*ricercatore
La breve guerra che ha travagliato il Caucaso settentrionale l’agosto scorso ha ampiamente confermato il crescente antagonismo che caratterizza le relazioni tra gli Stati Uniti e la Russia. L’aggressione georgiana all’Ossezia del Sud ed al contingente russo di interposizione che si trovava nella zona, con il conseguente coinvolgimento di Mosca nelle operazioni militari, non ha rappresentato una svolta nell’andamento delle relazioni internazionali ma ha inasprito ulteriormente la situazione mondiale. Il regime georgiano con la sua decisione di attaccare nel cuore della notte la piccola capitale osseta non ha solo commesso un grave crimine ma ha anche aperto con leggerezza sconsiderata una crisi che potenzialmente poteva avere conseguenze immediate assai più serie. La crisi caucasica ha reso palpabile il pericolo che potrebbe incombere sull’Europa qualora gli Stati Uniti riuscissero a cooptare personaggi del calibro di Saakashvili nella Nato o riuscissero nell’intento di circondare nuovamente la Russia.
La dinamica che ha innescato gli scontri è stata ampiamente trattata in varie sedi e da numerosi esperti. Del resto, nella sua crudezza, pare abbastanza evidente che il regime di Tiblisi mirasse, tramite un attacco barbaramente condotto, a prendere possesso dell’Ossezia del Sud ostruendo il tunnel di Roki, passaggio obbligato che congiunge Tskhinvali alla Russia. A quel punto l’ordine internazionale sarebbe stato posto di fronte ad un fatto compiuto. Il massiccio sostegno dato dagli Usa all’ammodernamento dell’esercito georgiano ed il fatto che poco prima dell’aggressione si siano tenute manovre militari congiunte tra georgiani e statunitensi indica chiaramente la responsabilità della politica americana anche in questa tragedia. A distanza di circa due mesi è possibile valutare le prime e più evidenti conseguenze del breve conflitto di questa estate.
CREDERE, OBBEDIRE E COMBATTERE?
Una prima considerazione da fare sulle conseguenze della crisi caucasica mi pare possa vertere sulla questione della dis-informazione propagandistica. Senza tornare sulla dinamica degli scontri e sulle reciprocità che li hanno innescati è senza dubbio da notare la straordinaria abilità con la quale i media hanno fatto passare l’aggressore per aggredito, riuscendo così a trasformare il lupo georgiano che assaltava l’Ossezia del Sud nel placido ed indifeso agnello in balia dell’orso russo (tradizionalmente presentato come feroce dall’iconografia ufficiale).
Ad un certo punto della crisi, a cocci non ancora raccolti, era diventato addirittura difficile capire come era iniziato il conflitto, cioè con l’aggressione georgiana. La stessa stampa ha dato prova di grande disinvoltura dedicando i propri titoli principali alle azioni militari russe ed accompagnando gli articoli con “adeguate” foto di città devastate e profughi in fuga. Peccato che la città di cui sopra fosse Tskhinvali e che la povera gente costretta a scappare dalle atrocità della guerra fosse osseta. Il caso del quotidiano francese “Le Monde”( 1)mi pare emblematico; sotto il titolo: “Mosca resta insensibile alle pressioni occidentali” mostra una foto assai toccante dei profughi. Ma, almeno in quel caso, una minuscola scritta accompagnava l’immagine: “Abitanti di Tskhinvali, la capitale dell’Ossezia del Sud, lasciano la città”. L’effetto prodotto su chi legge en passant mi pare comunque abbastanza evidente( 2).
Le dichiarazioni statunitensi sulla crisi (specialmente dopo che questa si era consumata) sono state riproposte nella maggior parte dei casi senza essere contestualizzate, quasi avessero il crisma dell’obiettività. Così non si è nemmeno sollevato il paradosso riguardo al fatto che la scelta di Mosca di riconoscere l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud è stata bollata come “irresponsabile” da chi, come Bush, ha costruito contro ogni avvertimento assennato il “precedente” del Kosovo. Per non parlare della “responsabilità”, in questo caso indiscutibile, con la quale gli Stati Uniti hanno riempito di armi gli arsenali del regime georgiano, che pure manifestava da tempo l’intenzione di riprendersi con la forza le due province ribelli del nord( 3). Si suole dire che Goebbels, ministro della propaganda del III° Reich, sostenesse il principio: “racconta 10 volte una bugia e diventerà una verità”. Con i mezzi di oggi la potenza di fuoco delle menzogne eterodirette è notevolmente aumentata e non si può certo dire che a Goebbels siano mancati gli eredi. Ovviamente, il fatto di riuscire a far credere che anche i somari possano volare non farà mai spuntare le ali agli asini e così il fatto di stravolgere ripetutamente la realtà non riesce a cambiare la sorte di questo o quel conflitto. Il peggio che possa capitare è che vaste masse di persone scrutino il cielo alla ricerca di improbabili asini volanti. Questo fatto pone però un problema, specialmente all’opinione pubblica europea che, per certi versi, è la più bersagliata dalla propaganda imperialista e che mostra anche di essere la più credulona. Se il resto del mondo non si è lasciato sviare dagli abili giocolieri atlantisti, in Europa la presa della disinformazione è stata assai più forte. Questo crea una situazione di grande vulnerabilità dei paesi UE, contribuendo a creare le premesse per una lunga subordinazione dell’Europa agli Usa. Non si può negare che questo sia uno dei principali obiettivi della politica americana. Già durante la guerra fredda a Washington avevano chiaro che la tenuta dell’Europa centro-occidentale era fondamentale per l’esito dello scontro con l’Urss. Oggi quel principio vale ancora di più, almeno per due ragioni: perché gli Usa sono molto meno forti di un tempo e perché, venuto meno lo scontro di sistema socialismo-capitalismo, l’idea di una partnership con la Russia è per l’Europa assai più attraente. Inoltre non si può negare che la massiccia permeabilità mediatica delle opinioni pubbliche europee alla propaganda d’oltreatlantico contribuisce pressoché ad azzerare la possibilità che nei paesi europei arrivino al potere tendenze antimperialiste od anche semplicemente sovraniste. Qualcuno potrà storcere il naso ma mi pare che, semmai ce ne fosse ancora bisogno, la vicenda caucaisca di questa estate abbia mostrato in tutta la sua drammaticità che i media hanno la capacità di stravolgere la realtà, nascondere i fatti, costruire scenari fittizi. La loro tendenza a costruire castelli propagandistici sulla sabbia di luoghi comuni a dispetto di qualsiasi osservazione critica del reale è diventata più massiccia e professionale. Il risultato è che tutto quanto veniva raccontato negli anni ’80 sull’Est come incarnazione del mondo di Orwell oggi può tranquillamente dirsi dell’Occidente. Piaccia o meno ma Orwell adesso abita qui (se mai è stato da altre parti…). Il secondo corno del problema sollevato dalla guerra di questa estate sul piano della propaganda riguarda l’opinione pubblica russa. A differenza di prima, ora che i russi sono liberi dal diaframma della cortina di ferro possono sentire e vedere ciò che si racconta in Occidente di regioni e problematiche a loro assai vicine e note, per questo da loro misurabili. Il risultato si può, seppur frettolosamente, sintetizzare nella parola “indignazione”. Vari analisti hanno sottolineato da più parti la sostanziale sintonia tra le scelte del governo e l’opinione pubblica del paese che, almeno sulle questioni attinenti alla sicurezza nazionale, non è probabilmente mai stata così compatta( 4). Per quanto questo aspetto della questione debba essere indagato in profondità per poterne trarre tutte le conclusioni del caso mi pare che questo trend sia ben riconoscibile e, almeno nell’immediato, è assolutamente evidente che giochi a favore delle forze patriottiche che hanno risollevato la Russia.
GLI EFFETTI DIPLOMATICI DELLA CRISI
La Georgia rappresentava l’ariete cui gli Usa affidavano la funzione di aprire loro le porte del forziere energetico costituito dall’area Caucasica-Caspica. La posizione geografica del paese, che dà sul Mar Nero ed ha alle sue spalle l’Azerbaidjan (stato caucasico ricco di risorse bagnato dall’altrettanto prezioso Mar Caspio), suggerisce naturalmente a qualunque potenza esterna alla regione che la Georgia costituisce una sorta di testa di ponte verso Baku e che il suo controllo è pertanto cruciale. Già durante il primo conflitto mondiale la Germania guglielmina aveva ravvisato questa potenzialità dello stato caucasico e se ne era garantita l’occupazione in base alle clausole imposte alla Russia rivoluzionaria con la Pace di Brest-Litovsk. Nella partita impegnata dagli Usa negli ultimi 20 anni per il controllo diretto delle risorse e delle aree strategiche il Caucaso ha costituito un terreno d’intervento abbastanza importante. (Recentemente la TV russa ha mostrato in un documentario l’impegno dell’Occidente, dietro regia americana, per sostenere il terrorismo ceceno). Il controllo della regione rappresentava il possesso della chiave per entrare nell’Asia centrale e drenare le risorse tagliando fuori dal “grande gioco” Russia ed Iran. L’oleodotto BTC è stato il risultato di questa strategia e di questa visione. Ma non tutto, com’è noto, è filato liscio per i progetti Usa…
Un primo colpo era giunto a causa della ripresa della Russia e dell’abile tessitura dell’intesa tra Mosca e Pechino da un lato e tra Mosca e Teheran dall’altro. L’Organizzazione per la Cooperazione di Shangai ha rappresentato, come è noto, l’ambito che ha permesso lo sviluppo di politiche coordinate tra i paesi dell’area e si è rivelata un’ottima intuizione per Russia e Cina, che hanno così stretto i loro legami con i paesi dell’Asia centrale. Dapprima le due potenze eurasiatiche sono riuscite a limitare la penetrazione americana nella regione a seguito dell’effetto “11 settembre” e successivamente hanno iniziato il loro contrattacco. Il risultato è che oggi i paesi della zona si sono riavvicinati significativamente al Cremlino. Come è comprensibile Washington non ha abbandonato la partita, ma negli ultimi tempi ha dovuto “ripiegare”. Il nucleo dello scontro si è così venuto spostando allo scacchiere Caucaso- Mar Nero. Non stupisce, in questo contesto, il tentativo che è stato compiuto di esportare l’ennesimo golpe “colorato” in Armenia (paese molto vicino politicamente alla Russia ed all’Iran) né tanto meno la forte pressione esercitata affinché Ucraina e Georgia entrino nella Nato. La guerra di questa estate, caratterizzata dalla pronta reazione dei russi che hanno neutralizzato l’offensiva georgiana, promette di avere sin da subito conseguenze significative per gli equilibri nella regione.
Non solo i piani di Tiblisi (e di Washington?) per ottenere un vantaggio nella scacchiera vibrando un fendente alla Russia sono stati fermati ma la stessa Georgia, che rappresentava uno dei perni del nuovo sistema di accerchiamento escogitato dagli Usa contro la Russia, ne è uscita assai male. Il suo esercito, che aveva ricevuto le pazienti cure degli esperti americani e israeliani (nonché quelle delle società private legate al business dei mercenari), ne è uscito a pezzi. Il Pentagono ha già avviato i lavori di necessaria ristrutturazione grazie alle generose sovvenzioni militari che il Congresso Usa ha elargito a Saakhasvili poco prima che si palesasse, con il crollo di Wall Street, il sostanziale fallimento dell’ideologia liberista statunitense.( 5) Il riconoscimento russo di Abkhazia ed Ossezia del Sud segna il consolidarsi di una situazione sfavorevole alla Georgia, ma la conseguenza probabilmente più pesante di ciò che si è prodotto si sentirà a Baku. Il presidente azero, Aliev, deve aver pensato in quelle ore al problema dell’Alto Karabagh, enclave armena in territorio azero anch’essa autoproclamatasi indipendente in seguito ad una sanguinosa guerra nel corso degli anni ’90. Il parallelo con la situazione abkhaza e osseta è in effetti assai forte. Inoltre gli Usa hanno dimostrato di non essere un partner sufficientemente affidabile nel corso della crisi. Relativamente lontani, con il loro potenziale bellico impantanato in altri teatri, sono stati solo capaci di mobilitare un platonico coro di mugugni sui media mondiali e di arrivare a raccogliere il latte ormai versato.( 6) La Russia ha quantomeno dimostrato di essere decisa a garantire i suoi interessi, di poter proteggere gli alleati. All’Occidente ha dimostrato anche che la sua leadership è unita nella consapevolezza della posta in gioco: la sua stessa esistenza come Stato sovrano e multi-culturale. L’accoglienza che Baku ha dato a C h e n e y, durante la tournée che quest ultimo ha effettuato nella regione subito dopo la crisi, è stata fredda. Tra mille cautele pare infatti che anche l’Azerbaidjan vada riposizionando il proprio baricentro geopolitico tenendo conto di ciò che si è prodotto in agosto. Da allora sono stati numerosi gli incontri dei responsabili azeri con i russi e sono stati stabiliti importanti accordi in campo energetico. E’ forse questo il principale contraccolpo patito dagli Usa a seguito dello smacco subito dal loro satellite georgiano.
NUOVE DINAMICHE NELLA REGIONE
Recentemente anche la Moldavia, un altro paese che si trova a che fare con una repubblica autoproclamata sul suo territorio, la Transnistria, ha mostrato di aver colto il cambiamento prodottosi nella regione. Il suo presidente, Voronin, ha infatti mostrato l’intenzione di regolare la questione con la Transnistria sulla base di negoziati nei quali dovrebbe essere coinvolta la Russia. Non è cosa da poco se si pensa che negli anni ’90 il tentativo di piegare con la forza gli indipendentisti era stata l’unica opzione presa in considerazione dai leader moldavi. La pronta reazione di Mosca alla guerra di questa estate deve aver consigliato prudenza; non può certo sfuggire il paragone tra i propositi espressi in questi giorni dalla Moldavia e la testarda intransigenza di cui ha dato prova la Georgia (la quale, è bene ricordarlo, aveva sempre rifiutato di risolvere il contenzioso con Ossezia ed Abkhazia tramite trattative diplomatiche). Ma nella sua intervista al giornale Izvestija Voronin ha fatto capire che la proposta da lui formulata va ben oltre queste considerazioni. Egli mira in effetti a rafforzare l’assetto neutralista del paese grazie ad un accordo comunemente vantaggioso con i secessionisti, i quali sono fortemente anti-americani.( 7) E’ un altro passo per limitare l’avanzata della Nato nello spazio ex-sovietico. L’Ucraina, altro paese al centro delle attività statunitensi nello spazio ex-sovietico, rappresenta indubbiamente uno dei principali grattacapi per il Cremlino.
Il fatto che Kiev abbia rifornito militarmente la Georgia nel corso del conflitto ha rappresentato una sorpresa inquietante. Nelle loro reciproche relazioni Ucraina e Russia possono completarsi con un vantaggio reciproco oppure ricattarsi a vicenda, con danni evidenti. Se è vero che molte industrie ucraine di alto livello possono sperare di ripartire grazie alle commesse russe (è il caso della cantieristica navale o di altre attività legate alla difesa) e se è vero che Kiev dipende dalle forniture energetiche di Mosca, è anche vero che il meccanismo di “dipendenza” non funziona a senso unico. I paesi che, come l’Ucraina, si trovano sulle rotte di transito degli oleodotti e gasdotti russi diretti verso l’Europa mantengono un loro potere ricattatorio perché possono perturbare la collaborazione euro-russa. L’evoluzione degli equilibri politici a Kiev è pertanto centrale per la competizione Usa-Russia. La crisi della coalizione “arancione”, dovuta principalmente a motivi interni, potrebbe avere ricadute sul piano della politica estera ucraina. Un ridimensionamento delle forze atlantiste darebbe un po’ di respiro a Mosca e offrirebbe all’UE una pausa di riflessione.( 8) Merita una sottolineatura anche la posizione della Turchia. Sotto la guida dell’AKP Ankara aveva già da tempo fatto passi concreti nel delineare una politica estera differente da quella storicamente tenuta nel corso della guerra fredda. Se in precedenza la Turchia era stata uno dei principali alleati degli Usa (e di Israele) nella regione oggi le cose stanno cambiando. Infastidita dai tentativi statunitensi di frammentare l’Iraq a causa della delicata questione curda e stimolata dalla più ampia visione strategica dei dirigenti del partito attualmente al potere, la Turchia si è avvicinata significativamente alla Siria, all’Iran ed alla stessa Russia. Washington ha chiaramente colto il segno di quanto si è prodotto e non ha nascosto la propria irritazione. Mosca ha colto prontamente l’occasione di proporre al suo storico rivale turco varie opportunità di collaborazione economica. In occasione della crisi caucasica Ankara ha tenuto un profilo molto basso, tanto da far balzare all’occhio la differenza con le reazioni di altri membri della Nato. Subito dopo la crisi il ministro degli esteri turco, Babaçan, ha proposto ai tre paesi del Caucaso ed alla Russia di costituire un gruppo regionale di coordinamento e cooperazione allo scopo di smussare le tensioni nell’area, proposta accolta positivamente dal Cremlino.( 9) Di fronte a tale stato di cose la nenia dei politici americani che parlano di un presunto isolamento della Russia sulla scena mondiale è talmente lontana dalla realtà da lasciare senza parole. Forse a furia di dipingere un mondo che non c’è ad uso e consumo del pubblico occidentale gli stessi politici americani hanno finito per credere che quel mondo esista veramente. Occorre infatti ricordare la comprensione ed il sostegno che Mosca ha incassato istantaneamente dai suoi partner dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shangai e da quelli del Trattato per la Sicurezza Collettiva.( 10) Si parla di paesi che assieme rappresentano più della metà della razza umana. Tutti, dalla Cina agli stati dell’Asia centrale, dalla Bielorussia all’Armenia passando per l’Iran, hanno sottolineato il ruolo positivo svolto da Mosca nella crisi.( 11) Recentemente il Kazakistan ha persino adottato delle sanzioni economiche contro la Georgia congelando i propri investimenti in quel paese. Il Kazakistan era uno dei più importanti investitori per l’economia georgiana.( 12) Medvedev ha sfruttato la possibilità offertagli dal vertice dell’OCS a Dushanbé per rafforzare la presenza russa in Asia centrale. L’area permane in una situazione di forte criticità a causa dell’aperta ostilità di molte tribù afghane verso il contingente Nato e della destabilizzazione del vicino Pakistan. A lato del vertice Russia e Tagikistan hanno firmato vari accordi in ambito economico e militare. Tra questi ultimi va annoverata soprattutto la massiccia fornitura di armi russe al Tagikistan e l’apertura della base tagika di Guissar alla Russia. La base è particolarmente importante perché consentirà all’esercito russo di poter usufruire di un fondamentale punto di appoggio per il veloce trasferimento di mezzi e formazioni armate da punti lontani al cuore della regione. Questione non da poco se si tiene presente il carattere imprevedibile che può assumere la vicenda afghana. Ma Medvedev e Putin hanno potuto in pari tempo allargare il fronte degli “amici” anche ad aree più distanti. Merita particolare menzione il rafforzamento dei legami con l’America latina, specie con il Venezuela di Chavez. Con Caracas sono in corso trattative per coordinare le rispettive politiche nel settore energetico e militare. Sul primo aspetto è da segnalare il pro- getto di una banca comune del petrolio (cui potrebbero partecipare altri paesi). Sul secondo aspetto Mosca ha confermato l’impegno ad assistere il rafforzamento delle forze armate venezuelane (specie nel campo dell’aviazione da caccia e della contraerea) oltre a stabilire la scelta di tenere manovre navali congiunte nel mar dei Caraibi nel novembre 2008. Questa scelta di tenere esercitazioni congiunte ha avuto ampio risalto sulla stampa russa ed ha sollevato aspre critiche dagli Usa. L’arrivo della flotta russa nei Caraibi si somma alla temporanea permanenza di alcuni bombardieri strategici TU-160 in Venezuela il settembre scorso. Si tratta di una chiara risposta alla presenza di navi da guerra Usa nel Mar Nero, ma c’è anche dell’altro. Aumentando la propria presenza nei Caraibi Mosca si dimostra determinata ad aprire, se costretta da Washington, un fronte nell’emisfero meridionale, fronte che gli Usa hanno tradizionalmente “sguarnito” visto che per due secoli l’America centro-meridionale era stata soggiogata alla loro influenza. Ora che la dottrina Monroe ha smesso di esercitare il suo nefasto effetto sui paesi latinoamericani si potrebbe aprire tutt’altra partita, anche in quella scacchiera. Oltre alla partnership strategica con il Venezuela ed i tradizionali legami di amicizia con Cuba e Nicaragua la Russia può vantare strette intese anche con il gigante brasiliano e di recente ha avviato colloqui approfonditi per la cooperazione militare e tecnica con l’Argentina.
LO “SCUDO” AMERICANO E LE “LANCE” RUSSE
La conseguenza più preoccupante della crisi consiste nella poderosa spinta verso la corsa agli armamenti che ha impresso al sistema internazionale. A seguito dello smacco subito, infatti, gli Usa non hanno assolutamente accantonato i loro propositi. Il piano per il dislocamento dello scudo missilistico Usa in Polonia ha subito una potente accelerazione. La tendenza degli Stati Uniti a spingersi, sotto le spoglie della Nato, ai confini della Russia ed il loro perseverare nel progetto antimissilistico che dovrebbe ridurre la capacità di dissuasione atomica russa, con la conseguente possibilità Usa di ricattare il Cremlino, hanno già da tempo creato le condizioni per una risposta di Mosca alla sfida che è stata lanciata. In seguito all’aggressione georgiana, allo scudo ABM, alle pressioni esercitate dagli Usa su Karzai affinché l’Afghanistan congeli la propria collaborazione con l’OCS e con il TCS nella lotta al traffico della droga( 13), la determinazione russa è assolutamente cresciuta. Da settembre ad oggi la Russia ha moltiplicato gli sforzi per modernizzare le proprie Forze armate cercando di fare tesoro dalla recente esperienza contro la Georgia. I tentativi ripetuti di portare instabilità alle proprie frontiere, le sfide rappresentate dai bellicosi piani di Washington e la spiacevole novità di vedere le navi Nato scorazzare nel Mar Nero hanno spinto il Cremlino ad elaborare una risposta su tre piani. La prima reazione russa all’espansione statunitense è consistita nel rafforzare la cooperazione con la Bielorussia di Lukashenko in tutti i settori strategici. In particolare in campo militare Mosca e Minsk si sono coordinate per far fronte congiuntamente allo scudo antimissile Usa in Polonia. I due paesi metteranno in campo un sistema di difesa antiaerea unificato ed in grado di coprire l’intera regione. Il segretario dell’Unione Russia-Bielorussia, Pavel Borodin, ha ammesso pubblicamente che l’iniziativa rappresenta “una protezione contro la Nato”(. 14) Il rafforzamento dei legami tra i due paesi avanza però in ogni direzione. Avanza anche la loro cooperazione in abiti quali l’Organizzazione del Trattato per la Sicurezza Collettiva e la Comunità Economica Euro-Asiatica( 15), con beneficio d entrambe le organizzazioni regionali.
Sul piano della risposta “strategica” al tentativo americano di nascondersi dietro lo scudo per svuotare di significato il potenziale deterrente di Mosca, la Russia risponde con l’incrementare il numero e la qualità delle proprie “lance”. Da settembre ad oggi la Russia ha tenuto numerosi test missilistici. Il più importante è stato probabilmente il lancio del missile balistico “Bulava”, destinato a equipaggiare la nuova generazione di sottomarini d’attacco nucleare russi( 16) Il successo del lancio dovrebbe mettere la parola fine all’acceso dibattito che aveva accompagnato il varo dei nuovi sottomarini strategici della classe Borei. Il missile Bulava è stato definito la “speranza della marina da guerra russa”( 17) Altri test significativi hanno riguardato il missile intercontinentale Topol, che rappresenta la spina dorsale della Forza Strategica di Dissuasione della Federazione russa( 18) Medvedev, che ha dimostrato un notevole attivismo e che ha prestato grande attenzione ai problemi della difesa, ha anche presenziato personalmente ad un importante test balistico tenutosi durante le esercitazioni della Flotta del Nord l’11 ottobre u.s. Per la prima volta nella storia russa un missile ICBM lanciato dal Mare di Barents ha raggiunto la parte equatoriale dell’oceano Pacifico coprendo una distanza complessiva di 11547 km. Alle manovre hanno partecipato più di 5 mila uomini, 8 navi di superficie, 5 sottomarini, vari elicotteri ed aerei. Il missile in questione può essere lanciato dalla profondità di 55 metri e può portare da 4 a 10 testate nucleari da 100 kilotoni l’una.( 19) Ma la notizia più significativa in merito è che il Cremlino ha deciso di dotare la Russia di un sistema unificato di difesa aerea e spaziale per proteggersi da un eventuale attacco missilistico, con chiaro riferimento ai propositi statunitensi. L’ex capo di Stato maggiore dei Missili Strategici, gen. Essin, ha sottolineato che la Russia è fermamente decisa ad impegnarsi per non militarizzare lo spazio ma se gli Stati Uniti dovessero cadere in questa tentazione sappiano che la Russia ha sufficienti cognizioni tecnologiche per rispondere in breve tempo. “Ci interessa dimostrare all’avversario potenziale che siamo pronti a difenderci e che siamo capaci di rispondere […] Cerchiamo di sviluppare una dissuasione strategica”.( 20) Tale sistema impegnerà molte risorse e necessiterà di molto tempo per essere messo in campo (si calcolano 12 anni per l’operatività completa). Nel frattempo Mosca non rinuncerà a potenziare la propria forza convenzionale, cercando di fare tesoro dell’esperienza maturata questa estate nel Caucaso. Medvedev ha manifestato la ferma intenzione di migliorare e modernizzare le Forze armate russe da qui al 2020 e dal settembre u.s. si sono registrate numerose esercitazioni militari in varie regioni della sterminata Federazione russa. Tutte le grandi unità di combattimento sono state dichiarate in stato di “mobilità permanente” per i prossimi 12 anni e sono stati annunciati imponenti sforzi per sviluppare la ricerca nel settore militare e per adeguare la preparazione dei quadri dell’e- sercito alle nuove necessità. Medvedev ha inoltre sostenuto con fermezza la priorità di fornire alle truppe le armi più moderne.( 21) Il fatto che il presidente russo abbia partecipato a diverse manovre militari di grande ampiezza sottolinea che la grande attenzione del Cremlino per i problemi connessi alla sicurezza nazionale non è affatto diminuito nonostante il passaggio delle consegne da Putin al giovane delfino. Tra le manovre più significative degli esercizi denominati “Stabilità 2008” bisogna segnalare quelle tenutesi nell’Estremo oriente russo. Queste prevedevano la massiccia cooperazione interarma ed hanno coinvolto anche la Flotta del Pacifico in un ipotetico scenario di difesa delle infrastrutture dell’isola di Sakhalin; un evidente segno del fatto che le acque dell’oceano Pacifico stanno diventando sempre più calde e non solo per le questioni strettamente economiche. Pochi giorni prima si erano tenute esercitazioni nella regione degli Urali. Queste ultime si sono svolte in 74 giorni ed hanno impegnato 40 mila uomini e numeroso materiale. Nel corso delle stesse è stato provato un nuovo missile della gittata di 150 km, particolarmente adatto per colpire obiettivi quali radar, depositi, basi militari o per disorganizzare le retrovie avversarie. Tuttavia, in un’ipotetica azione contro le strutture dell’ABM Usa in Europa orientale restano probabilmente più affidabili i nuovi Iskander-M già testati mesi fa ed in corso di produzione e distribuzione. Il riarmo dell’esercito di terra è stato accelerato, segno che la Russia ha intenzione di essere in condizione di reagire sul piano convenzionale a qualsiasi tentativo di perturbare i suoi confini. Ben 5 unità saranno equipaggiate con i moderni Iskander-M ed altre 2 unità riceveranno i lancia razzi Uragan; verranno inoltre riarmati 45 battaglioni corazzati (di cui circa la metà disporrà di nuovi carri armati) ed altre unità riceveranno nuovi blindati ed altre strumentazioni. Questo vasto ammodernamento, basato su materiale all’ultimo grido dovrebbe essere completato entro 7 anni secondo il comandante delle truppe terrestri, gen. Boldyrev. ( 22)
DETERRENTE
Nonostante la crisi finanziaria (ed economica) è assai poco probabile che gli Usa rinuncino ai loro bellicosi propositi. La ferma determinazione della Russia a costituire un deterrente capace di scoraggiare l’aggressore come la capacità di Mosca di tessere intese per sostenere un ordine mondiale multipolare rappresentano il principale argine all’espansione dell’imperialismo americano. Qualsiasi sia il risultato della corsa alla Casa Bianca Washington terrà il fermo proposito di imporre al resto del mondo la sua egemonia, giustamente etichettata da Fidel Castro come una “dittatura planetaria”. La storia insegna che, in ambito di politica estera, non vi sono serie divergenze tra repubblicani e democratici riguardo agli obiettivi strategici degli Stati Uniti; le differenze riguardano semmai le modalità operative, le priorità oppure la politica interna economica e sociale (ma quest’ultima interessa ai soli cittadini statunitensi). Per il resto del mondo la politica degli Usa continuerà a proiettare ombre inquietanti, almeno fino a quando non siano maturate tutte le condizioni perché la “forza delle cose” stabilizzi un ordine multipolare, più equo e compatibile con le aspirazione dell’umanità a risolvere i grandi e complicati problemi che si trova di fronte.
Note:
(1)“Le Monde”, 13 agosto 2008
(2) L’utilizzo propagandistico dei giornali e le tecniche di accostamento delle immagini ai titoli non sono una novità di oggi, si veda: S. Ciacotin, Le viol des foules par la propagande politique; Parigi, Gallimard 1939, pp. 113-116 (3) Da notare in proposito che il regime di Saakashvili aveva da tempo istituito un ministero ad hoc per la “Reintegrazione”
( 4) Si veda il giudizio di Fedor Lukianov, redattore- capo di “Russia in Global Affairs”: “ L’opinione pubblica russa è stata sinceramente scioccata dalla reazione [dellOccidente] e dal sostegno univoco accordato dall’Occidente a Mikhail Saakashvili, il quale ha tra l’altro violato tutte le norme caratteristiche di un comportamento civile. Gli uomini politici e i cittadini russi (senza molte divergenze su questo punto) non vedono in questo [solo] il “due pesi-due misure” tipici di tutte le politiche ma un cinismo non dissimulato che supera il quadro di una normale prassi politica”; RIA Novosti, 19/09/2008, ore 17:16
(5) L’aiuto militare Usa ammonterebbe a ben 1 mld USD! Si veda: J. Kucera, Il Congresso de – gli Stati Uniti ha approvato un pacchetto di aiuti per la Georgia; in www.eurasia-rivista.it 9 ottobre 2008
(6) Si veda il giudizio di Sergio Romano apparso sul “Corriere della Sera” del 12/10/2008: “Abbiamo preso nota del fatto che Washington incoraggia topi a ruggire (è il caso della Georgia) ma non è in grado di liberarli dalla trappola in cui si sono cacciati”.
( 7) RIA Novosti, 13/10/2008 ore 11:36. La Transnistria è una piccola repubblica a maggioranza russofona staccatasi dalla Moldavia in seguito alla scomparsa dell’URSS nel 1991.
(8) Occorre ricordare che le regioni orientali e meridionali dell’Ucraina sono a maggioranza russofona.
(9) Per approfondire la politica estera della nuova Turchia si veda: M.K. Bhadrakumar, Il tango di Russia e Tu rchia nel Mar Nero; in: www.eurasia-rivista.it 18 settembre 2008 e A. Braccio, Spigolature tra Teheran e Ankara; in: Eurasia, n. 1, 2008 p. 103 e seguenti.
(10) Partecipano al TSC: Armenia, Russia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghisia, Uzbekistan e Tagikistan.
(11) Apprezzamenti e/o comprensione per l’iniziativa di Mosca sono venute anche da altri paesi non allineati: dalla Siria al Nicaragua di Ortega, dal Venezuela di Chavez all’ Argentina.
(12) RIA Novosti, 16/10/2008 ore 16:15
(13) M.K. Bhadrakumar, Un errore fatale nel pro – cesso di pace afgano; www.eurasia-rivista.it 13 ottobre 2008
(14) RIA Novosti, 8/10/2008, ore 12:26
(15 ) Partecipano alla CEEA: Russia, Bielorussia,Kazakistan, Uzbekistan, Kirghisia, Tagikistan.
(16) RIA Novosti, 18/09/2008 ore 21:28
(17 )Per ulteriori informazioni si veda l’analisi di Nikita Petrov: RIA Novosti, 26/09/2008 ore 17:24
(18) RIA Novosti, 12/10/2008, ore 12:43
(19 )RIA Novosti, 11/10/2008 ore 14:04 e ore 16:09
(20) RIA Novosti, 29/09/2008 ore 16:51
(21) RIA Novosti, 26/06/2008 ore 20:20
(22)RIA Novosti, 26/09/2008 ore 21:57