Cambiare rotta

L’assemblea del 3-4 marzo a Roma ha sicuramente segnato un momento importante del dibattito interno alla Cgil. Non solo la presenza di quadri e militanti sindacali è stata superiore a qualsiasi previsione, ma la qualità e la trasparenza del dibattito è stata altrettanto significativa che la riuscita organizzativa dell’appuntamento.

Il tema fondamentale sul quale si è discusso, non sempre con opinioni convergenti, è quello della crisi del sindacato confederale in Italia. Per alcuni questa crisi è di difficile individuazione, non è forse vero che il sindacato confederale ha milioni di iscritti e un ruolo istituzionale invidiato in Europa e nel mondo? Tuttavia la parola crisi va rivendicata come centrale per la definizione della situazione sindacale attuale. Essa si rivela se si vanno a vedere in concreto le condizioni dei tre punti fondamentali di misurazione dello stato di salute di un sindacato. L’unità oggi è largamente compromessa in una conflittualità permanente tra Cgil e Cisl. L’autonomia è chiaramente in difficoltà e appannata, con una Cgil sempre schiacciata sulle posizioni del Governo e una Cisl più conflittuale con quest’ultimo, ma ben più disponibile con il sistema delle imprese. Infine la democrazia sindacale è di nuovo in crisi, con intere categorie che non votano più per i contratti nazionali di lavoro , con la frantumazione sindacale a cui non fa fronte affatto il rimedio della elezione delle RSU, per altro ancora non sanzionata da una legge che universalizzi il diritto dei lavoratori alla rappresentanza. Se poi da queste crisi dei fattori fondamentali dell’iniziativa sindacale si passa ad esaminare il quadro concreto nel quale il sindacalismo confederale opera, si può ben cogliere la portata delle difficoltà attuali. La scelta del padronato di aderire ai referendum radicali non è un espediente tattico, come anche ha mostrato l’elezione di D’Amato a presidente della Confindustria. Il sistema contrattuale viene messo dagli industriali in discussione alla radice, cioè nell’autonomia reciproca dei due livelli di contrattazione. Per gli industriali va innanzitutto messo in discussione il contratto nazionale e la sua funzione unificante dei diritti dei lavoratori nel paese. Questo con lo scopo non certo di rafforzare la contrattazione in sede aziendale, ma invece di affermare in quella sede nuove strategie paternalistiche e aziendalistiche. Al centro di tutto c’è la spinta delle imprese per la precarizzazione sempre più ampia del lavoro e per la riduzione del salario. In questo contesto le risposte sindacali sono difensive e prive di prospettiva, in una conflittualità interna che pare più legata alla sede nella quale “governare” l’arretramento, piuttosto che alla scelta di respingerlo. Così se la Cgil giustamente rifiuta di sottoscrivere il patto territoriale di Milano, tutti e tre i sindacali tessili si predispongono a realizzare per il Sud un gigantesco “contratto d’area” che garantisca un risparmio contrattuale alle aziende del Mezzogiorno.

Ma anche sul piano dei rapporti con il Governo la crisi avanza. Il documento D’Alema – Blair non è stato solo un infortunio dell’ex Presidente del Consiglio per il momento della presentazione, ma anche un colpo di assaggio sulla tenuta sindacale rispetto ai temi dello stato sociale. Nei prossimi mesi quest’attacco si ripresenterà, sotto la spinta della pressione del fondo monetario internazionale, della Banca Europea, delle forze conservatrici e liberiste italiane ed europee.

Insomma su tutti i fronti dell’iniziativa sindacale noi verifichiamo profondi segnali di crisi e solo la sovraesposizione istituzionale del sindacalismo confederale e i risultati organizzativi ancora soddisfacenti, ma fortemente segnati dalla crescita degli iscritti tra i pensionati, permettono di mascherare questo stato di cose.

Il titolo dato al documento uscito dall’assemblea del 3 e 4: “Cambiare rotta”, è un segnale chiaro che la sinistra della Cgil dà in termini di battaglia politica. Non si può pensare, né accettare una pura continuità rispetto alle politiche concertative di quest’ultimo decennio. Il sistema contrattuale va rivisto e soprattutto va rivista la pratica sindacale in esso contenuta. Bisogna avere il coraggio di andare oltre i contenuti e la pratica delle intese del 23 luglio, in particolare sul salario e nella lotta contro la precarizzazione e per diritti eguali in tutto il mondo del lavoro.

L’assemblea ha poi discusso molto del tema della scuola, cogliendo su questo piano uno degli elementi di più grave crisi del sindacalismo confederale in Italia e sottolineando il valore politico della mobilitazione degli insegnanti. Più in generale si è riproposto per tutto il settore pubblico e dei servizi il nodo della democrazia sindacale, della regressione che su questo terreno si sta realizzando quasi dappertutto.

Un punto che è rimasto aperto, nella comune decisione di diffondere il documento in dieci punti uscito dall’assemblea e di iniziare con esso una battaglia politica a fondo nell’organizzazione, è legato ai termini e alle modalità del futuro impegno congressuale nella Cgil. Alla assemblea erano presenti forze diverse, aree organizzate più o meno vaste ed esperienze territoriali unitarie. Per tutti era comune il giudizio critico sullo stato della Cgil, ma differenti sono stati gli approcci per affrontarlo. Chi privilegiava gli aspetti dell’azione territoriale, della battaglia “dal basso”, sottolineava i limiti della politica delle aree, in particolare il rischio di contemporanea ghettizzazione e consociativismo . Chi ha privilegiato le esperienze d’area sottolineava i limiti di visibilità e di forza politica delle esperienze territoriali. Entrambe le critiche sono vere e dimostrano che la crisi della Cgil è in fondo anche crisi e difficoltà delle sue sinistre. Tuttavia una soluzione deve essere trovata e per farlo in questi casi, non si potrà che fare riferimento alla sostanza, ai contenuti del confronto politico. Se nei prossimi mesi, in particolare dopo il referendum, non ci saranno svolte di nessun tipo nella politica della confederazione, sarà difficile evitare il confronto tra ipotesi e mozioni globalmente alternative. D’altra parte la costruzione di un punto di vista complessivo della sinistra della Cgil non potrà che tenere conto delle critiche diffuse che vi sono state rispetto all’esperienza delle aree organizzate. Si dovranno quindi trovare nuove modalità più democratiche e parteticipative nella costruzione della sinistra Cgil e per questo il bilancio di attività dovrà essere rigoroso per tutti coloro che partecipano a questo percorso.