fiorire una maggioranza di mez zi d’informazione ferocemente critici del tiranno, nonché formazioni politiche che facevano i pendolari con Sofia, Podgorica o Zagabria per seguire corsi di presa del palazzo condotti dalla Cia, o ricevevano bauli pieni di dollari, riempiti da emissari del banditismo speculativo internazionale, come il plurinquisito e pluricondannato ungherese George Soros, fiduciario del Fmi, o direttamente dalla Casa Bianca di cui Soros era consigliere per i paesi dell’Est europeo e per i Balcani. Quel Soros, inquisito anche in Italia per l’assalto alla lira del 1992, che ci costò 47 miliardi di dollari, bruciati dalla Banca d’Italia per sostenere la nostra valuta, nonché una svalutazione del 30%, grazie alla quale i nostri gioielli di famiglia, le industrie di Stato, finirono sul mercato internazionale a prezzi stracciati.
Quel Soros il cui Fondo d’investimento, Quantum Fund, con sede nel paradiso fiscale delle Antille olandesi, fu perseguito per collegamenti con i cartelli della droga colombiana. Quel Soros il cui International Crisis Group, think tank del Pentagono per il Balcani, ordinò al governatore Onu del Koso vo, Kouchner, di occupare le più grande miniere d’Europa, Trepca, di proprietà jugoslava, per poi conferirle a un consorzio a guida statunitense, capeggiato dall’ex-segretario alla Di fesa, Cheney. Quel Soros che, quando nel maggio ’99, in pieno bombardamento, incontrai apertamente in un palazzo al centro di Belgrado, esponenti del coordinamento delle Ong jugoslave, della società civile, e del Comitato Helsinki mi indicarono quale loro munifico finanziatore. Nel solo settembre 2000, alla vigilia del putsch di popolo, organizzato, infiltrato e guidato da 2000 sgherri paramilitari, molti travestiti da poliziotti, del sindaco di Cacak, Velimir Ilic, dalle teste rasate di Zoran Djindjic (l’impresentabile guida rivoluzionaria che, essendosi venduto a tedeschi e americani e avendo fornito alla Nato le mappe dei siti da bombardare, ha dovuto presentare la rivoluzione democratica con la faccia del meno screditato Vojislav Kostu nica), e dai militanti di Otpor, gli stanziamenti ufficiali Usa alla Dos, Op posizione democratica serba, sono stati di 700 milioni di dollari: 77 deliberati dal governo, 105 dal Senato, 500 dalla Camera dei Rappresentanti. A paragone dell’Italia, della sua popolazione e del suo reddito medio, sarebbero 17.000 miliardi, una finanziaria, che un governo straniero (e nemico) avrebbe fornito ai partiti d’opposizione: reato di corruzione e addirittura di alto tradimento per qualsiasi paese del mondo. Oltre ai soldi, già in precedenza un flusso inarrestabile ai gruppi della società civile, Otpor in testa, e ai loro mezzi d’informazione, Radio B2-92 e Studio B (di Vuk Draskovic) per citare solo i più noti, l’appoggio statunitense e di vari paesi Nato prendeva la forma di equipaggiamenti e macchinari: computer, ricetrasmittenti, fotocopiatrici, stampanti, attrezzature d’ufficio, fax, e quei tele fonini di cui pareva che ogni singolo membro di Otpor facesse esibizione nel gestire le manifestazioni della rivolta democratica, culminata nell’incendio del Parlamento, nella distruzione delle schede che avrebbero consentito un riesame del voto, nella devastazione delle sedi del Psj e della Jul, nella caccia all’uomo protrattasi per parecchi giorni dopo la promessa di Kostunica: niente revanscismi e violenze (altri cellulari, si ricorderà, furono distribuiti agli amici interni perché segnalassero a Bruxelles obiettivi da colpire). I protagonisti minori dell’operazione colpo di stato, accanto a Djindjic, al suo (e di Kostunica) Partito democratico ser bo e alla folla, imbarcata da tutta la Jugoslavia, di gente terrorizzata dalle incombenti minacce belliche della Na to, consapevoli del vicolo cieco in cui e ra finito Milosevic, speranzose del ben godi assicurato dalla fine delle sanzioni e dall’arrivo del libero mercato, sono stati una quindicina di partitini del due o tre per cento. Alternativa democratica di Neboja Covic, una specie di berluschino fino al ’96 sindaco di Belgrado, poi cacciato per corruzione: aveva tra l’altro trafficato perché fosse la sua ditta a fornire i tubi per la gassificazione della città; il partito democristiano di Batic, un’emanazione della poco influente e reazionaria Chiesa ortodossa; il Partito socialdemocratico, di maggiore rilievo, dell’ex-generale Vuko Obradovic, già de latore degli anti-Tito negli anni ’70, cac ciato dall’esercito per traffici in Krajna, poi grande boss dell’export-import borsanerista sotto l’embargo; il partitino liberale dell’ex-comandante delle Forze armate, Perisic, accusato all’Aja e intercettato mentre implorava l’Albright di non farlo arrestare e quindi passato ar mi e bagagli agli ordini di Washington; Azione democratica, fratello del partito islamista di Izetbegovic, capeggiato da Suleiman Ugljanin e attivo nel separatismo del Sangiaccato; altri partiti minori separatisti della Vojovodina, come quello a maggioranza ungherese di tipo Lega che, con il 19% dei voti della minoranza vanta il 51% dei seggi nel parlamento regionale e ultimamente ha chiesto una modifica alla Costituzione federale che prevedesse una propria Carta fondante, una propria magistratura, propri poteri legislativi ed esecutivi in tutte le materie escluse, per ora, difesa e politica estera. Si tratta fondamentalmente di espressioni di interessi economici, mascherati da rivendicazioni etniche o localistiche, tutti in rabbioso contrasto tra loro e che per Kostunica costituiscono il più frammentato e litigioso dei blocchi sociali, oggi tenuto insieme dalla minaccia delle formazioni paramilitari di Djindjic e dalla famelica attesa delle remunerazioni occidentali di tutti quanti. Completano il panorama partitini da prefisso telefonico come Nuova Serbia, Nuova Democrazia, Socialdemocrazia Unita, Lega socialdemocratica della Vojvodina, Coalizione di Vojvodina, Riforma democratica di Vojvodina, i quali hanno tutti in comune un ristretto radicamento territoriale, rivendicazioni di carattere leghista, programmi di liberismo campanilistico e la subordinazione politica al capofila Djindjic.
Di particolare interesse sono però, più dinamiche dei principali partiti politici tradizionali (quello Democratico e quel lo, nazionalista e ultraliberista, del Rin novamento Serbo, rispettivamente di Djindjic e dell’ondivago monarchico Draskovic, latitante in Francia durante il putsch), le formazioni della cosiddetta società civile:
Organizzazioni non governative, non riconosciute se non da interlocutori italiani, comitati per i diritti civili, come l’americanissimo Co mitato Helsinki, associazioni varie e, su tutti, Otpor, il cosiddetto Movimento degli studenti, erede della coalizione Zajedno, organizzatrice della manifestazioni degli an ni ‘96-’97 che sfilavano per Belgrado con in testa la bandiera americana.
Zajedno aveva come figura guida Vesna Pesic, fondatrice del Centro d’Azione contro la Guerra e poi presidente del l’Alleanza civica serba che animò le grandi manifestazioni della seconda metà degli anni ’90 e dalla cui costola fu partorita Otpor (Resistenza).
L’affiancava Sonia Licht, presidente della Fondazione Soros (Open Society) a Belgrado e anche lei portavoce del movimento (i dirigenti sia dell’Alleanza civica, sia di Otpor hanno intensi contatti con i Centri sociali del nord est, dei quali, invitati da Radio Sherwood, sono stati ripetutamente ospiti). Interessante il curriculum di Vesna Pesic.
Docente all’United States Institute of Peace (Usip) nel ‘94-’95, Pesic è un tipico esponente dell’opposizione di estrema destra emersa in Europa orientale dopo il l989, finanziata da fondazioni e agenzie occidentali e, spesso, del tutto apertamente dallo stesso governo Usa. Nel l985 aveva fondato l’Helsinki committee di Serbia. Questo comitato ven ne creato durante la guerra fredda per condurre campagne di diffamazione contro l’Unione sovietica. Dal Comitato Helsinki scaturì nel 1990 il Movimento europeo di Serbia. Il Movimento europeo è una lobby filo-britannica, composta da elementi delle classi più ab bienti, creata da Wisnton Churchill nel 1948 per sostenere l’egemonia britannica sulla Comunità europea.
Quanto all’Usip, si tratta di un’agenzia governativa statunitense, fondata dal Congresso per rafforzare la capacità della Nazione di promuovere soluzioni appropriate (ricatti Fmi, e poi bombe ed embargo – ndr) per i conflitti internazionali. Il Consiglio d’amministrazione dell’Usip nominato direttamente dal Presidente degli Stati uniti ed è presieduto dal vice-segretario di Stato per i servizi d’informazione e la ricerca.
L’ingresso nell’Istituto è negato a chiunque si opponga al libero mercato, alla Nato e alla presenza statunitense in Europa. A Vesna Pesic fu assegnato nel 1993 il Premio Democrazia della Fon dazione Nazionale per la Demo cra zia (National Endowment for Democra cy), un ente formalmente indipendente, ma finanziato dal Congresso e punta di lan cia dell’espansionismo e interventismo Usa.
Tale premio è stato assegnato in passato a personaggi di sicuro affidamento imperialista come Vaclav Havel (il presidente ceco che indicò come suo successore Madeleine Albright), la stessa Albright, Jimmy Carter, Walter Mondale, George Mitchell. Nel 1998, Vesna Pesic fu candidata dagli americani al Premio Nobel.
Otpor, spuntato nel 1999, sempre nell’ambito della coalizione di Ong serbe antigovernative e definitosi, a dispetto dell’età media dei partecipanti, sui 35 anni, movimento degli studenti, definito indistintamente da tutte le aree di opinione italiane espressione della democrazia progressiva serba, se non addirittura movimento rivoluzionario di sinistra, aveva per simbolo il pugno chiuso della rivolta parigina su fondo rosso (diventato nero nel giorno della presa del Parlamento). Tutti i suoi aderenti si dicono anche membri del Partito democratico di Djindjic.
Sociologicamente è un fritto misto interclassista di studenti della piccola e media borghesia, commercianti, pescicani della borsa nera e, come manovalanza. sottoproletari delle periferie ur bane. Un membro di Otpor confessò di aver assassinato il governatore socialista della Vojvodina, vicinissimo a Milo sevic. Una manifestazione significativa di Otpor fu, nel corso della campagna elettorale, l’allestimento a Kragujevac di una serie di stelle a cinque punte co muniste, di ghiaccio, circondate da candele che ne provocavano lo scioglimento, sotto uno striscione su cui si leggeva Dopo 50 anni è ora di seppellire il comunismo in Jugoslavia. Militanti di Otpor furono, insieme alle teste rasate di Djindjic e ad una polizia privata, le forze d’urto negli assalti al parlamento federale e a quello serbo, nonché nella successiva epurazione violenta di funzionari, sindacalisti, manager di Sta to, cittadini comuni non aderenti al l’al lo ra opposizione. Per chiarirne natura politica ed obiettivi economico-sociali conviene far parlare direttamente i due portavoce, Jelena e Ivana in due interviste rilasciate rispettivamente agli amici di Radio Sherwood (organo dei Centri del nord-est) e al giornalista e scrittore belga Michel Collon.
Riportiamo alcune risposte.
Otpor è nato da un’idea dei giovani che sono insoddisfatti di come stanno an dando le cose in questo paese e che vogliono vivere e pensare liberamente come nel resto del mondo. Noi vogliamo creare un nuovo sistema dove sarà possibile vivere ed esprimersi normalmente. Ci finanzia la gente che ci vuole aiutare… Tutto quello che facciamo, lo facciamo perché vogliamo entrare in Europa, vogliamo essere parte del l’Europa. Collaboriamo con tanti paesi europei e tanti ci appoggiano… Per quanto riguarda il Kosovo…si sa bene di chi è la colpa (Milosevic) e noi stiamo cercando di dimostrarlo. Vogliamo far capire alla gente chi è il colpevole… E anche la colpa dei bombardamenti è del nostro presidente Milosevic… Noi siamo isolati da tutto il resto del mondo per colpa di loro due (Milosevic e Mira Markovic – ndr) e non è giusto. Anche qua c’è gente che vuole viaggiare, vuole conoscere e ha molto da offrire.
Più interessante il colloquio con Ivana, a cui si aggiunge un altro dirigente, Ne nad. Tutti i nostri militanti sono anche membri del Partito democratico (Djin djic. Ndr.) Essere parzialmente controllati dalla Cia non mi disturba più di tanto…La Jugoslavia è un buon posto per investire, possiede miniere estremamente ricche, il Danubio ha grandi potenzialità elettriche, c’è una forza lavoro qualificata che lavora molto ed a basso prezzo, diciamo 200 marchi (200.000 lire) al mese… è una situazione assai interessante per le multinazionali. È vero che Otpor, quanto meno i suoi dirigenti, sono pagati dalla Cia per mezzo della Fondazione Nazionale per la Democrazia (National Endo wment for Democracy)? So bene che la Cia è impegnata in questa faccenda.
Devono fare il loro lavoro e sono più forti dei nostri servizi segreti … Non possiamo resistere agli Usa, loro devono fare il proprio lavoro e, di conseguenza, non mi imbarazza essere parzialmente controllato dalla Cia. L’intervistatore ricorda ai suoi interlocutori che il capo della Cia, George Tennent, nell’estate del ’99 si era recato a Sofia per istruire l’opposizione serba e che lo scorso 28 agosto la Bbc ha confermato che un corso Cia di formazione speciale, della durata di 10 giorni, era stato tenuto a militanti Otpor, sempre a Sofia. Perché la Cia ha addestrato i nostri quadri e perché impegna tanto denaro per assumere il controllo su Otpor e sugli altri movimenti d’opposizione? Perché alla base di questi movimenti si trovano pure tante persone oneste che hanno molto da rimproverare a Milosevic ed ai partiti al potere, ma restano attaccati all’indipendenza della Jugoslavia… Alla domanda se Otpor non temesse che, quando le multinazionali avranno preso il controllo del paese, si abbasseranno fortemente tutti i salari allo scopo di elevare i profitti, la risposta è: Cionondimeno sarebbe un gran bel affare per le multinazionali e noi cercheremo di mantenere il controllo.
Radio B-92, poi ribattezzata, dopo una breve chiusura ordinata dalle autorità nel maggio ’99, dopo che la radio (co me anche la Tv Studio-B) aveva incitato alla ribellione armata e all’uccisione de capi del regime, Radio B2-92, viene propagandata in Italia come voce della gioventù democratica e progressista. Suoi interlocutori particolarmente affettuosi sono ancora una volta le radio dei Centro sociali del nord est. E qui non si può non notare la formidabile contraddizione tra un movimento (centri del nord est, Cantieri sociali, Radio Sher wo od, ecc.) che, partecipando ai movimenti antiliberisti di Seattle, Praga, Bo logna, Nizza con parole d’ordine antiliberiste e anti-globalizzazione (evitando accuratamente i termini Usa e imperialismo), si senta naturale alleato di forze serbe che tale liberismo capitalista e tale globalizzazione auspicano e che, per contribuire alla loro espansione, si fanno finanziare dalla Cia, dal governo Usa, da Soros e relativi apparati sussidiari. Non è questa la sede per allargare il discorso alla natura di queste Ong e delle Ong in generale, quelle cui pensa il bancario e presidente-in-pectore An tonio Fazio quando esalta il vo lontariato e il terzo settore e gli affida il sociale.
Si tenga però presente il ruolo comple mentare alle grandi istituzioni finanzia rie e commerciali che articolano l’im pe rialismo americano, svolto da questi attivisti della democrazia dal basso.
Identica è la visione antistatalista, l’avversione a una mano pubblica che si assuma la difesa della collettività contro l’aggressione del potere economico privato. Identica è la spinta al federalismo, detto anche devolution, alla deregolamentazione, in Italia definita democrazia municipale. È ovvia la coincidenza tra antistatalismo e neoliberismo, dalla quale discende la benevolenza della Banca mondiale verso le Ong. In realtà i regimi neoliberali, la Banca mondiale e le fondazioni occidentali (vedi la Fondazione per una società aperta di Soros) cooptano ed usano le Ong per sottrarre allo Stato nazionale le funzioni di protezione ed i servizi sociali tesi a compensare le vittime degli effetti determinati dalle grandi corporazioni multinazionali (James Petras). Si comprende, perciò, perché i vertici dell’imperialismo Usa abbiano in prima istanza curato la creazione e il rafforzamento in Jugoslavia di quella che, con un termine che annulla la lotta di classe, viene definita società civile.
Di questa strategia è impressionante documentazione il verbale di un’audizione del Senato Usa (29 luglio 1999), cui erano stati invitati Robert Gelbard, inviato speciale di Clinton nei Balcani (poi in Indonesia) e regista dello smembramento della Jugoslavia; James Pardew Jr., consigliere del Presidente e segretario di Stato per l’attuazione di Dayton e degli accordi sul Kosovo; e, come presidente di commissione, il se na tore Gordon Smith. In essenza la di scus sione vede Gelbard e Pardew il lustrare a Smith le operazioni di sostegno finanziario all’opposizione jugoslava, in Serbia e Montenegro, con particolare riferimento al movimento degli studenti e ai media come B2-92.
Smith esordisce con la domanda circa come gli Usa possono aiutare coloro in Serbia che cercano di eliminare il regime dittatoriale di Slobodan Milosevic. Dopo lo scambio iniziale su modi e mezzi di aiuto, vengono ammessi anche Sonja Biserko, presidente del Comitato di Helsinki in Serbia e, insieme a Sonia Licht (Fondazione Soros) e Vesna Pesic (Alleanza civica delle Ong), leader della società civile serba;
James Hooper, direttore del Balkan Action Council e consigliere dell’Uck, padre Irinej Dobrijevic, emissario del patriarca ortodosso Pavle (che poi be ne disse gli assalitori del Parlamento) e John Fox direttore della sede di Wa shin gton dell’Open Society di George Soros. Rilevato che tutto è pronto perché un’opposizione finalmente unita (Dos) scenda in piazza e che la Chiesa ortodossa Serba si è pronunciata per la liquidazione del regime, Smith afferma che tutto questo ha enormi implicazione per la Nato e il suo futuro. Punta di lancia delle prossime operazioni do vranno essere, attraverso l’appropriato uso dei fondi stanziati, l’Alto Commis sariato dell’Onu per i Rifugiati (Unhcr), già impegnato in Montenegro a finanziare l’addestramento delle milizie del ma lavitoso Djukanovic, condotto da spe cialisti delle britanniche Sas (Special Air Ser vices: l’equivalente degli squadroni della morte latino-americani), le organizzazioni civili serbe, in particolare il movimento degli studenti (Otpor), i sindacati indipendenti (quelli della caccia all’uomo ai sindacalisti Zastava, dopo l’elezione di Kostunica) e i media indipenenti (B2-92, Studio-B).
Viene ricordato che per la Legge sulla democratizzazione della Serbia, presentata dal senatore Jesse Helms (quello del la legge Burton-Helms contro Cu ba), erano stati stanziati per questi destinatari, il giorno prima, 100 milioni di dollari.
Gelbard passa poi a elencare i fattori che avrebbero indebolito Mi losevic: il successo della campagna di bombardamenti, l’occupazione del Kosovo da parte della Kfor, l’ottimo funzionamento (sic) dell’amministrazione Onu in Kosovo, l’incriminazione al Tribunale dell’Aja, l’isolamento internazionale attraverso l’embargo. Gelbard insiste sulla necessità di assistere con maggiore impegno le forze del cambiamento democratico all’interno della società civile, in particolare i mezzi d’informazione. A tutti costoro abbiamo ripetutamente intimato di mettere da parte le differenze ed unirsi nel proposito di rovesciare il regime. Il cambio in Serbia può solo venire dall’interno. Noi dobbiamo rafforzare l’azione dell’opposizione, fornire equipaggiamento, allargare la portata dei media, ma non riusciremo mai a conquistare i cuori e le menti del popolo serbo. Ciò può solo accadere se l’opposizione presenta una valida alternativa democratica, economica e politica.
Ricordato che nei due anni trascorsi, gli Usa avevano finanziato l’opposizione con 16.5 milioni di dollari, Gelbard insiste che questo sforzo vada integrato con i tre livelli delle sanzioni che con gli europei siamo del tutto d’accordo di mantenere. Prosegue Gelbard: Noi stiamo assistendo una vasta gamma di gruppi democratici, tra cui le Ong, partiti politici, media indipendenti, il movimento dei giovani (Otpor) e i sindacati indipendenti. Il nostro coordinamento con gli europei, anche per quanto riguarda il lato Kosovo (pulizia etnica di serbi ad opera dell’Uck – ndr) è perfetto. Stiamo anche incoraggiando l’impegno attivo delle realtà regionali del Sudest europeo e in particolare i vicini della Serbia perché mettano all’opera la propria esperienza di transizione. (A Budapest ed a Sofia furono poi creati i centri Cia di formazione dei quadri serbi). Infine, stiamo dando tutto l’appoggio possibile al governo riformista della Repubblica del Montenegro.
L’inviato di Clinton specifica poi chi sono gli interlocutori Usa dell’opposizione serba che hanno distribuito i 16,5 milioni: varie Ong, tra le quali Aid, Na tional Democratic Institute, Interna tional Republican Institute, National En do wment for Democracy, organizzazioni tutte di estrema destra, in gran parte già attive nei putsch o sovvertimenti in Gua temala, Panama, Grenada, Haiti, Ci le, Indonesia, Grecia, Turchia, Romania e in genere nell’Est europeo.
Abbiamo tuttora notevoli somme a disposizione per la società civile e i progetti di democratizzazione e le stiamo utilizzando in questo momento, anche per fornire assistenza tecnica e consigli politici di prim’ordine, soprattutto a quelle organizzazioni giovanili che collaborarono con noi già ai tempi delle manifestazione nel 96-97. Quanto ai sindacati indipendenti serbi, un gran lavoro è stato compiuto dalla nostra centrale Alf-Cio che interagisce costantemente con loro. Su una scala economica più ampia, il nostro Centro per l’impresa privata internazionale sta preparando un programma diretto agli imprenditori ed agli economisti indipendenti, particolarmente a quelli raggruppati nel Gruppo dei 17.
Con riferimento ai media indipendenti ci muoviamo su due fronti. Per primo stiamo allargando la copertura che raggiunge la popolazione serba, completando quello che chiamiamo il cerchio intorno alla Serbia, una rete di stazioni che comprende Voice of Ame rica, Radio Free Europe e altre emittenti su modulazione di frequenza. Radio Free Europe trasmette in serbo per circa 14 ore al giorno. Inoltre stiamo rafforzando gli stessi media indipendenti della Serbia… Aid e altri donatori internazionali (Soros) stano mettendo in opera una proposta di Anem, la rete elettronica indipendente della Serbia, per l’assistenza a stazioni radiofoniche e televisive e il collegamento tra di loro. Altri programmi serviranno alla formazione di giornalisti, al sostegno alla stampa locale, a collegamenti Internet. Gelbard si dilunga poi sulle varie forme di collaborazione che dovranno essere offerte dai paesi confinanti, con la loro grande esperienza di transizione alla democrazia: Albania, Kosovo, Monte ne gro, Croazia, Slovenia, Ungheria, Ce chia, Romania, Bulgaria, Macedonia. In particolare riteniamo che il presidente montenegrino Milo Djukanovic (incriminato dalla giustizia italiano per contrabbando e narcotraffico – ndr) possa diventare un efficace contrappeso a Mi losevic. Negli ultimi mesi, gli Usa gli han no fatto pervenire 20 milioni di dollari e abbiamo creato un gruppo di lavoro congiunto per modernizzare l’economia montenegrina. Anche qui il nostro canale é l’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati Djukanovic potrà ben essere il faro-guida per l’opposizione serba.
Decisivo, nello scenario della conquista della Federazione jugoslava alla Nato e al libero mercato a dominio Usa, è il ruolo del G17, nel cui programma di smantellamento delle garanzie sociali, dell’abbassamento del costo del lavoro e della cessione delle molte industrie ancora di Stato alle corporations euroamericane, si riconoscono ufficialmente tutti i protagonisti del putsch d’ottobre: da Djndjic a Kostunica (che però aggiunge la rivendicazione monarchica), da Draskovic a Otpor e a tutto l’arcipelago della cosiddetta società civile.
Intervistato il 14 luglio 1999 dalla Us Public Television, Veselin Vukotic, coordinatore del G17, si è spinto a di chiarare: Noi vogliamo essere una colonia aperta e una società aperta (Open Society è appunto la ragione sociale delle organizzazioni accademiche e mediatiche di George Soros, già insignito della laurea honoris causa del l’Università di Bologna, rettore Ro versi Monaco, alla presenza di Romano Prodi).
Il G17 è finanziato dal Center for International Private Enterprise (Cen tro per l’Impresa Internazionale Pri vata) che a sua volta dipende da quello strumento di destabilizzazione dei paesi socialisti che é la già menzionata Ned (National endowment for Demo cracy), centro creato nella forma attuale nel 1983 come emanazione culturale della Cia. La Ned foraggia intellettuali e leader d’opinione nel mondo (come documentano ampiamente gli studiosi di Montreal Michel Chossu dowsky e Jared Israel, noti analisti delle vicende balcaniche), la dove l’apparizione della Cia produrrebbe contraccolpi deleteri. Gli economisti del G17 occupano importanti cariche in seno alla Banca mondiale (ecco la particolare predilezione per le Ong serbe, tipo Comitato Helsinki, Alleanza civica e Otpor) e al Fondo monetario internazionale. Con l’opposizione democratica arrivata al potere, sono loro che gestiscono l’economia jugoslava.
Il Fmi non transige sulle funzioni dirigenziali dei suoi uomini. Chossudovsky e Israel rilevano l’identità del programma del G17 con le misure distruttive imposte a Russia, Ucraina, Bulgaria, Perù, Brasile e in molti altri paesi. L’Fmi costringe i governi a sbarazzarsi delle protezioni sociali, dei sussidi a vitto, alloggio, trasporti e cure mediche (salvaguardia im portante nella Jugoslavia di Milo sevic).
L’attuale gratuità di istruzione e sanità sarà la prima a cadere. Poi attraverso manipolazioni economiche (e qui entra in scena Soros) e nuove leggi conduce al fallimento le imprese pubbliche e quelle più rilevanti tra le private. A questo punto bande di ladroni internazionali sono in condizione di ricomprarle per quattro lire.
Nel 1989, quando una Jugoslavia debilitata dal debito estero conseguente alla crisi petrolifera e minacciata dalle ri vendicazioni economiche (poi promosse ad etniche) delle repubbliche più ricche (Croazia, Slovenia) dovette subire il ricatto del Fmi (da cui la nomea di Milosevic uomo del Fmi, che fiorisce sulle labbra di esponenti di sinistra impegnati a trovare un contrappeso alla loro subalternità alla Nato), Veselin Vukotic, da ministro delle privatizzazioni nel governo Markovic, licenziò ben 600.000 lavoratori jugoslavi (su una forza lavoro di 2,7 milioni!). Adottò – e fu poi la rottura con Milosevic e il Partito socialista e il suo passaggio tra le file dell’opposizione – il Financial Operations Act, un piano della Banca mondiale che liquidò il 50% dell’industria jugoslava, in gran parte autogestita. 1.100 aziende eliminate, prima della sua cacciata, tra il gennaio 1989 e il settembre 1990. La rottura tra Vukotic e il governo jugoslavo fu determinante per l’accelerazione del piano Usa-tedesco di smembramento della Federazione e di conquista della Serbia. Corollari: affossamento dei salari, liquidazione dei programmi sociali, disoccupazione allo zenit. Il tentativo del Governo federale di recuperare posizioni rispetto a questa catastrofe economico-sociale venne poi frustrato dalle varie aggressioni fomentate dall’Occidente e dall’embargo.
Oggi Vukotic svolge, per conto degli Usa e del Fmi, il lavoro di consigliere del montenegrino Djuka novic.
Come Capo della Commissione per le Privatizzazione, ha sotto gli occhi il flusso del contrabbando di narcotici e carne umana dall’est europeo e di sigarette e droga da Svizzera e Grecia al Montenegro e da qui in Italia. È in poche parole uno dei motori della trasformazione della repubblica autonoma in Narcostato, sul modello del Kosovo affidato all’Uck e alle Ong. Il suo compito di disintegratore della Jugoslavia, Vukotic lo dimostrò anche quando nel giugno 2000, al momento della massima caccia all’uomo albanese contro i serbi, chiese di dare al Kosovo una moneta separata dal dinaro jugoslavo.
Altra figura di punta del G17 è Dusan Vujovic, già economista della Banca mondiale. Nell’agosto del 2000 impose all’Ucraina un ennesimo, devastante pacchetto di risanamento. Il disastro ucraino era iniziato nell’autunno ’94, con la firma di un accordo con il Fmi. In cambio di un modesto prestito di 360 milioni di dollari, il Fmi ha preteso che lo Stato cessasse di controllare il tasso di cambio della moneta. Quella è andata a picco e il prezzo del pane è aumentato del 300% in una sola notte. L’elettricità del 300%, i trasporti pubblici del 900%.
Esattamente gli effetti che l’arrivo del capitalismo auspicato da Otpor stanno provocando in Jugoslavia.
L’elenco degli interventi occidentali (tedeschi e americani in testa) sulla Federazione Jugoslava, renitente al nuovo ordine economico, politico e militare mondiale, interventi occulti o manifesti, potrebbe continuare per molte pagine ancora.
E ulteriormente si allungherà quando, come suole, negli Usa si procederà alla desecretazione dei documenti inerenti al processo di disintegrazione dell’ultimo paese europeo non spontaneamente disposto a vendersi all’Impero.
Gli storici avranno modo di definitivamente dissipare le nebbie con le quali, non le destre che fanno il loro mestiere, ma molte sinistre hanno avvolto la tragica realtà di un paese che, dopo una resistenza strenua ed eroica, ha dovuto cedere, più che al nemico, alla quinta colonna interna cui aveva consentito di formarsi.
Quelle sinistre, più idealiste che marxiste, che privilegiano rapporti con forze nazionali collegate a quella sciagurata quinta colonna, con le quali concordano sul maggior rilievo da dare alla pagliuzza nell’occhio di un governante certamente, come tutti, imperfetto e responsabile di parecchio, piuttosto che alla trave che si proietta dagli occhi del mostro imperialista. Forse un giorno li raggiungerà una brezza di vergogna, quando per il popolo jugoslavo sarà troppo tardi. Non gli servirà allora, a distrarre se stessi e gli altri, pronunciare i logori esorcismi: Milosevic dittatore, regime fascista, ultranazionalista. La dittatura sarà arrivata davvero, e sarà quella degli ultranazionalismi euro-americani, fascisticamente capitalisti ed imperialisti.
Chiudiamo con le parole pronunciate dalla figura-principe della società civile serba, Vesna Pesic, in un convegno organizzato ad ottobre a Torino dalla Fondazione Agnelli.
Ora che non c’è più Milosevic non dobbiamo più nasconderci, possiamo mostrare i nostri veri volti. Ad esempio, si accusa Kostunica di essere un nazionalista. E perché no? È nazionalista come Hashim Thaci (Comandante dell’Uck). E se alcuni paesi Nato dicono che si potrebbe dividere il Kosovo in due parti, perché no? Con Milosevic questa proposta non sarebbe stata presa neanche in considerazione, ma ora, senza più questo tumore cerebrale, se ne può parlare… Io non accetterei che l’ex- partito di Milosevic (Psj) venga trattato come si farebbe in Inghilterra.
Andrebbe smantellato del tutto come organizzazione criminale e malefica. Costoro vanno distrutti, devono sparire dal nostro orizzonte… La gente ha capito che non era la Nato il nostro nemico. È vero, ci hanno bombardato, ma come si potevano vedere gli americani come nemici? Forse gli albanesi, ma gli americani…
Forse la Pesic è ancora in tempo per il Nobel. E c’è chi, dalle nostre parti, le ha dato una mano.