CGIL: come superare un momento difficile

– Vorrei iniziare dal Protocollo d’Intesa sul welfare: quali sono in esso gli aspetti che tu e Lavoro Società ritenete più preoccupanti per il movimento dei lavoratori?

Come prima questione, mi preme precisare che il sindacato confederale e con esso la sua rappresentanza sociale non può mai avere una concezione neo-corporativa della società; noi siamo per la salvaguardia del potere del Parlamento, per cui le recenti vicende accadute fra il Governo e le sue articolazioni di maggioranza, la Commissione Lavoro della Camera dei Deputati, le pressioni confindustriali e sindacali, sono un brutto segnale per la democrazia parlamentare. La divisione dei poteri è uno dei pilastri della democrazia moderna. Tutti gli atteggiamenti a cui si è assistito sono sconcertanti dal punto di vista politico e costituiscono anche un paradosso. Ai fini della rappresentanza degli interessi delle parti sociali, per quello che rappresentiamo, la nostra controparte non è mai il Parlamento ma il Governo e le controparti datoriali. In ogni caso ribadisco che questa è una concezione che va battuta e che va ripristinato il giusto rapporto fra Parlamento, Governo e parti sociali. In seconda istanza, ritengo che la concertazione sia un metodo e non può essere, né mai diventare, un fine, ne consegue che ciascuno deve fare la propria parte senza invadere il campo altrui; in rapporto a questo aspetto, si è verificata negli ultimi tempi un’inversione di tendenza che noi valutiamo negativa per il sindacato: pertanto ritengo che la CGIL debba rivendicare il dialogo sociale, sarà poi il Governo a riportare al Parlamento i punti della mediazione e lasciare al Parlamento le sue specifiche funzioni.I rischi altrimenti sono davvero pericolosi.

– Ci è sembrato che nella conduzione e poi nella firma finale dell’Accordo del 23 luglio e nella sua traduzione in Protocollo d’Intesa sia risultato vincente il modello sindacale più proprio alla CISL che non alla CGIL: ciò delinea un riposizionamento della organizzazione della CGIL?

È emerso come vincente l’approccio che caratterizza da sempre la CISL, il quale ha aspetti più neo-corporativi e para-istituzionali. Essa è riuscita a imporli in termini forzati, mentre noi, in CGIL, abbiamo dimostrato eccessiva timidezza nel contrastare tale linea. La diversità culturale in relazione al rapporto con le istituzioni democratiche non è venuta alla luce come in altri momenti storici. Circa il merito, il Protocollo d’Intesa ha allungato la vita lavorativa e alla fine sui lavori usuranti si è arrivati a escludere la maggioranza dei lavoratori, dato che inserire come limite 80 notti, significa di fatto escludere quasi tutti i lavoratori. Se ne deduce che la questione dei temi complessivi, come: a) la precarietà, b) i lavori usuranti, c) gli ammortizzatori sociali d) la modifica dei coefficienti di calcolo quantitativi della pensione, sono tematiche che non possono che generare preoccupazione, per cui per noi vale l’indicazione: “attenti a non abbassare la guardia!”. Ed è vero quanto è adombrato nella domanda: il nostro giudizio è negativo sul contenuto, ma siamo anche preoccupati per alcune scelte future che potrebbero essere particolarmente gravose; mi riferisco al fatto che bisogna prestare attenzione alla delega sugli ammortizzatori, al calcolo dei coefficienti, dato che la vicenda dei coefficienti è stata rimandata, in attesa che la Commissione preposta definisca una proposta che abbia almeno un punto fermo: che non ci sia una riduzione in termini quantitativi delle pensioni; e infine occorre prestare attenzione al cambio delle aliquote, su cui occorre vigilare. Anzi, su questi temi, serve costruire una mobilitazione. Circa la tua domanda su quali sono gli aspetti preoccupanti, ti rispondo in sin- tesi che se ci può essere un ordine di valutazione, la prima preoccupazione è senz’altro la funzione del mercato del lavoro e, conseguentemente, la precarietà, rispetto alla quale è necessario riaffermare l’unificazione del mondo del lavoro e la parità dei diritti dei lavoratori, sia come valore in sé sia per costruire una consapevolezza di cittadinanza fra le giovani generazioni di lavoratori che porti le soggettività alla costruzione della partecipazione democratica, e non al disimpegno, alla marginalità e al malessere sociale.

– E sulla seconda legge Finanziaria proposta dal Governo Prodi, quali valutazioni di merito avete fatto come Lavoro Società?

L’applicazione del Protocollo nella Legge Finanziaria deve essere approvato entro dicembre. Restano le deleghe al Governo che dovranno essere tradotte in decreti legislativi. Ci sarà un primo lavoro di verifica e poi verranno i decreti delegati che entreranno in vigore entro un anno.

– E da un punto di vista politico, che tipo di valutazione fai?

Questo accordo è un cedimento del sindacato rispetto al Governo Prodi, che è stato causato dalla debolezza intrinseca della maggioranza di Governo; la CGIL è stata sottoposta al ricatto della politica che ha subito, unitamente alla rappresentanza sociale, un terribile diktat. Noi di Lavoro Società riteniamo che non si doveva cedere. In ogni caso la maggioranza che sostiene Prodi deve trovare una mediazione vera ed efficace al proprio interno e non essere sottoposta a oscillazioni, dovute a ricatti di pochi, da potentati parlamentari, più accreditati di altri nei confronti del Presidente del Consiglio, molto sensibili alle richieste del capitale nostrano.

– Dunque, come valuti l’operato del Segretario generale Epifani in questa occasione in cui richieste sindacali e motivazioni politiche erano fra loro confliggenti?

Nella decisione di Epifani alla firma dell’accordo è emersa come più forte l’etica della responsabilità che l’etica della convinzione; la conseguenza è stata un gravoso carico di responsabilità che è stato fatto ricadere sul Sindacato. Se avesse prevalso l’etica della convinzione, sarebbero emersi anche alcuni contenuti decisivi, quali: a) che non c’era bisogno di aumentare l’età pensionabile; b) che i conti dell’INPS erano in ordine; c) se si doveva intervenire sulle pensioni, lo si doveva fare sulle categorie protette (fondo dirigenti, ecc.). Ne è derivato, con la firma dell’accordo, che siamo in presenza della mancata applicazione della linea strategiche del Congresso di Rimini. A Rimini tre aspetti prioritari si erano determinati: a) la lotta alla precarietà e dunque l’abolizione della Legge 30 (invece il Protocollo non lo prevede, anzi se ne rischia una copertura); b) la redistribuzione della ricchezza prodotta dal paese; c) i diritti dei lavoratori, lo stato sociale e l’equità del fisco.

– E allora nei confronti della CGIL che cosa pensi circa la sua direzione: dove sta andando, ora, la CGIL ? E c’è consapevolezza nelle classi dirigenti del sindacato e fra i lavoratori più sindacalizzati?

Da come è andata la vicenda ne traggo un ragionamento politico, perché la CGIL senta il bisogno di rivedersi e di osservare con occhio critico i propri punti di forza e di cedimento; ad esempio, la nascita del PD condiziona il dibattito nel mondo della rappresentanza sociale e costituisce sia un condizionamento politico che culturale, ma io conto ancora sulla persistenza in CGIL dei valori della nostra storia, legata al movimento operaio che ha avuto tra i suoi dirigenti un personaggio come Giuseppe Di Vittorio che ha rivendicato l’indipendenza del sindacato dai partiti, dai padroni e dal Governo, fin dal 1946. Il gruppo dirigente della CGIL sulla rappresentanza sociale, è stato condizionato pesantemente nel bene e nel male dalla nascita del PD. Il reclutamento promosso dal PD investe sia i quadri periferici che intermedi che a livello più alto dell’organizzazione, e sta riguardando la CGIL quanto la CISL e la UIL.

– Oggi, si legge da più parti, non ci sono più i partiti di massa che hanno garantito la lotta la fascismo e al terrorismo e non c’è più il quadro di riferimento internazionale caratterizzato da bipolarismo fra le due potenze nucleari, USA e URSS; e, inoltre , secondo alcuni dirigenti della CGIL, la fase di evoluzione che ha spinto alla nascita il PD, fa anche venir meno quegli aspetti di divergenza e di divisione che nel ’48 hanno portato alla scissione con CISL e UIL. È legittimo perciò chiederci: dove sta andando la CGIL?

La CGIL ha 100 anni di storia legata al movimento operaio, per cui non sarà semplice recidere le sue radici che affondano in questa tradizione e senz’altro il modello del sindacato confederale non sarà facilmente liquidabile. Ed è inoltre prematuro parlare di trasformismo in atto nei confronti del modello sindacale confederale. Benché si legga spesso nella stampa di questi tempi che ci sono alcuni elementi che potrebbero portare alla fine del sindacato nazionale confederale, ancora non si può fare un’affermazione di questa portata; c’è anche, oltre agli aspetti suddetti, una burocrazia diffusa e ampia nel paese che comporta processi lunghi e senz’altro potrebbe far scaturire anticorpi che in CGIL sono presenti.

– E la questione salariale? Non è anch’essa uno degli elementi che caratterizza l’attuale fase del capitalismo contro il lavoro che esige l’abbassamento del costo del lavoro e che arriva persino a ledere i diritti dei lavoratori?

Si parte da un dato di fatto: in tutti gli anni ’80 e ’90 e all’inizio del nuovo millennio si sono imposte le politiche liberiste che hanno abbassato il costo del lavoro, utilizzando la leva della riduzione del salario al punto che nella quota di redistribuzione della ricchezza prodotta dal paese si è passati dal 51% al 42% della quota destinata al lavoro dipendente; c’è stato un colossale trasferimento di ricchezza dal lavoro alla rendita e ai profitti. In Europa la quota di redistribuzione della ricchezza a favore del lavoro è nettamente superiore all’Italia. In Italia si è avuto dunque un reale im- poverimento dei lavoratori e del ceto medio che a loro volta inducono una riduzione dei consumi di qualità e di alto prezzo che noi in Italia produciamo, in tal modo si è determinato un circolo vizioso nel nostro sistema produttivo, che è in grave crisi perché c’è una fascia corposa di lavoratori e di pensionati che è stata costretta a ridurre il proprio tenore e stile di vita. In tal modo aumentano i consumi di prodotti di scarsa qualità, di cui noi in Italia non siamo produttori, ma lo sono Cina e India, che non troveranno competitori in Italia, rispetto a questi due paesi, già attrezzati e vincenti. Mentre la produzione di beni di alta qualità/ prezzo, che caratterizza l’Italia, non trova da noi consumatori. Se poi si guarda all’Europa, noi non risultiamo competitivi; la riduzione dei salari, e la riduzione del costo del lavoro, non ha favorito né i consumi né il sistema produttivo italiano. Invece c’è bisogno di redistribuire la ricchezza ai lavoratori, di dare forza alla domanda di consumi di prodotti di qualità, di far di nuovo circolare ricchezza e alzare il tenore di vita nel paese. Occorre perciò reinvertire la tendenza che si è affermata in questi anni sciagurati, in cui le rendite sono state favorite e si è rafforzato il processo di accumulazione, con la conclusione che abbiamo un capitalismo straccione che si è arricchito, ma che non investe in innovazione e non rischia nella competizione internazionale. Oggi è necessario invertire la tendenza e siglare contratti di lavoro con aumenti salariali che entro 10 anni possano recuperare la quota di ricchezza da ridistribuire a favore del lavoro dal 42% al 51 % della ricchezza prodotta dal paese. Questo è l’obiettivo che Lavoro Società propone di realizzare. C’è poi la questione del modello contrattuale: per noi deve essere unico per pubblici e privati. La centralità del contratto nazionale assume significato in relazione al modello di sindacato. Il confronto iniziato fra Sindacato e Confindustria è alle prime battute. Occorre molta attenzione sul risultato finale per consegnare ai lavoratori un modello contrattuale che resti nazionale e che abbia in sé la crescita dei salari. Per quanto riguarda Lavoro Società, dobbiamo partire da cosa ha prodotto l’ultimo Congresso, quale quadro avanzato ne è derivato, come si sta affrontando nel merito la questione dei CCNL, e poi c’è già all’orizzonte, nella prossima primavera, la Conferenza di Organizzazione. Io penso che la CGIL sia un soggetto vivo, ricco di interessi culturali e politici, variegati e molteplici, che ora si trovano in una fase intermedia, a cui presto sarà dato uno sbocco. Circa le regole, ritengo lo Statuto della CGIL una garanzia per tutti gli iscritti. E’uno Statuto garantista e democratico che consente di contrastare dentro l’organizzazione i tentativi di piegare le regole e di commettere abusi. Culture autoritarie sono presenti anche nella cultura della sinistra e dunque anche in CGIL esistono, ma noi ci opporremo a che tentativi autoritari si affermino in CGIL e faremo la nostra battaglia affinché tutto venga riportato al pluralismo presente in CGIL e al suo rispetto formale e sostanziale.